Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16368 del 04/08/2016


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Cassazione civile sez. VI, 04/08/2016, (ud. 19/02/2016, dep. 04/08/2016), n.16368

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

R.D.T.S., rappresentata e difesa, per procura

speciale in calce al ricorso, dall’Avvocato Marco Merelli,

domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria civile

della Corte suprema di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Prefetto pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per

legge;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso il decreto della Corte d’appello di Genova n. 80/2014,

depositato il 3 luglio 2014;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19

febbraio 2016 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che, con ricorso depositato presso la Corte d’appello di Genova, R.D.T.G., R.D.T.M.P., R.D.T.P.A., R.D.T.M.G., RO.DE.TU.Ma. e R.D.T.S., in proprio e quali eredi di R.D.T.F., chiedevano la condanna del Ministero della giustizia al pagamento dei danni non patrimoniali derivati dalla irragionevole durata di un giudizio iniziato, tra gli altri, dal loro dante causa R.D.T.F. nel 2003, definito con sentenza della Corte di cassazione n. 20363 del 2013;

che il Presidente della Corte d’appello accoglieva parzialmente la domanda e liquidava in favore di ciascuno dei ricorrenti, ad eccezione di R.D.T.S., la somma di Euro 1.000,00 a titolo di indennizzo iure proprio e la somma di Euro 83,33 a titolo ereditario;

che, quanto a R.D.T.S., il Presidente della Corte d’appello riteneva che alla stessa potesse essere riconosciuto il solo indennizzo iure hereditatis, non avendo ella partecipato al giudizio presupposto e non essendosi costituita nel giudizio stesso dopo il decesso di R.D.T.F.;

che avverso questo decreto R.D.T.S. proponeva opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter;

che la Corte d’appello, in composizione collegiale, rigettava l’opposizione, ritenendo che correttamente con il decreto monocratico fosse stato escluso il suo diritto iure proprio, non essendosi ella costituita in giudizio e non potendo in favore dell’erede operare il principio affermato da questa Corte nella sentenza delle Sezioni Unite n. 585 del 2014;

che per la cassazione di questo decreto ricorre solo R.D.T.S. sulla base di due motivi;

che il Ministero della giustizia ha resistito con controricorso e ha a sua volta proposto ricorso incidentale affidato ad un motivo.

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza;

che con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, artt. 110 e 300 c.p.c., sostenendo che in caso di decesso della parte nel corso del giudizio la legittimazione si trasferisce automaticamente agli eredi ex art. 110 c.p.c. e che la L. n. 89 del 2001, art. 2 nel prevedere il diritto all’equa riparazione in favore di chi ha subito un danno dalla irragionevole durata di un processo non limiterebbe il diritto stesso in favore delle sole parti costituite formalmente in quel processo, come affermato da Cass., S.U., n. 585 del 2014;

che ciò tanto più doveva affermarsi nel caso di specie in quanto il decesso del fratello F. era avvenuto in pendenza del giudizio di cassazione, al quale, essendo caratterizzato dall’impulso di ufficio, non è applicabile l’art. 300 c.p.c.;

che con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 3 e dell’art. 640 c.p.c., commi 1 e 2;

che, dopo aver richiamato la sentenza n. 19977 del 2014 delle Sezioni Unite di questa Corte, che ha riconosciuto il diritto a chiedere l’equa riparazione in favore dell’erede di chi si sia costituito parte civile nel processo penale anche se non si sia costituito nel processo stesso, purchè abbia avuto notizia dell’esistenza di quel processo, la ricorrente rileva che, ove fosse accolto il primo motivo, le si potrebbe obiettare di non avere fornito la prova dell’avvenuta conoscenza dell’esistenza del processo ed invoca a proprio favore la disposizione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 4, al fine di offrire tale prova;

che con il proprio ricorso incidentale il Ministero della giustizia denuncia violazione della L. n. 89 del 2001, art. 4 rilevando che la sentenza che ha definito il giudizio presupposto è stata depositata il 5 settembre 2013 e che, quindi, il termine per la proposizione della domanda di equa riparazione veniva a scadenza il 5 marzo 2014, non operando rispetto al termine semestrale di cui al citato art. 4, la sospensione feriale dei termini, sicchè il ricorso, notificato il 14 marzo 2014, sarebbe tardivo;

che il ricorso incidentale, che per motivi di ordine logico deve essere esaminato in via prioritaria, è infondato;

che, invero, esso muove da una premessa – quella della inapplicabilità al termine di proposizione della domanda di equa riparazione della sospensione feriale dei termini – erronea, avendo questa Corte più volte affermato che “poichè fra i termini per i quali la L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1 prevede la sospensione nel periodo feriale vanno ricompresi non solo i termini inerenti alle fasi successive all’introduzione del processo, ma anche il termine entro il quale il processo stesso deve essere instaurato, allorchè l’azione in giudizio rappresenti, per il titolare del diritto, l’unico rimedio per fare valere il diritto stesso, detta sospensione si applica anche al termine di sei mesi previsto dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4 per la proposizione della domanda di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo” (Cass. n. 5895 del 2009; Cass. n. 2153 del 2010);

che il primo motivo di ricorso è infondato;

che, invero, questa Corte ha avuto modo di affermare che, in linea di principio, “in tema di equa riparazione, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, qualora la parte costituita sia deceduta anteriormente al decorso del termine di ragionevole durata del processo presupposto, l’erede ha diritto al riconoscimento dell’indennizzo iure proprio dovuto al superamento del predetto termine, soltanto a decorrere dalla sua costituzione in giudizio; ne consegue che qualora l’erede agisca sia iure haereditatis che iure proprio, non può assumersi come riferimento temporale di determinazione del danno l’intera durata del procedimento, ma è necessario procedere ad una ricostruzione analitica delle diverse frazioni temporali al fine di valutarne separatamente la ragionevole durata, senza, tuttavia, escludere la possibilità di un cumulo tra il danno morale sofferto dal dante causa e quello personalmente patito dagli eredi nel frattempo intervenuti nel processo, non ravvisandosi incompatibilità tra il pregiudizio patito iure proprio e quello che lo stesso soggetto può far valere pro quota e iure successionis, ove già entrato a far parte del patrimonio del proprio dante causa” (Cass. n. 21646 del 2011);

che è certo, quindi, che “qualora la parte costituita in giudizio sia deceduta nel corso di un processo avente una durata irragionevole, l’erede ha diritto al riconoscimento dell’indennizzo iure proprio soltanto per il superamento della predetta durata verificatosi con decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in giudizio, ha assunto a sua volta la qualità di parte; non assume, infatti, alcun rilievo, a tal fine, la continuità della sua posizione processuale rispetto a quella del dante causa, prevista dall’art. 110 c.p.c., in quanto il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in norme nazionali dalla L. n. 89 del 2001, non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione al concreto patema subito, il quale presuppone la conoscenza del processo e l’interesse alla sua rapida conclusione” (Cass. n. 13083 del 2011; Cass. n. 23416 del 2009);

che, una volta escluso che la sofferenza derivante dalla irragionevole protrazione del processo presupposto possa trasferirsi in capo all’erede puramente e semplicemente ai sensi dell’art. 110 c.p.c., non vi è ragione di ipotizzare che l’erede che non abbia in alcun modo manifestato nel giudizio presupposto la propria posizione, debba comunque soffrire in sostituzione del de cuius, in assenza di ogni prova in ordine alla stessa consapevolezza dell’erede della esistenza della posizione creditoria in capo al de cuius (Cass. n. 716 del 2014);

che non giova all’assunto del ricorrente la recente sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 585 del 2014, la quale, dirimendo un contrasto tra sezioni semplici in merito alla possibilità che il contumace nel processo presupposto possa far valere il diritto all’equa riparazione per la non congrua durata dello stesso, ha statuito la equiparazione ai fini della possibile insorgenza del diritto al ristoro del danno non patrimoniale – tra parti costitute e parti chiamate a partecipare a quel giudizio, ma in esso non intervenute;

che, infatti, si è osservato (Cass. n. 4004 del 2014; Cass. n. 1537 del 2015) che, al di là di una mera analogia ricavabile dall’assenza nel processo presupposto sia del contumace sia del chiamato all’eredità della parte originaria, le situazioni siano sostanzialmente differenti in quanto, il ribadito principio che presupposto ineliminabile per la legittimazione a far valere l’equa riparazione è l’incidenza che la non congrua durata del giudizio abbia su chi di quel giudizio sia chiamato a far parte, non può trovare applicazione sin tanto che il chiamato all’eredità non sia, quanto meno, evocato in riassunzione, atteso che fino a quel momento può mancare addirittura la prova dell’assunzione – per accettazione espressa o per facta concludentia – della stessa qualità di erede;

che, del resto, anche la citata decisione n. 585 del 2014 pone l’accento più sulla legittimazione del contumace alla proposizione del ricorso ex lege n. 89 del 2001 che sull’applicabilità allo stesso di quella che costituisce la caratteristica qualificante del diritto all’equo indennizzo – vale a dire l’automatismo probatorio relativo alla presunzione della sussistenza del danno per indebita durata del processo – allorquando riconosce che la mancata costituzione in giudizio del contumace possa influire anche sull’an debeatur;

che non può neanche sottacersi che nella recente sentenza – di irricevibilità – della Seconda Sezione della CEDU del 18 giugno 2013, in causa Fazio e altri c. Italia, si è affermato che la qualità di erede di una parte nel procedimento presupposto non conferisce, di per sè, il diritto a considerarsi vittima della, eventualmente maturata, durata eccessiva del medesimo e che l’interesse dell’erede alla conclusione rapida della causa difficilmente conciliabile con la sua mancata costituzione nello stesso, dato che solo attraverso l’intervento nel procedimento l’avente diritto ha l’opportunità di partecipare e di influire sull’esito dello stesso;

che, si deve aggiungere, “in tema di giudizio di cassazione, poichè l’applicazione della disciplina di cui all’art. 110 c.p.c. non è espressamente esclusa per il processo di legittimità, nè appare incompatibile con le forme proprie dello stesso, il soggetto che ivi intenda proseguire il procedimento, quale successore a titolo universale di una delle parti già costituite, deve allegare e documentare, tramite le produzioni consentite dall’art. 372 c.p.c., tale sua qualità, attraverso un atto che, assumendo la natura sostanziale di un intervento, sia partecipato alla controparte – per assicurarle il contraddittorio sulla sopravvenuta innovazione soggettiva consistente nella sostituzione della legittimazione della parte originaria – mediante notificazione, non essendone, invece, sufficiente il semplice deposito nella cancelleria della Corte, come per le memorie di cui all’art. 378 c.p.c., poichè l’attività illustrativa che si compie con queste ultime è priva di carattere innovativo. Ove, peraltro, la parte intimata (e poi deceduta) non abbia, nei termini, proposto e depositato il controricorso, l’erede può soltanto partecipare alla discussione orale, conferendo al difensore procura notarile, ma l’eventuale costituzione irrituale del medesimo resta sanata se le controparti costituite non formulino eccezioni” (Cass., S.U., n. 9692 del 2013);

che, dunque, ben avrebbe potuto l’erede spiegare intervento nel giudizio di cassazione, pur non essendo predicabile l’interruzione del giudizio stesso per effetto del decesso di una delle parti;

che il rigetto del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo, proposto per l’eventualità che il primo fosse stato accolto;

che, in conclusione, poichè sia il ricorso incidentale che quello principale sono rigettati, le spese del giudizio di cassazione possono essere compensate tra le parti;

che, risultando dagli atti del giudizio che il procedimento in esame è considerato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso incidentale e quello principale; compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 19 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2016

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