Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16367 del 10/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 10/06/2021, (ud. 16/03/2021, dep. 10/06/2021), n.16367

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. FILOCAMO Fulvio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34836-2019 proposto da:

EDISON SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA VENEZIA 11,

presso lo studio dell’avvocato SALVINI LIVIA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato DE GIROLAMO DAVIDE;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PIATEDA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE,

44, presso lo studio dell’avvocato CORBYONS GIOVANNI, rappresentato

e difeso dall’avvocato MARCHESI DARIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 13621/2019 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 21/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/03/2021 dal Consigliere Dott. STALLA GIACOMO MARIA;

lette le conclusioni scritte del pubblico ministero in persona del

sostituto procuratore generale Dott. DE AUGUSTINIS UMBERTO che ha

chiesto l’inammissibilità del ricorso.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

p. 1. La Edison spa ricorre per la revocazione – ex art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4) – della sentenza n. 13621 del 21 maggio 2019, con la quale questa Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso da essa proposto avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 2253 del 2 maggio 2014, la quale aveva rigettato l’appello da essa proposto contro la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Sondrio n. 51/3 del 12.11.2012, la quale aveva rigettato i ricorsi (poi riuniti) da essa proposti in opposizione a tre avvisi di accertamento per maggiore Ici e sanzioni (nn. 19-20-21/2011), notificatile dal Comune di Piateda (SO).

Con gli avvisi in questione il Comune aveva contestato alla società, per le annualità 2006 e 2007, infedele dichiarazione e parziale versamento dell’Ici dovuta sugli impianti fissi appartenenti alle centrali di produzione idroelettrica di Zappello, Vedello e Venina, e dal Comune conteggiata sulla base imponibile costituita dal valore di bilancio, in quanto immobili del gruppo catastale D all’epoca privi di rendita (D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3).

A detta della società, il Comune era incorso in plurime violazioni di legge.

In particolare, illegittime erano le pretese:

– di sottoporre ad accertamento e tassazione le opere idrauliche separatamente dagli opifici ai quali accedevano (violazione D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a), e R.D.L. n. 652 del 1939, art. 5);

– di individuare la base imponibile per le annualità in questione nei valori di iscrizione in bilancio, nonostante che tali immobili fossero stati dotati, nel 2009, di rendita catastale ad effetto retroattivo sulle annualità in questione; ciò a seguito di presentazione all’agenzia del territorio, in data 27 novembre 2009, di dichiarazioni di variazione Docfa (L. 311 del 2004, art. 1, comma 336) in ottemperanza all’invito in tal senso rivoltole dal Comune con lettera protocollo n. (OMISSIS) e nell’intento di regolarizzare la posizione catastale degli immobili medesimi a far data dall’annualità di imposta 2000.

La tesi della società, come detto, veniva respinta dai giudici di merito ed anche in sede di legittimità con la revocanda sentenza n. 13621/19 la quale, per quanto qui rileva, nel respingere il primo motivo di ricorso (relativo all’annualità 2007: avviso 20/2011) ha osservato che (pag.5): “le opere indicate nell’avviso di accertamento (condotte forzate, gallerie, bacini, dighe) invece, presentano intrinseche caratteristiche funzionali autonome, pertanto, correttamente la Commissione Tributaria Regionale ha stabilito che tali impianti siano soggetti separatamente ad autonoma accertabilità. Si tratta infatti di opere edili o di manufatti aventi carattere della solidità, della stabilità, della consistenza volumetrica, nonchè della immobilizzazione al suolo, realizzata con qualunque mezzo di unione”.

Nel respingere congiuntamente il secondo ed il terzo motivo di ricorso, (relativi a tutti e tre gli avvisi opposti: 19-20-21/2011), ha poi osservato la sentenza in questione (pag.7): “Non è contestato che solo nel 2009 vi è stato l’accatastamento con procedura Docfa a seguito di invito dell’amministrazione comunale formulato in data 24 novembre 2005. Ne consegue che fino alla richiesta di attribuzione di rendita (anno 2009), in ragione dei principi espressi, il metodo di accertamento contabile era l’unico possibile, potendo il contribuente avere diritto all’eventuale rimborso, nei termini di legge, delle somme pagate in eccesso dal momento della presentazione della richiesta di accatastamento”.

p. 2.1 Sotto un primo profilo, la sentenza risulterebbe affetta da errore di fatto revocatorio consistente nell’erronea presupposizione del fatto decisivo costituito dalla asserita autonomia funzionale e reddituale delle opere idrauliche oggetto di accertamento 2007 rispetto alle centrali idroelettriche alle quali esse accedevano, secondo quanto evincibile dalli affermazione su riportata (pag.5 della sentenza revocanda).

La circostanza (travisata dalla Corte) della carenza di autonomia e separata funzionalità delle opere in questione, rispetto agli opifici produttivi rappresentati dalle centrali idroelettriche, costituiva un elemento assodato di causa perchè acclarato dalla Commissione Tributaria Regionale e riconosciuto dallo stesso Comune, come diffusamente evidenziato negli scritti difensivi della società (trascritti in ampi stralci nel ricorso per revocazione).

Sennonchè, una volta correttamente appurato che le opere idrauliche in questione erano prive di autonomia funzionale e reddituale, esse non potevano integrare la nozione di unità immobiliare separatamente tassabile (D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. a), D.L. n. 652 del 1939, L. n. 843 del 1942, art. 10, Circ. Agenzia Territorio 30 novembre 2012, n. 6/T, recepita dalla L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 224), da qui la decisività dell’errore di fatto denunciato, in quanto posto a base di una erronea statuizione in diritto.

p. 2.2 Sotto un secondo profilo, la sentenza in questione risulterebbe affetta da errore di fatto revocatorio consistente nell’erronea presupposizione del fatto decisivo costituito dalla insussistenza di una richiesta per accatastamento delle centrali idroelettriche in questione idonea a conferire efficacia retroattiva, alle rendite dichiarate, anche con riguardo alle annualità dedotte in giudizio.

In particolare, quanto affermato dalla Corte di Cassazione, e sopra riportato (pag.7 della sentenza revocanda), evidenziava l’erronea supposizione dell’insussistenza della natura di “richiesta di accatastamento” ascrivibile al precedente “invito dell’amministrazione comunale formulata in data 24 novembre 2005” ai sensi e per gli effetti della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 336 e ss, e della sua consequenziale idoneità a conferire efficacia retroattiva al Docfa presentato dalla contribuente nel corso del 2009, anche con riferimento alle annualità 2006-2007 (v.ric. per revocazione, pag.15).

Nonostante quanto precisato dalla società nel corso del giudizio e, in particolare, tanto nel ricorso per cassazione quanto nella successiva memoria di trattazione, la sentenza in esame non aveva considerato che la variazione Docfa era stata proposta dalla società a seguito di un atto del Comune (la suddetta lettera del novembre 2005) che era stata emessa in sede di richiesta di accatastamento ai sensi della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 336, come anche risultante da ciascuno dei tre Docfa in atti.

Questo errore di fatto aveva determinato una decisione erronea in diritto, dal momento che le rendite catastali attribuite a seguito della notificazione della richiesta del Comune ai sensi della legge citata, art. 1, comma 336 sortivano effetto retroattivo secondo quanto disposto dal comma 337 della medesima disposizione; il che palesava l’illegittimità degli avvisi di accertamento che, per le annualità 2006 e 2007, avevano ancora applicato la base imponibile del valore di bilancio in luogo della (minore) rendita catastale attribuita a seguito dei Docfa 2009.

Resiste con controricorso il Comune di Piateda.

Il Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, in quanto sostanzialmente riproduttivo di tesi di merito già definitivamente respinte.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

p. 3.1 Il ricorso è destituito di fondamento sotto entrambi i profili rassegnati.

Per quanto concerne l’ipotesi revocatoria qui dedotta – errore di fatto ex art. 395 c.p.c., n. 4) – non può tralasciarsi di partire dal chiaro dato normativo, secondo cui “vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.

L’errore revocatorio deve dunque cadere – per regola generale, valevole anche nel caso di revocazione di sentenze di legittimità ex artt. 391-bis e 391-ter c.p.c., recettivi di quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con le sentenze nn. 17/1986 e 36/1991 – su un ‘fattò; esso si concreta in una falsa percezione della realtà, a sua volta indotta da una ‘svistà di natura percettiva.

Proprio per tale sua natura, questa falsa percezione della realtà che nel procedimento di cassazione concerne necessariamente i soli atti interni al giudizio di legittimità, ossia quelli che la corte esamina direttamente nell’ambito del motivo di ricorso o delle questioni rilevabili d’ufficio: Cass. 4456/15 ed altre – deve emergere in maniera oggettiva ed immediata dal solo raffronto tra la realtà fattuale e la realtà rappresentata in sentenza.

Con la conseguenza che non può dirsi revocatorio quell’errore la cui verificazione richieda indagini, procedimenti ermeneutici, svolgimento di argomentazioni giuridico-induttive (tra le molte: Cass. nn. 3317/98; 14841/01; 2713/07; 10637/07; 23856/08; 8472/16, ord.).

Anche in ordine alle sentenze della Corte di cassazione, deve dunque affermarsi che si ha errore revocatorio qualora la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce ad escludere o ad affermare, ma non si ha tale errore quando la decisione della Corte sia invece conseguenza di una (asseritamente erronea) valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, “essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione” (Cass.n. 20635/17; 26890/19; 17179/20 ed altre).

Men che meno può poi configurarsi un’ipotesi di revocazione allorquando la valutazione asseritamente erronea cada su un tema del processo dedotto nel contraddittorio, ed oggetto della disputa tra le parti: “… e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare” (art. 395 c.p.c., n. 4), cit.); nel qual caso, la ‘valutazionè censurata si invera nell’opzione decisionale fondamentale tra le contrapposte ricostruzioni fattuali e tesi giuridiche che si sono sviluppate nel corso del processo.

Orbene, è evidente – stando alla stessa prospettazione di Edison spa – che entrambi gli errori qui dedotti sono ben lontani da rilevare ai fini della richiesta revocazione in quanto, quand’anche in ipotesi effettivamente riscontrabili: concretatisi non in un errore o svista di tipo percettivo sensoriale, come tale lampante ed ictu oculi osservabile, bensì nell’esito di una determinata valutazione della fattispecie dedotta in funzione del vaglio della sua rispondenza (sussumibilità) alla fattispecie normativa astratta di riferimento;

incidenti su aspetti controversi qualificanti e nevralgici della lite (che anzi, in pratica, si identificava ed esauriva in essi), come tali fatti oggetto di ampio contraddittorio fin dal primo grado di giudizio e poi in sede di impugnazione di merito e di legittimità; il che vale tanto per l’autonomia funzionale e reddituale delle opere idrauliche rispetto alle altre strutture delle centrali di produzione idroelettrica, quanto per l’efficacia retroattiva attribuibile alle rendite catastali proposte dalla società nel 2009.

p. 3.2 Si osserva, in particolare, sull’affermata autonomia funzionale delle opere di cui all’avviso di accertamento (sentenza revocanda, pag.5) che tipicamente valutativa-delibativa è l’attribuzione a determinati beni di un carattere di autonomia funzionale e strutturale rispetto alle unità immobiliari e di impianto alle quali accedano; attribuzione soggettivamente ed opinabilmente desunta da caratteristiche intrinseche (nel caso di specie: solidità, stabilità, consistenza volumetrica, immobilizzazione al suolo comunque realizzata) a loro volta oggetto di un determinato processo logico di giudizio, e non sensoriale di mera osservazione percettiva (del resto estranea al giudizio di legittimità).

Parimenti valutativo, ed anzi imprescindibilmente connesso a tipiche considerazioni anche giuridiche e non solo fattuali, è poi l’accertamento sia del tipo di relazione (indipendenza, unitarietà, asservimento) ravvisabile tra le opere idrauliche in questione e gli opifici delle centrali già assoggettati a tassazione, sia della rilevanza – non naturalistica, ma prettamente economico-reddituale – della relazione così ravvisata, in quanto orientata (perchè in ciò consisteva la lite) alla verifica dei presupposti della loro autonoma classificabilità catastale ed imposizione Ici.

Di ciò era, per la verità, consapevole la stessa società ricorrente la quale, fin dal giudizio di primo grado, aveva ricollegato la ‘naturà delle opere idrauliche in questione ad una determinata ‘nozionè giuridica: quella della ‘unità immobiliarè catastalmente rilevante, e come tale suscettibile di autonomo accertamento fiscale da parte dell’amministrazione comunale.

Dirimenti sono, sul punto, le difese svolte dalla società nei precedenti gradi di giudizio (riportate per stralcio nel ricorso per revocazione) e gli stessi motivi del ricorso per cassazione da essa proposto. Motivi che la sentenza revocanda ha riassunto e riprodotto attraverso i ‘quesiti di dirittò che la società ricorrente, a scopo meramente illustrativo, aveva formulato, e tutti concernenti, sul punto, la riconducibilità dei beni in questione “alla nozione unitaria di unità immobiliare valevole ai fini catastali” (primo motivo di ricorso), ovvero la sussistenza di un “dubbio interpretativo sulla corretta delimitazione della latitudine ascrivibile alla nozione di ‘fabbricatò assoggettabile ad Ici (…)”, e ciò sul presupposto che “la legittima inclusione in tale nozione dei macchinari per la produzione dell’energia elettrica e delle opere idrauliche costituiva circostanza sintomatica della configurabilità di una situazione di ‘incertezza interpretativà sulla legittima assoggettabilità ad imposta delle opere idrauliche” (settimo motivo di ricorso).

Si tratta, all’evidenza, di affermazioni che sintetizzano esse stesse, ed assai efficacemente, l’insussistenza del carattere revocatorio dell’errore lamentato, appunto perchè (eventualmente) caduto:

– nell’esercizio di attività valutativa e non percettiva;

– nell’ambito di un giudizio prettamente giuridico di “nozione” e di autonoma capacità funzionale e reddituale a fini di classificazione catastale.

Neppure trova riscontro l’affermazione secondo cui l’assenza di autonomia costituiva elemento pacifico ed incontroverso di causa, così da risultare sostanzialmente estranea al contraddittorio tra le parti.

Al contrario, si è già posto in evidenza come proprio l’accertamento “erroneo” costituisse l’oggetto precipuo dell’opposizione originariamente proposta dalla società all’avviso di accertamento con il quale il Comune aveva autonomamente tassato le opere idrauliche, che si assumevano essere state indebitamente scorporate dalle centrali idroelettriche.

Questo motivo di opposizione veniva poi coltivato anche in appello, tanto che la CTR, nella citata sentenza, osservava che “il primo punto di censura mossa alla sentenza di primo grado attiene alla presunta illegittimità dell’avviso di accertamento n. 20 del 2011 perchè relativo ad opere prive di autonomia funzionale e reddituale, tali che avrebbero dovuto essere comprese nell’avviso di accertamento relativo all’immobile, con il quale costituivano un insieme unitario (…)”.

Dagli atti di causa e dagli stralci di scritti difensivi riportati dal Comune nel controricorso depositato nel presente giudizio di revocazione (pagg.8-10) si evince poi come neppure sia sostenibile che l’amministrazione comunale avesse dato per pacifica la tesi della non-autonomia delle opere in questione rispetto agli opifici; vero essendo, invece, che essa ne aveva protestato senz’altro l’infondatezza “per una pluralità di considerazioni giuridiche e fattuali ” (controdeduzioni di primo grado); al più spingendosi fino ad affermare non già la veridicità in fatto di questa tesi, bensì la sua pratica irrilevanza ai fini di causa, dal momento che le opere idrauliche non erano state comunque accatastate ed erano in tal modo state sottratte, nelle annualità un questione, al pagamento dell’Ici (controricorso in cassazione).

Di ciò vi è traccia anche nella già menzionata sentenza della CTR (confermata dalla sentenza revocanda) nella quale si osservava come la censura mossa dalla società non fosse condivisibile perchè le opere in questione, quand’anche funzionalmente asservite all’immobile ed all’intero opificio, non risultavano in effetti accatastate e denunciate, sicchè (focalizzandosi con ciò la ragione decisoria consolidatasi nel giudicato) “l’accertamento emesso per l’immobile non comprensivo degli impianti non accatastati non esauriva e non escludeva la possibilità di un accertamento supplementare per le parti dell’immobile non denunciate e non ancora accatastate, indipendentemente dall’autonomia funzionale delle stesse (…)”.

Sicchè, una cosa è dire che il tema dell’autonomia-unitarietà delle opere potesse risultare giuridicamente irrilevante ai fini di causa (tesi del Comune), e tutt’altra è affermare (in contrasto con evidenze processuali) che questo tema non fosse oggetto di controversia tra le parti, in modo da sostenere, ex art. 395 c.p.c., n. 4) cit., il carattere revocatorio dell’errore sul punto.

p. 3.3 Venendo al profilo del disconoscimento della retroattività delle rendite dichiarate dalla società nel 2009 (sentenza revocanda, pag. 7-8) l’infondatezza della tesi “revocatoria” della società ricorrente appare altrettanto evidente.

Da un lato, la sentenza da revocare ha dato specificamente atto della circostanza fattuale costituita dall’invito alla regolarizzazione catastale rivolto dall’amministrazione comunale alla società il 24 novembre 2005; il che basterebbe, da solo, ad escludere che la Corte sia davvero incorsa in una svista nella ricostruzione e consecuzione degli accadimenti fondamentali di causa, omettendo di valutare l’esistenza dell’invito in questione e gli effetti giuridici suoi propri sulle rendite catastali poi attribuite.

D’altro lato, la denuncia revocatoria si incentra sul mancato riconoscimento di efficacia retroattiva alle rendite proposte, tralasciando di considerare del tutto che tale mancato riconoscimento è scaturito da un apprezzamento tecnico, a sua volta conseguente alla interpretazione-valutazione (giuridica) dell’invito stesso da parte della corte; ritenuto inidoneo ad integrare l’avvio della procedura di attribuzione di rendita, con effetto retroattivo, di cui alla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 336-337.

E’ proprio sulla base di questa valutazione giuridica che la Corte di Cassazione ha ritenuto di dover governare la fattispecie in stretta applicazione di quanto stabilito da SSUU 3160/11 da essa citata, e che giova qui ribadire: “in tema di ICI, il metodo di determinazione della base imponibile collegato alle iscrizioni contabili, previsto dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 3, per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita, vale sino a che la richiesta di attribuzione della rendita non viene formulata, mentre, dal momento in cui fa la richiesta, il proprietario, pur applicando ormai in via precaria il metodo contabile, diventa titolare di una situazione giuridica nuova derivante dall’adesione al sistema generale della rendita catastale, sicchè può essere tenuto a pagare una somma maggiore (ove intervenga un accertamento in tali sensi), o avere diritto di pagare una somma minore, potendo, quindi, chiedere il relativo rimborso nei termini di legge.”.

Dunque, altrimenti detto, l’asserito errore sarebbe qui dipeso, non già dalla pretermissione di un elemento materiale della fattispecie (l’invito del 2005) ma, all’esatto contrario, dalla sua considerazione e valutazione, sebbene nel senso che si sia trattato, appunto, di un mero “invito” alla regolarizzazione, non certo di una richiesta L. citata, ex art. l, comma 336-337, (del resto assoggettata ad una disciplina procedimentale sua propria, qui non riscontrata, di notificazione ai proprietari, di comunicazione all’amministrazione finanziaria, di ottemperanza entro 90 giorni).

A diversa conclusione non potrebbe pervenirsi sulla sola circostanza che la disposizione reclamata fosse testualmente richiamata dal Comune tra le premesse dell’invito in questione, trattandosi di elemento – come tale non riconducibile con la dovuta immediatezza ed incontrovertibilità ad errore revocatorio – nè univoco (ben potendo la norma in questione essere stata menzionata in vista di una sua solo successiva e preannunciata attivazione), nè decisivo (dovendosi l’atto amministrativo qualificare per la sostanza del suo contenuto); ed in tal senso depone appunto la qualificazione che di esso ha dato la sentenza oggetto di revocazione.

Va poi detto che anche questo punto fu terreno di aspro contraddittorio tra le parti, dal momento che l’amministrazione comunale (da ultimo nel controricorso e nella memoria di cassazione) risulta avere sempre escluso che dalla concatenazione del suddetto invito del 2005 con le proposte Docfa del 2009 potesse scaturire qualsivoglia effetto retroattivo di rendita.

Va anzi osservato come – per quanto concerneva l’opposizione a tutti e tre gli avvisi di accertamento sulle centrali (nn. 19-20-21/11) – il giudizio si sia svolto proprio intorno alla tesi del Comune secondo cui, in mancanza di ogni efficacia retroattiva delle rendite 2009, la base imponibile ai fini Ici doveva rifarsi non già alle rendite catastali (inesistenti) ma al valore di libro, fatto sempre salvo il successivo diritto a conguaglio in dare o in avere (D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3).

Non può dunque la società odierna ricorrente tornare su questo nevralgico aspetto di lite sub specie di revocazione, difettandone anche in proposito tutti indistintamente i requisiti di legge.

Il ricorso va dunque respinto, con condanna della società ricorrente alle spese di lite che si liquidano come in dispositivo.

Va inoltre da essa corrisposto l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, come mod. dalla L. n. 228 del 2012 (Cass.n. 23914/18).

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 17.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario ed accessori di legge;

– v.to il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

– dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, tenutasi con modalità da remoto, il 16 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2021

 

 

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