Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16364 del 28/06/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 16364 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: GIUSTI ALBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MANNONE Paolo Settimo e CASANO Vito, CASANO Giuseppina e CASANO Maurizio, questi ultimi quali eredi di MANNONE Leonarda,
rappresentati e difesi, in forza di procura speciale in calce
al ricorso, dagli Avv. Guido Cacopardo e Isidoro Spanò, con
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domicilio eletto presso lo studio dell’Avv./Orietta Frazzittg
OW 1+11.4 o A-n– lre hiI I ,
in Roma,(;I-a—gl di Lana, n. 28;
(4

– ricorrenti contro
MANNONE Giovanna, rappresentata e difesa, in forza di procura
speciale notarile, dall’Avv. Giovan Battista Messina, con domicilio eletto in Roma, piazzale delle Belle Arti, n. 8, presso lo studio dell’Avv. Ignazio Abrignani;

Data pubblicazione: 28/06/2013

- controri corrente avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo depositata in data 23 gennaio 2012.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udien-

Giusti;
udito l’Avv. Tiberio Saragè, per delega dell’Avv. Giovan
Battista Messina;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Lucio Capasso, il quale ha concluso
per l’improcedibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso.

Ritenuto che, con atto di citazione notificato il 9 marzo
1998, Giovanna Mannone convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di ~sala il fratello Paolo Settimo Mannone e la sorella
Leonarda Mannone, chiedendo la divisione dei beni relitti nella successione ab intestato dal padre Salvatore Mànnone, deceduto in data 20 febbraio 1992, previa formazione di tre quote
eguali ed il rendiconto dei frutti degli immobili posseduti in
via esclusiva;
che si costituirono i convenuti, con distinte comparse di
risposta, chiedendo il rigetto delle domande dell’attrice;
che i convenuti addussero la presenza di un accordo fra i
tre fratelli, intervenuto prima del decesso del padre, al fine
di dividersi i beni in parti uguali;

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za del 24 maggio 2013 dal Consigliere relatore Dott. Alberto

che in pendenza della causa predetta, Leonarda ~none e
Paolo Settimo ~none iniziarono due distinti e ulteriori giudizi, rispettivamente con atto di citazione notificato il 19
maggio 2000 e il 18 maggio 2000, convenendo ciascuno i fratel-

valore dei materiali impiegati per le costruzioni realizzate
sui fondi oltre al prezzo della mano d’opera o della somma di
denaro corrispondente all’aumento di valore recato ai fondi;
che il Tribunale, riuniti i giudizi, con sentenza in data
27 settembre 2007, ordinò lo scioglimento della comunione sui
beni immobili, assegnando a Paolo Settimo ~none la quota costituita dagli immobili di cui ai nn. 2 e 3, a Leonarda ~none quelli di cui ai nn. 5, 6e7eaGiovanna Mannoneirestanti beni di cui ai nn. l, 4, 9, 10, 11 e 12; dispose che
Giovanna ~none versasse la somma di euro 1.838,29 a titolo
di conguaglio a Paolo Settimo ~none e di euro 994,62 allo
stesso titolo a Leonarda ~none; dispose inoltre che Giovanna
~none pagasse a sua scelta, ex art. 936, secondo comma, cod.
civ., a titolo di indennità, al fratello, la somma di euro
13.944,34 o di euro 26.296,85 ed alla sorella la somma di euro
1.921,14 o di euro 49.930,28;
che il Tribunale osservò, tra l’altro, che il “presunto accordo di divisione . . avrebbe dovuto essere consacrato da
un atto scritto e non poteva provarsi a mezzo testimoni”;

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li e chiedendone la condanna in alternativa al pagamento o del

che, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 23 gennaio 2012, la Corte d’appello di Palermo ha
confermato la sentenza di primo grado, condannando entrambi
gli appellanti Paolo Settimo ~none e Leonarda ~none a ver-

che il giudice di secondo grado ha rilevato come alla situazione del coerede che abbia eseguito migliorie sulla cosa
comune non possa applicarsi l’art 1150, quinto comma, cod.
civ., a questo spettando, non l’indennità pari all’aumento di
valore della cosa, ma il rimborso delle spese sostenute per
materiali e manodopera;
che per la cassazione della sentenza della Corte d’appello
Paolo Settimo ~none nonché Vito Casano, Giuseppina Casano e
Maurizio Casano, questi ultimi quali eredi di Leonarda ~none, deceduta in data 19 gennaio 2011, hanno proposto ricorso
con atto notificato il 19 aprile 2012, sulla base di tre motivi;
che vi ha resistito con controricorso Giovanna ~none;
che in prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno depositato una memoria illustrativa.
Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di una
motivazione semplificata nella redazione della sentenza;
che, preliminarmente, va rigettata l’eccezione di improcedibilità formulata dal pubblico ministero nell’udienza di discussione;

sare a favore di Giovanna ~none le spese di giudizio;

che, infatti, contrariamente a quanto sostenuto dal pubblico ministero, i ricorrenti hanno depositato in atti, nel rispetto del termine di cui all’art. 369 cod. proc. civ., copia
autentica della sentenza impugnata, depositata il 23 gennaio

con ciò pienamente rispettando le prescrizioni formali discendenti dalla citata norma del codice di rito, nella lettura ricevuta ad opera di Cass., Sez. Un., 16 aprile 2009, n. 9005;
che, passando al merito, con il primo motivo (omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio) si sostiene
che il giudice di secondo grado abbia ignorato un fatto fondamentale, ossia l’accordo intervenuto tra padre e figli sulla
divisione in parti eguali del patrimonio, secondo la consistenza di allora: l’accordo divisionale, se non era idoneo per
l’attribuzione in proprietà dei beni, era però rilevante per
costituire i tre fratelli come possessori in buona fede dei
beni verbalmente a ciascuno assegnati;
che con il secondo motivo si lamenta l’omessa motivazione

2012, munita della relata di notifica in data 22 marzo 2012,

circa un fatto decisivo per il giudizio e violazione dell’art.
2227 (o 2727) cod. civ., ribadendosi la rilevanza giuridica
dell’accordo intervenuto tra padre e figli di divisione dei
2/11
beni ereditari, seppure non in forma scritta, sulla base del
quale essi stessi sarebbero dovuti essere qualificati come
possessori di buona fede;

che con il terzo motivo (violazione degli artt. 1150 e ss.
cod. civ. e omissione di motivazione) i ricorrenti sostengono
che i rimborsi loro spettanti avrebbero dovuto precedere tutte
le altre operazioni divisionali;

possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati;
che la Corte di appello ha fatto corretta applicazione del
principio, costante nella giurisprudenza di questa Corte (Sez.
Il, 19 settembre 1968, n. 2963; Sez. Il, 23 marzo 2009, n.
6982; Sez. Il, 22 giugno 2010, n. 15123), secondo cui il coerede che sul bene da lui posseduto abbia eseguito delle migliorie, può pretendere, in sede di divisione, non già
l’applicazione dell’art. 1150, quinto comma, cod. civ., secondo cui è dovuta un’indennità pari all’aumento di valore della
cosa in conseguenza dei miglioramenti, ma, quale mandatario o
utile gestore degli altri partecipanti alla comunione ereditaria, il rimborso delle spese sostenute per materiali o manodopera;
che, d’altra parte, il rilievo, contenuto nella memoria dei
ricorrenti, secondo cui i miglioramenti sarebbero stati eseguiti durante la vita del de cuius, non tiene conto della circostanza che il ricordato principio giurisprudenziale è stato
applicato dal giudice del merito per le spese eseguite sulla
cosa comune dopo l’apertura della successione, mentre, per il
periodo anteriore alla morte del de cuius, è stata riconosciu-

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che i tre motivi – i quali, stante la loro connessione,

ta in favore di Paolo Settimo Mannone e di Leonarda Mannone
l’indennità di cui all’art. 936, secondo coma, cod. civ.;
che non può attribuirsi rilevanza all’accordo verbale di
divisione tra il padre ed i figli in relazione a beni immobili

in vita: sia per il difetto della necessaria forma scritta
(non surrogata dal fatto che ognuno dei tre eredi abbia poi
pagato l’imposta di successione non già in tre parti eguali,
bensì in proporzione dei beni da ciascuno di fatto posseduti),
sia perché detta convenzione sarebbe in ogni caso relativa a
diritti spettanti su una successione non ancora aperta;
che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato;
che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da
dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute
dalla controricorrente, che liquida in complessivi euro 1.700,
di cui euro 1.500 per compensi, oltre ad accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2
Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 24 maggio
2013.

compresi nella successione futura del padre, all’epoca ancora

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