Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16363 del 28/06/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 16363 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

sentenza con

SENTENZA

motivazione semplificata

sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (80207790587), in
persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici
in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge

ricorrente e controricorrente a ricorso incidentalecontro

DE LISO Eduardo (DLS DRD 45R21 L328D), rappresentato e
difeso, per procura speciale a margine del controricorso e
ricorso incidentale, dall’Avvocato Candiano Orlando Mario
ed elettivamente domiciliati in Roma, via Pompeo Trogo n.
42, presso lo studio dell’Avvocato Giuseppe Picone;

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controricorrente e ricorrente Incidentale

– 1 –

Data pubblicazione: 28/06/2013

avverso il decreto della Corte d’appello di Lecce
depositato in data 9 gennaio 2012.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 24 aprile 2013 dal Consigliere relatore Dott.

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore Generale Dott.ssa Antonietta Carestia, che ha
concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
Ritenuto che De Liso Eduardo, con ricorso in data 22
luglio 2010, ha chiesto alla Corte d’appello di Lecce il
riconoscimento dell’equa riparazione, ai sensi della legge
24 marzo 2001, n. 89, per la irragionevole durata di un
giudizio svoltosi dinanzi alla Corte dei Conti di Bari Sezione Giurisdizionale per la Regione Puglia, promosso con
ricorso del 16 luglio 1998 e ancora non definito alla data
di proposizione del ricorso per l’equa riparazione;
che l’adita Corte d’appello, con decreto in data 9
gennaio 2012, determinata in anni dodici la durata
irragionevole del processo, ha liquidato l’importo di euro
11.250,00 a titolo di equa riparazione del danno non
patrimoniale, oltre agli interessi legali dalla domanda al
saldo;
che per la cassazione di questo decreto il ministero
dell’Economia e delle Finanze ha proposto ricorso, con atto
notificato il 6 luglio 2012, sulla base di due motivi;

Stefano Petitti;

che il sig. De Liso ha resistito con controricorso e
proposto ricorso incidentale sulla base di tre motivi.
Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di
una motivazione semplificata nella redazione della

che con il primo motivo (violazione e/o falsa
applicazione della legge n. 89 del 2001 articolo 2, commi 1
e 2 e dell’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo, ai sensi dell’art. 360, n. 3 cod. proc. civ.),
il ministero ricorrente censura la determinazione del
periodo di durata irragionevole svolta dalla Corte
d’appello di Lecce ai fini dell’indennizzo;
che la doglianza è fondata, giacché l’adita Corte
d’appello ha concesso l’indennizzo per l’equa riparazione
per la durata irragionevole del processo in base all’intera
durata del processo presupposto, dal ricorso introduttivo
fino alla domanda di equa riparazione (essendo il processo
presupposto ancora pendente a quella data);
che invero i giudici di merito hanno ritenuto che al
ricorrente per equa riparazione andasse riconosciuto un
indennizzo per il sol fatto di aver subito un processo
lungo, senza verificare se, in base alle caratteristiche di
quel processo, il tempo trascorso dalla sua instaurazione
fosse da ritenere tutto effettivamente irragionevole,
contravvenendo all’orientamento di questa Corte, che il

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sentenza;

Collegio condivide, secondo il quale «in tema di diritto ad
equa riparazione per violazione del termine ragionevole di
durata di un processo, di cui alla l. 24 marzo 2001, n. 89,
poiché il concetto di “termine ragionevole” non ha

durata di un processo deve essere verificata dal giudice di
merito in riferimento alla complessità del caso concreto»
(Cass. n. 28746 del 2008);
che è dunque erronea la decisione impugnata, che ha
liquidato un indennizzo volto a ristorare il pregiudizio
relativo all’intera durata del processo dal momento che non
è stato defalcato, dalla durata totale, alcun lasso di
tempo ritenuto ragionevole;
che, in proposito, la Corte d’appello avrebbe dovuto
applicare gli standard riconosciuti dalla Corte Europea dei
Diritti

dell’Uomo, e costantemente applicati in ambito

nazionale, che prevedono una presunzione di ragionevolezza,
per il processo di primo grado, del termine di anni tre,
dal quale il giudice può discostarsi, adducendo una
specifica motivazione;
che deve quindi ribadirsi il principio per cui “in tema
di diritto ad un’equa riparazione in caso di violazione del
termine di durata ragionevole del processo, ai sensi della
legge 24 marzo 2001, n. 89, l’indennizzo non deve essere
correlato alla durata dell’intero processo, bensì solo al

carattere assoluto, ma relativo, la ragionevolezza della

segmento temporale eccedente la durata ragionevole della
vicenda processuale presupposta, che risulti in punto di
fatto ingiustificato o irragionevole, in base a quanto
stabilito dall’art. 2, comma terzo, di detta legge,

che prevede che il giusto processo abbia comunque una
durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e
peculiari, seppure contenuta entro il limite della
ragionevolezza” (Cass. n. 3716 del 2008);
che il ricorso principale va quindi accolto per essere
fondato il primo motivo, assorbito il secondo;
che con il primo motivo del ricorso incidentale
(violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 della legge
n. 89 del 2001 e dell’art. 6 della Convenzione Europea dei
Diritti dell’Uomo, ai sensi dell’art. 360, n. 3 cod. proc.
civ.; omessa motivazione su punto decisivo controverso ai
sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. Violazione art.
112 cod. proc. civ. ai sensi dell’art. 360, n. 4, cod.
proc. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ., ai sensi
dell’art. 360, n.3 cod. proc. civ.), il ricorrente si duole
per la mancata concessione, da parte dell’adita Corte
d’appello, del bonus di euro 2.000,00, che la Corte Europea
dei Diritti dell’Uomo riconosce per le cause di lavoro di
particolare interesse;

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conformemente al principio enunciato dall’art. 111 Cost.,

che la doglianza non è fondata, giacché il ricorrente
censura l’impugnato decreto per vizio di motivazione,
dolendosi per la motivazione carente con cui l’adita Corte
d’appello avrebbe respinto la richiesta dell’attribuzione
bonus)

rispetto al consueto

indennizzo previsto dalla legge “Pinto”, atteso che «in
tema di equa riparazione ai sensi dell’art. 2 della l. n.
89 del 2001, ai fini della determinazione dell’indennizzo
dovuto per il danno non patrimoniale, l’attribuzione di una
somma ulteriore (cosiddetto

bonus)

postula che nel caso

concreto quel pregiudizio, a causa di particolari
circostanze specifiche, sia stato maggiore; pertanto, nel
caso di processo presupposto consistente in controversia di
lavoro o previdenziale, per la quale il giudice di merito
abbia negato il riconoscimento di tale

bonus,

la critica

della relativa pronuncia non può fondarsi sulla mancata
motivazione di detta decisione negativa, ma deve avere
riguardo alle concrete allegazioni ed alle prove addotte
nel giudizio di merito, circa la ricorrenza di un
pregiudizio maggiore, non potendo questo essere
riconosciuto in via automatica ratione materiae»

(Cass. n.

2388 del 2011; Cass. n. 22869 del 2009);
che a fronte di tale indirizzo, appare del tutto
inidonea ad introdurre una valida censura la mera

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di una somma ulteriore (c.d.

indicazione della produzione, nella fase di merito, della
liquidazione INPS;
che con il secondo motivo del ricorso incidentale
(violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 della legge
n. 89 del 2001 e dell’art. 6 della Convenzione Europea dei

civ.; omessa motivazione su punto decisivo controverso ai
sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.; violazione art.
112 cod. proc. civ. ai sensi dell’art. 360, n. 4, cod.
proc. civ. e dell’art. 115 e 167 cod. proc. civ., ai sensi
dell’art. 360, n.3 cod. proc. civ.), il ricorrente si duole
del fatto che la Corte d’appello ha considerato come
termine finale del processo presupposto ancora pendente la
proposizione della domanda di equa riparazione e non la
pronunzia del decreto conclusivo del giudizio di equa
riparazione;
che la doglianza è infondata, in quanto la Corte
d’appello si è correttamente conformata al principio più di
recente enunciato da questa Corte – che il Collegio intende
ribadire, in quanto consentaneo all’esigenza di individuare
un evento certo rispetto al quale calcolare il ritardo
processuale – secondo cui ‘‘in tema di equa riparazione per
violazione del termine ragionevole di durata del processo,
ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, ove la relativa
domanda sia proposta durante la pendenza del processo

Diritti dell’Uomo, ai sensi dell’art. 360, n. 3 cod. proc.

presupposto, il giudice deve prendere in considerazione, ai
fini della valutazione della ragionevolezza della durata di
detto processo, il solo periodo intercorrente tra il suo
promovimento e la proposizione del ricorso per equa

ritardo, futuro ed incerto, suscettibile di maturazione nel
prosieguo del primo processo; tale valutazione prognostica
è infatti esclusa dalla lettera dell’art. 2 della legge
cit., che si riferisce ad un evento lesivo storicamente già
verificatosi e dunque certo, mentre a sua volta l’art. 4,
permettendo l’esercizio dell’azione anche in pendenza del
processo presupposto, come nella specie avvenuto, delimita
l’ambito del pregiudizio, anticipando la liquidazione per
ogni violazione già integrata, e fa implicitamente salva la
facoltà di proporre altra domanda in caso di eventuale
ritardo ulteriore” (Cass., sez. I, 14 aprile 2011, n.
8547);
che tale principio, del resto, già era stato enunciato
da Cass., sez. I, 4 ottobre 2005, n. 19352, ponendosi
altresì in risalto che l’incertezza sui successivi sviluppi
del giudizio presupposto, quanto segnatamente alla sua
durata, potrebbero derivare anche da eventuali future
transazioni o rinunce al diritto azionato;
che non assume alcuna rilevanza la circostanza,
ribadita nel ricorso incidentale, che il ricorrente aveva

riparazione, non potendo considerare altresì l’ulteriore

espressamente chiesto di commisurare l’indennizzo “Pinto”
avendo riguardo alla emanazione del relativo decreto;
che con il terzo motivo del ricorso incidentale
(violazione e falsa applicazione dell’art. 92 cod. proc.

Violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione
all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ.; motivazione illogica su
un punto decisivo controverso, art. 360, n. 5 cod. proc.
civ.) il ricorrente si duole per la decisione della Corte
d’appello di compensare integralmente le spese;
che la doglianza è fondata, posto che nel decreto
impugnato, con il quale pure è stata accolta la domanda, la
compensazione delle spese è giustificata dall’esito
complessivo del giudizio”, dal “notevole ridimensionamento
della domanda” e dall’atteggiamento non oppositivo
dell’amministrazione, laddove il ridimensionamento della
pretesa può integrare i giusti motivi per una compensazione
parziale delle spese, mentre la condotta non oppositiva
dell’amministrazione non può, di per sé, in una
controversia quale quella in esame, concorrere ad integrare
i giusti motivi della compensazione delle spese, tanto più
se integrale;
che dunque, accolto il primo motivo del ricorso
principale, assorbito il secondo, ed accolto il terzo

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civ. in relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ.

motivo del ricorso incidentale, il decreto impugnato deve
essere cassato in relazione ai motivi accolti;
che, tuttavia, non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel

presupposto il termine di anni tre di durata ragionevole
secondo gli standard CEDU;
che residua, così, il termine di durata irragionevole
pari ad anni 9, con indennizzo da liquidare in complessivi
euro 8.250,00, pari ad euro 750,00 per i primi tre anni di
ritardo ed euro 1.000,00 per ciascuno degli anni
successivi;
che in applicazione del principio della soccombenza, il
Ministero ricorrente deve essere condannato al pagamento
delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in
euro 1.140,00, di cui 50,00 per esborsi, 600,00 per diritti
e 490,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli
accessori di legge;
che le spese del giudizio di legittimità, in
considerazione della reciproca soccombenza, possono essere
interamente compensate tra le parti.
PER QUESTI MOTIVI

La Corte

accoglie

il primo motivo del ricorso

principale, assorbito il secondo; rigetta i primi due
motivi del ricorso incidentale e accoglie il terzo;

cassa

merito, defalcando dai dodici anni di durata del processo

il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e,
decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’economia e
delle finanze al pagamento, in favore di De Liso Eduardo,
della somma di euro 8.250,00, oltre agli interessi legali

alla rifusione delle spese del giudizio di merito, che
liquida in euro 1.140,00, di cui 50,00 per esborsi, 600,00
per diritti e 490,00 per onorari, oltre alle spese generali
e agli accessori di legge; compensa le spese del giudizio
di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Sesta Sezione Civile – 2 della Corte suprema di Cassazione,
il 24 aprile 2013.

dalla data della domanda al soddisfo; condanna il Ministero

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