Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16361 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/07/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 30/07/2020), n.16361

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 6336 del ruolo generale dell’anno

2012, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

G.A. e R.M. s.n.c., in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura

speciale in calce al controricorso, dall’avv.to Edoardo Bucca,

elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv.to Renato Marini

in Roma, Via di Villa Sacchetti, n. 9;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Sicilia, sezione staccata di Messina, n. 5/02/2011,

depositata in data 14 gennaio 2011, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28 novembre 2019 dal Relatore Consigliere Dott. Putaturo Donati

Viscido di Nocera Maria Giulia.

 

Fatto

RILEVATO

che:

-con sentenza n. 5/02/2011, depositata in data 14 gennaio 2011, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Messina, rigettava l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di G.A. e R.M. s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 427/05/2005 della Commissione tributaria provinciale di Messina che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto dalla suddetta società avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Ufficio, sulla scorta della omessa presentazione della dichiarazione Iva, per l’anno 1997, previo p.v.c. della Guardia di Finanza di Messina, aveva contestato a quest’ultima, per l’anno 1997, ai fini Iva, maggiori ricavi non contabilizzati in relazione ad omessa fatturazione e tardiva registrazione di operazioni imponibili nonchè registrazione di operazioni imponibili in misura inferiore a quella fatturata;

– in punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR- nel confermare la decisione di primo grado che aveva dichiarato l’illegittimità dell’accertamento in relazione alla asserita omessa fatturazione e tardiva registrazione di operazioni imponibili – ha osservato che: 1) la pretesa avanzata dall’Ufficio non era sorretta da alcun valido elemento di prova, neanche presuntiva, ed, inoltre, violava il D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 53 e 55, non potendo le erogazioni dei soci costituire ricavi e sopravvenienze attive di impresa; 2) sussistendo il medesimo presupposto di fatto – qual era la presunzione di equivalenza tra finanziamento dei soci e ricavi in evasione dovevano ritenersi operanti a favore della società i giudicati esterni: a) di cui alle sentenze n. 155/2/07 e n. 55/26/2007 che, per il 1996, avevano ritenuto illegittimo l’accertamento fiscale, ai fini Ilor e Irpef, basato sul metodo della presunta equivalenza tra finanziamenti dei soci e maggiori ricavi accertati; 2) di cui alle sentenze n. 125 e 126/26/2008 che, per l’anno 1997, ai fini Ilor, avevano ritenuto l’estensione del precedente giudicato (n. 55/26/07) a controversie relative a periodi di imposta diversi, aventi ad oggetto rettifiche impositive fondate sul criterio di accertamento dichiarato illegittimo;

– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui ha resistito, con controricorso, la società contribuente;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. sotto il profilo del c.d. giudicato esterno per avere la CTR quanto alla asserita illegittimità della presunzione di equivalenza tra finanziamento dei soci e ricavi in evasione – esteso erroneamente alla fattispecie in questione i giudicati esterni formatisi in relazione ad annualità diverse in assenza delle medesime circostanze di fatto (sentenze n. 155/2/07 e n. 55/26/2007 per il 1996) e, in relazione a rapporti di imposta diversi, anche se riferiti alla medesima annualità (n. 125 e 126/26/2008 che, per l’anno 1997, ai fini Ilor);

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55 in combinato con il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, per avere la CTR erroneamente ritenuto che “la pretesa avanzata dall’Ufficio impositore (fosse) assolutamente non sorretta da alcun valido elemento di prova neanche presuntiva” anche se l’Ufficio, da un lato, avesse motivato l’avviso per relationem rispetto a quanto contenuto nel p.v.c. e, dall’altro, trattandosi di accertamento induttivo-essendo mancata la dichiarazione Iva – avesse fondato la pretesa impositiva su presunzioni semplici che la contribuente non aveva superato con la prova contraria;

– pregiudiziale è la trattazione del secondo motivo che è inammissibile;

-premesso che, nell’ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione da parte del contribuente, la legge abilita gli Uffici finanziari a servirsi di qualunque elemento probatorio ai fini dell’accertamento del reddito e, quindi, a determinarlo anche con metodo induttivo ed anche utilizzando, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici prive dei requisiti di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 3, sul presupposto dell’inferenza probatoria dei fatti costitutivi della pretesa tributaria ignoti da quelli noti, sicchè, a fronte della legittima prova presuntiva offerta dall’Ufficio, l’onere di dedurre e provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della predetta pretesa incombe sul contribuente (Cass. Sez. 6 – 5, Ord. n. 5228 del 30/03/2012; v. anche Cass. Sez. 5, Sent n. 1240 del 22/01/2014), nella specie, la ricorrente pur denunciando, apparentemente, violazione di legge, chiede in realtà a questa Corte di pronunciarsi ed interpretare questioni di mero fatto non censurabili in questa sede mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto dei fatti storici quanto le valutazioni di quei fatti espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone alle proprie aspettative; e invero, il giudice di appello ha con una valutazione di merito- non sindacabile in sede di legittimità-affermato che “la pretesa avanzata dall’Ufficio impositore (era) assolutamente non sorretta da alcun valido elemento di prova neanche presuntiva” per cui la doglianza- in disparte l’irrilevante argomentazione relativa alla motivazione per relationem dell’avviso, non essendo la ritenuta illegittimità della pretesa tributaria fondata su un assunto difetto di motivazione dell’atto impositivo- si risolve in una difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice di merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (cfr. ex plurimis Cass. n. 3077 del 2019; n. 24198 del 2018; Cass. 23.12.2009 n. 27162; Cass. 6.3.2008 n. 6064); nella specie, peraltro, la asserita mancanza di alcuna prova, neanche presuntiva, a sostegno della pretesa tributaria, è rafforzata dalla ritenuta illegittimità della presunzione operata dall’Ufficio di equivalenza tra finanziamento dei soci e ricavi occultati; ciò, in conformità al condivisibile orientamento già espresso da questa Corte secondo cui “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, i versamenti straordinari dei consorziati, rivolti a ripianare perdite sociali, non possono essere inclusi fra i ricavi o le sopravvenienze attive, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 53 e 55″ atteso che, se integrano prestiti con obbligo di restituzione, non comportano un profitto per la società, ma si esauriscono in un incremento di liquidità, e, se siano effettuati a fondo perduto od in conto capitale, aumentano il patrimonio sociale, ma non sono computabili fra le sopravvenienze attive, in base all’espressa previsione del citato D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55, comma 4” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 11655 del 2001);

– essendo la sentenza impugnata sorretta da due diverse “rationes decidendi”, una fondata sulla ravvisata mancata produzione da parte dell’Ufficio di elementi probatori, neanche presuntivi, a sostegno della pretesa impositiva e l’altra sulla ritenuta estensione di giudicati esterni alla fattispecie, l’inammissibilità del secondo motivo- che aggredisce la sentenza nella parte in cui la CTR ritiene l’assenza di alcun valido elemento di prova neanche presuntiva da parte dell’Ufficio- è inammissibile, per sopravvenuta carenza di interesse, anche il primo motivo; ciò, in applicazione del principio secondo cui “Ricorre pertanto il consolidato indirizzo di legittimità secondo cui: “quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fonda su distinte ed autonome “rationes decidendi” ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perchè possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le riferite “rationes”, dall’altro che tali censure risultino tutte fondate. Ne consegue che, rigettato (o dichiarato inammissibile) il motivo che investe una delle riferite argomentazioni, a sostegno della sentenza impugnata, sono inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso che anche se questi ultimi dovessero risultare fondati, non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta” (Cass. n. 4809 del 2017; n. 12372 del 24/05/2006; in termini: Cass. 16.8.06 n. 18170; Cass.29.9.05 n. 19161 ed altre);

– in conclusione, il ricorso va rigettato;

– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;

PQM

la Corte:

-rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, al pagamento in favore di G.A. e R.M. s.n.c. delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5.600,00 per compensi, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 30 luglio 2020

 

 

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