Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16361 del 04/08/2016


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Cassazione civile sez. VI, 04/08/2016, (ud. 14/01/2016, dep. 04/08/2016), n.16361

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5644/2015 proposto da:

J.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SARDEGNA, N.29,

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO FERRARA, rappresentata e

difesa dagli avvocati GIUSEPPE DI MEO, SILVIO FERRARA giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 3446/2014 della CORTE D’APPFLI O di NAPOLI del

19/06/2014, depositata i128/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/01/2016 dal Consigliere Relatore Dott. CARLO DE CHIARA.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

Che è stata depositata relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., nella quale si legge quanto segue:

“1. – La sig.ra J.L., cittadina nigeriana, ricorse al Tribunale di Napoli avverso il diniego di protezione internazionale pronunciato dalla competente commissione territoriale.

Il Tribunale, dichiarata cessata la materia del contendere quanto alla richiesta gradata di permesso di soggiorno per motivi umanitari (permesso rilasciato nelle more), respinse per il resto il ricorso, negando alla ricorrente il riconoscimento sia dello status di rifugiata sia della protezione sussidiaria, sul rilievo che la ricorrente stessa, venendo meno ai propri doveri di collaborazione, non aveva fornito alcun concreto elemento indiziario relativamente alla sua situazione personale.

La Corte d’appello napoletana ha respinto, poi, il gravame della soccombente osservando, in particolare, che “il suo racconto attuale, comunque stereotipato, non è accompagnato da alcun riscontro, anche minimale, e non vi sono ragioni obiettive per ritenere anche solo soggettivamente credibile la medesima: di fatto, il giudice adito, compresa la Corte, non sono nelle condizioni di svolgere attività istruttoria d’ufficio”.

La sig.ra J. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, cui non ha resistito l’amministrazione intimata.

2. – I due motivi di ricorso, con cui si deduce violazione di varie norme del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, e del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, da esaminare congiuntamente in quanto connessi e parzialmente ripetitivi, sono inammissibili.

Le critiche della ricorrente si incentrano sulla negazione del riconoscimento dello status di rifugiata in quanto perseguitata per ragioni di orientamento sessuale, o comunque della protezione sussidiaria in quanto esposta al pericolo di subire trattamenti inumani o degradanti con riferimento alla medesima sua precedente condotta omosessuale. In proposito, il racconto della ricorrente, per come testualmente riferito in ricorso, è il seguente: “… Tornata in strada intratteneva una frequentazione con una ragazza, che la faceva oggetto di favori sessuali, ospitandola in casa sua. Dopo diverse insistenze, anche in toni minacciosi, l’esponente acconsentiva ad aver rapporti carnali con la ragazza. Tuttavia la relazione veniva scoperta dai genitori della compagna, che il (OMISSIS) picchiavano selvaggiamente la richiedente. Sapendo che la denuncia alla Polizia per atti immorali avrebbe comportato il rischio di condanna a morte ovvero a trattamenti inumani e degradanti, vista anche l’impossibilità di avere una qualche difesa per lo stato di indigenza, ella scappava nel villaggio di (OMISSIS), ove subiva una tentata violenza carnale da parte di alcuni ragazzi. Sapendo di essere ricercata dalla Polizia per la denuncia del “crimine” sessuale e non avendo altro posto dove riparare lasciava allora definitivamente il Paese, per evitare una ingiusta ed inumana incarcerazione ovvero una condanna a morte, rischio che tuttora persiste in caso di rimpatrio”.

Con il ricorso si lamenta che la Corte d’appello non abbia ottemperato al proprio dovere di “cooperazione istruttoria” (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2) e di valutazione del racconto della ricorrente alla stregua dei criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, pur “a fronte delle precise e circostanziate deduzioni di parte appellante, suffragate da dovizia di particolari”.

Sennonchè, di deduzioni siffatte non v’è traccia nel ricorso, in cui i riferimenti fattuali alla ragione di discriminazione o di minaccia di danno grave valorizzata con il ricorso stesso – ossia l’esperienza omosessuale della richiedente – sono limitati a quanto sopra testualmente riportato: che non si sottrae certo alla valutazione di genericità e stereotipia posta dai giudici di merito a base della loro decisione, considerato che non viene neppure precisato, tra l’altro, se effettivamente una denuncia per gli atti omosessuali fu mai presentata alle autorità di polizia – che asseritamente ricercavano la ricorrente – e da chi (dai genitori della sua compagna, che avrebbero così denunciato anche la propria figlia?).

L’ulteriore censura, articolata nella seconda parte del secondo motivo, relativa alla omessa acquisizione di informazioni sul trattamento sanzionatorio riservato all’omosessualità e ai comportamenti omosessuali nel paese di origine della richiedente, è inammissibile venendo su un profilo evidentemente assorbito dalla pregiudiziale valutazione di inattendibilità dei fatti narrati dalla ricorrente, operata dai giudici di merito”;

che tale relazione è stata ritualmente comunicata agli avvocati delle parti costituite;

che la difesa di parte ricorrente ha presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che il collegio condivide le considerazioni svolte nella relazione di cui sopra, non superate dalle osservazioni contenute nella memoria di parte ricorrente;

che pertanto il ricorso va respinto;

che in mancanza di attività difensiva della parte intimata non occorre provvedere sulle spese processuali;

che dagli atti il processo risulta esente dal contributo unificato, onde non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 gennaio 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2016

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