Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16352 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/07/2020, (ud. 10/10/2019, dep. 30/07/2020), n.16352

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sul ricorso 20662-2012 proposto da:

IACP FUTURA SOCIETA’ CONSORTILE RL in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliato in SALERNO VIA DE GRANITA

PAOLO 42 rappresentato e difeso dall’Avvocato MAURA DE ANGELIS con

procura speciale del Dott. FILIPPO ANSALONE in FISCIANO rep. n.

82055 del 08/08/2013;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO LOCALE DI SALERNO in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 327/2011 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST: di

SALERNO, depositatà il 15/06/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/10/2019 dal Consigliere Dott. NAPOLITANO LUCIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA che ha concluso per l’inammissibilità e rigetto del

ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato OCCHIUTO per delega dell’Avvocato

DE ANGELIS che si riporta al ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 327/9/11, depositata il 15 giugno 2011, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Campania sezione staccata di Salerno – rigettò l’appello proposto dalla I.A.c.p. Futura – Società Consortile a r. L. – nei confronti dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Salerno, che aveva a sua volta rigettato il ricorso proposto dalla società avverso avviso di accertamento per imposte dirette ed IVA relativo all’anno d’imposta 2004, col quale erano recuperati a tassazione, in applicazione del principio di competenza, giusta il del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), art. 109, comma 2, lett. a), maggiori ricavi per Euro 3.857.025,00, pari alla differenza, non dichiarata, tra i corrispettivi di cui ai rogiti notarili stipulati nell’anno ed i ricavi dichiarati dalla società, nonchè costi vari ritenuti indeducibili per complessivi Euro 381.108,94.

Avverso la sentenza della CTR la società ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Intervenuto il fallimento della società in pendenza della notifica del ricorso per cassazione, ha depositato atto d’intervento, notificato all’ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate, cui incombeva l’obbligo di trasmissione all’Avvocatura generale dello Stato già costituita, la curatela fallimentare, facendo proprie le conclusioni di cui all’originario ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 109 TUIR e dell’art. 2423 bis c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), rivendicando, quanto alla rettifica dei maggiori ricavi imputati alla società, la correttezza dell’appostazione in bilancio come operata, non solo per l’anno in contestazione, dalla società ma anche con riferimento ad anni anteriori ed a quello successivo, in ragione del medesimo criterio contabile adoperato, avendo sempre la società provveduto a registrare, come ricavi, i corrispettivi conseguiti in forza di atti con ampia valenza pubblica, quali i decreti regionali di assegnazione degli alloggi, di approvazione del Quadro Tecnico Economico (QTE), in forza dei quali era determinato il prezzo finale di trasferimento.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 23 e 53 Cost., violazione e falsa applicazione dell’art. 163 TUIR e violazione e falsa applicazione dello Statuto dei contribuenti, ribadendo che la società non aveva mai occultato ricavi, che, in ragione del criterio adottato erano stati in parte imputati, relativamente ai corrispettivi dei rogiti stipulati nel 2004, anche ad altri esercizi (dal 2001 al 2003 relativamente a quelli anteriori, nonchè al successivo anno 2005); di modo che, per evitare d’incorrere nel fenomeno della doppia imposizione, vietata dall’art. 163 TUIR, per effetto del quale “La stessa imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti diversi”, di ciò si sarebbe dovuto tener conto in sede di compensazione e/o di rimborso di somme già versate per effetto del diverso criterio temporale d’imputazione.

Nell’ambito dello stesso motivo, ed in difetto d’indicazione di autonoma rubrica, la società lamenta altresì l’erroneità della sentenza impugnata, nella parte in cui ha confermato la legittimità del recupero a tassazione dell’importo di Euro 381.109,95 per costi ritenuti dall’Amministrazione non deducibili perchè non rispondenti ai requisiti d’inerenza o al principio di competenza.

3. I motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto tra loro connessi.

Essi sono infondati.

3.1. L’art. 109 TUIR, comma 1, stabilisce che i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali non sia disposto diversamente dalle precedenti norme della stessa sezione del predetto testo unico, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza, ai fini della cui determinazione, per quanto qui rileva, secondo il successivo comma 2, lett. a), i corrispettivi delle cessioni si considerano conseguiti, per i beni immobili, alla data della stipulazione dell’atto.

Ne consegue che, così come affermato dall’impugnata sentenza, è pienamente legittima la ripresa a tassazione della differenza registrata tra i corrispettivi dichiarati nei rogiti notarili stipulati nell’anno 2004, cui si riferisce l’accertamento per cui è causa, ed i ricavi dichiarati dalla società per l’anno medesimo.

3.2. In proposito giova ricordare che questa Corte ha più volte espresso il principio secondo cui, in tema di reddito d’impresa, le regole sull’imputazione temporale dei componenti di reddito, siano essi positivi o negativi, sono inderogabili (cfr., ex multis, Cass. sez. 5, 17 novembre 2006, n. 24474; con riferimento ai costi, più di recente, cfr. Cass. sez. 5, 17 luglio 2014, n. 16349; Cass. sez. 5, 23 dicembre 2014, n. 27296), potendo comportare, in astratto, l’imputazione ad un esercizio piuttosto che ad un altro, l’alterazione dei risultati della dichiarazione, mediante i meccanismi di compensazione dei ricavi e dei costi nei singoli esercizi.

3.3. Nè, d’altronde, diversamente da quanto prospettato da parte ricorrente, risulta violato il principio del divieto di doppia imposizione, che è evitabile dal contribuente con la richiesta di restituzione della maggiore imposta versata con riferimento alle annualità diverse, secondo il prospetto riepilogativo indicato a pag. 17 del ricorso, proponibile nei limiti dell’ordinaria prescrizione a far data dal giudicato sulla legittimità del recupero dei componenti di reddito non dichiarati nell’esercizio di competenza (cfr. Cass. sez. 5, ord. 7 febbraio 2018, n. 2928; Cass. sez. 5, 10 marzo 2008, n. 6331).

3.4. Con riferimento, infine, alla doglianza relativa alla confermata legittimità del recupero a tassazione dei costi ritenuti non deducibili, in disparte profili d’inammissibilità della censura, genericamente formulata, senza l’indicazione del parametro normativo in relazione al quale si è dedotta l’asserita violazione di legge, la sentenza impugnata ha dato conto adeguato della legittimità della ripresa in relazione a ciascuna tipologia di costo.

3.4.1. Quanto al compenso corrisposto all’arch. Pagliara per Euro 131.108,95, essendo quest’ultimo riferito a prestazione ultimata nel 2003, a nulla rilevando la fattura provvisoria emessa nel 2004 (cfr., tra le molte, Cass. sez. 5, 31 maggio 2016, n. 11311).

3.4.2. Relativamente al disconoscimento del costo per Euro 240.000,00 riferito a compenso degli amministratori, avendone la sentenza impugnata rilevato il difetto di prova, incombente sulla società, con riferimento alla relativa previsione di spesa nei verbali del Consiglio di Amministrazione del 2004.

Al riguardo deve rilevarsi che la censura in proposito difetta anche di autosufficienza, atteso che, nel riferire che l’assemblea dei consorziati ha regolarmente approvato il bilancio di esercizio dal quale si rileverebbe il compenso erogato agli amministratori, non indica tempo e luogo della relativa produzione nel giudizio di merito.

3.4.3. Ugualmente risulta infine conforme a legge la conferma del disconoscimento, sempre per violazione del principio di competenza, dell’ulteriore costo di Euro 10.000,00 per spese relative alla stampa di rivista informativa delle attività della società consortile, in quanto riferite a pubblicazione del 2003.

4. Il ricorso va pertanto rigettato.

5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la curatela fallimentare al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 9.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 30 luglio 2020

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