Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16352 del 03/07/2017

Cassazione civile, sez. lav., 03/07/2017, (ud. 04/04/2017, dep.03/07/2017),  n. 16352

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10962-2015 proposto da:

ASS FOR SEO SOCIETA’ CONSORTILE A.R.L. C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio TOFFOLETTO – RAFFAELE DE LUCA

TAMAJO, rappresentata e difesa dagli avvocati FEDERICA PATERNO’,

FRANCO TOFFOLETTO, FABRIZIO BADO’, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

R.F. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA ELEONORA DUSE 53, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO

TRAVAGLINI, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8045/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/10/2014 r.g.n. 5318/2011 + 1;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/04/2017 dal Consigliere Dott. BLASUTTO DANIELA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO, che ha concluso per accoglimento del primo motivo,

assorbito il secondo motivo;

udito l’Avvocato FABRIZIO BADO’;

udito l’Avvocato FEDERICA PATERNO’;

udito l’Avvocato FAUSTO GIACHI per delega verbale Avvocato ALESSANDRO

TRAVAGLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 8045/2014, respingendo le opposte impugnazioni, ha confermato la sentenza del locale Tribunale che, in parziale accoglimento del ricorso proposto da R.F. nei confronti della ASS FOR SEO società consortile a r.l., aveva accertato che tra le parti era intercorso ed aveva avuto esecuzione un rapporto di lavoro subordinato sin dall’inizio del primo contratto a progetto stipulato tra le parti.

1.1. Erano da respingere le censure formulate dalla lavoratrice, appellante incidentale, la quale aveva domandato la conversione automatica per aspecificità dei progetti D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 69, comma 1: dall’esame del contenuto dei contratti emergeva che i progetti non si risolvevano nella pura e semplice attuazione dell’oggetto dell’impresa, ma in ognuno era richiamata la necessità di un risultato finale da raggiungere entro il termine predeterminato, con autonoma gestione dei tempi di lavoro, secondo la specifica professionalità della lavoratrice scelta in funzione di raggiungimento dell’obiettivo dichiarato.

1.2. Del pari infondate erano le censure formulate dalla società, appellante principale, in merito al riconoscimento della subordinazione, dovendosi condividere la soluzione interpretativa del Tribunale che aveva ritenuto la difformità delle modalità di espletamento della prestazione lavorativa rispetto alla natura autonoma dell’attività dedotta nei contratti sottoscritti: la lavoratrice aveva svolto mansioni di amministratore di rete e di responsabile del settore informatico anche al di fuori degli specifici compiti indicati dei contratti a progetto in esecuzione e la prova testimoniale aveva confermato le evidenze documentali, le quali non avevano formato oggetto di censure specifiche della società appellante. Sussisteva la prova del concreto assoggettamento della ricorrente al potere direttivo, di controllo e disciplinare del datore di lavoro; i contratti stipulati fungevano da contratti – quadro di una serie di prestazioni da svolgere all’interno dei locali aziendali, in coordinamento con le esigenze organizzative dell’impresa, con inserimento nell’organizzazione della società e con utilizzo di mezzi e strumenti di quest’ultima, senza assunzione di alcun rischio; l’appellata era sottoposta a istruzioni specifiche con puntuali ordini di servizio impartiti dai superiori, che di seguito esercitavano il proprio potere di controllo. Quanto all’eccepito mancato esercizio del potere disciplinare, la società non aveva dedotto nè provato la violazione di obblighi contrattuali rispetto ai quali valutare il mancato esercizio di tale potere. Circostanze non decisive erano la mancata osservanza di un orario predeterminato e l’assenza dell’obbligo di giustificare le assenze, al pari della forma della retribuzione, peraltro compatibile con il rapporto subordinato. 1.3. Quanto alle conseguenze dell’accertata subordinazione, doveva trovare applicazione il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 2: al riguardo il Tribunale aveva ritenuto la nullità dei termini apposti singoli contratti ed aveva ritenuto la costituzione di un unico rapporto di lavoro subordinato sin dall’origine ed ancora in corso; tale conclusione non era stata sottoposta a specifica censura dalle parti, nè l’estromissione della R. alla scadenza del termine dell’ultimo contratto poteva essere qualificato come licenziamento, poichè il datore di lavoro si era limitato a comunicare la disdetta per scadenza del termine e non aveva intimato, sul presupposto dell’intervenuta conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato, il licenziamento della dipendente.

1.4. Le mansioni svolte dalla R. erano riconducibili al livello 5^ del C.C.N.L. del settore commercio e le differenze retributive erano state liquidate dal Tribunale secondo conteggi redatti alla stregua dei minimi tariffari della contrattazione collettiva applicabile, in assenza di specifiche e puntuali contestazioni; per contro, la lavoratrice non aveva dimostrato i presupposti per l’accoglimento delle voci relative all’indennità sostitutiva di ferie e permessi; infine, non potevano trovare accoglimento le domande relative all’indennità sostitutiva del preavviso e al TFR, essendo il rapporto ancora in essere.

2. Per la cassazione di tale sentenza la società consortile a r.l. ASS FOR SEO ha proposto ricorso affidato a due motivi, cui resiste R.F. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c. e D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, per avere la sentenza adottato una nozione di subordinazione non conforme a quella enunciata dalla giurisprudenza di legittimità. Solo un’ingerenza costante ed intensa nell’esecuzione dell’attività lavorativa giustifica un’operazione di riqualificazione del rapporto, non essendo sufficiente un mero coordinamento ovvero indicazioni di carattere generale e/o richieste non imperative e non cogenti, evidentemente tipiche e necessarie in ogni tipo di relazione. La sentenza impugnata, dopo avere astrattamente delineato in modo corretto la subordinazione, aveva erroneamente ritenuto di rinvenirla in modo del tutto assiomatico, richiamando in modo generico i documenti indicati dal Tribunale, senza neanche effettuare un’analisi delle deposizioni testimoniali rese, limitandosi ad affermare che la prova orale non aveva fatto altro che confermare le evidenze documentali, tralasciando di entrare nel merito di tali deposizioni, di analizzarle, di valutare le critiche mosse dalla società all’interpretazione fornita dal giudice di prime cure. Tale valutazione acritica si era fondata su indici secondari, quali la continuità dell’attività, lo svolgimento all’interno dell’azienda, con materiali e beni ivi presenti e in linea di massima con osservanza degli orari standard degli uffici, trascurando di considerare che nessuno dei testimoni aveva confermato che la ricorrente soggiacesse al puntuale potere direttivo – gerarchico – organizzativo dei preposti aziendali; al contrario, i testi esaminati avevano descritto una relazione la cui qualificazione era del tutto compatibile con quella del lavoro autonomo.

2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2118 c.c., della L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 8, e del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, quanto all’interpretazione data dalla sentenza impugnata alla cessazione del rapporto di lavoro intercorso tra le parti. La sentenza aveva applicato alla fattispecie le conseguenze proprie dei contratti a termine illegittimi, aderendo all’orientamento secondo cui, in caso di scadenza del contratto di lavoro con termine nullo, in ragione della specialità della disciplina dettata in materia, non si applicano le norme sui licenziamenti, ma tale ragionamento trascurava di considerare che nella fattispecie oggetto di giudizio, a seguito dell’accertata la natura subordinata, vi era stata la costituzione di un unico rapporto sin dall’origine, avente ad oggetto lo svolgimento di prestazioni lavoro subordinato a tempo indeterminato, con conseguente assoggettamento alle normali regole sui licenziamenti e non già a quelle dei contratti a tempo determinato, non operando la deroga giustificata dalla specialità della disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1. Difatti, solo in virtù di tale deroga non si applica, all’interruzione dei contratti a termine illegittimamente stipulati, la disciplina contenuta nell’art. 18 Stat. Lav. ovvero nella L. n. 604 del 1966, art. 8. Alla stregua della riqualificazione del rapporto, la Corte avrebbe dovuto interpretare l’atto risolutivo quale licenziamento. In proposito, la società aveva tempestivamente dedotto ed argomentato in primo grado di occupare stabilmente nel Comune di Roma meno di quindici dipendenti e meno di sessanta nell’intero territorio nazionale, con conseguente inesistenza del requisito dimensionale necessario per l’applicazione della tutela reale. Di conseguenza, la sanzione applicabile dovrebbe essere quella di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 6, ovvero la riassunzione o il risarcimento del danno in misura pari a 2,5 o 6 mensilità, con esclusione dell’operatività dell’art. 18 Stat. lav..

3. Il primo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto sub specie violazione di legge la società ricorrente prospetta sostanzialmente una rilettura delle risultanze istruttorie mediante valorizzazione degli elementi ritenuti più convincenti.

3.1. Occorre premettere che la sussistenza dell’elemento della subordinazione nell’ambito di un contratto di lavoro va correttamente individuata sulla base di una serie di indici sintomatici, comprovati dalle risultanze istruttorie, quali la collaborazione, la continuità della prestazione lavorativa e l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale, da valutarsi criticamente e complessivamente, con un accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità (cfr. tra le più recenti, Cass. 14434 del 2014). Occorre pure premettere che la conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, e l’osservanza degli artt. 115 e 116 c.p.c..

non richiedono che il giudice di merito dia conto dell’esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, offrendo una motivazione logica ed adeguata, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l'”iter” argomentativo seguito (Cass. n. 17145 del 2006, n. 22801 del 2009, n. 5241 del 2011, n. 8294 del 2011). Al fine di assolvere l’onere di adeguatezza della motivazione, il giudice di appello non è tenuto ad esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione così da doversi ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass. n. 25509 del 2014).

3.2. Ciò posto, deve rilevarsi che la Corte territoriale ha chiaramente indicato le fonti del proprio convincimento (prove documentali e testimoniali) ed ha sottolineato in particolare che il contratto di lavoro a progetto, di volta in volta stipulato, fungeva da mero contratto – quadro, rispetto al quale alla lavoratrice erano richiesti “singoli compiti, di volta in volta assegnati…anche al di fuori delle specifiche attività dedotte nei contratti a progetto…”; la ricorrente era sottoposta “non tanto a generiche direttive, ma ad istruzioni specifiche, con puntuali ordini di servizio impartiti dai superiori, che di seguito esercitavano un vero e proprio controllo…” (pagg. 4 e 5 sent.). Erano dunque impartite specifiche e dettagliate indicazioni circa i concreti contenuti della prestazione. Questa non si risolveva nella realizzazione di un opus determinato, ma nella messa a disposizione del datore di lavoro delle mere energie lavorative, con pieno inserimento della lavoratrice nell’organizzazione aziendale, in coordinamento con le esigenze organizzative dell’impresa e con utilizzo di mezzi e strumenti di quest’ultima.

3.3. La contestazione di tale ricostruzione fattuale si risolve in una richiesta sostanziale di riesame del merito, insindacabile in sede di legittimità (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694).

3.4. Il motivo riguarda una diversa ricostruzione degli elementi di fatto ritenuti decisivi e non l’interpretazione ad applicazione alla fattispecie di norme di legge. Al riguardo, va ricordato che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. n. 7394 del 2010, n. 8315 del 2013, n. 26110 del 2015, n. 195 del 2016).

3.5. Nella specie, è evidente che la ricorrente lamenta l’erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, e dunque un vizio motivo da valutare alla stregua del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che lo circoscrive all’omesso esame di un fatto storico decisivo (cfr. sul punto Cass. sez. un. 22 aprile 2014, n. 19881), riducendo al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione: Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053. E’ invece inammissibile una doglianza che fondi il presunto errore di sussunzione – e dunque un errore interpretativo di diritto – su una ricostruzione fattuale diversa da quella posta a fondamento della decisione, alla stregua di una alternativa interpretazione delle risultanze di causa.

4. Quanto al secondo motivo, va premesso che, secondo la recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. 12820 del 2016; conf. Cass. n. 17127 del 2016), che si intende qui ribadire, in tema di contratto di lavoro a progetto, il regime sanzionatorio articolato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, pur imponendo in ogni caso l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato, contempla due distinte e strutturalmente differenti ipotesi, atteso che, al comma 1, sanziona il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, realizzando un caso di cd. conversione del rapporto “ope legis”, restando priva di rilievo l’appurata natura autonoma dei rapporti in esito all’istruttoria, mentre al comma 2 disciplina l’ipotesi in cui, pur in presenza di uno specifico progetto, sia giudizialmente accertata, attraverso la valutazione del comportamento delle parti posteriore alla stipulazione del contratto, la trasformazione in un rapporto di lavoro subordinato in corrispondenza alla tipologia negoziale di fatto realizzata tra le parti.

4.1. Quanto agli effetti di tale distinzione, questa Corte ha pure osservato (Cass. n. 9471 del 2016) che nell’ambito dell’apparato sanzionatorio previsto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, ai commi 1 e 2, benchè entrambe le ipotesi siano sanzionate con l’applicazione della disciplina propria dei rapporti di lavoro subordinato, si tratta però di fattispecie strutturalmente differenti, giacchè nella prima rileva il dato formale della mancanza di uno specifico progetto a fronte di una prestazione lavorativa che, in punto di fatto, rientra nello schema generale del lavoro autonomo (sulla riconducibilità della collaborazione coordinata e continuativa nell’alveo del lavoro autonomo cfr., fra le tante, Cass. n. 6053 del 1986), laddove nella seconda rilevano le modalità di tipo subordinato con cui, nonostante l’esistenza di uno specifico progetto, è stata di fatto resa la prestazione lavorativa. La riprova è che, riferendosi ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instauratisi senza uno specifico progetto, l’art. 69, comma 1, cit., impiega la locuzione “sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto”, tipica dei casi di c.d. “conversione” del rapporto ope legis (quali ad es. le fattispecie interpositorie o di illegittima apposizione del termine finale di durata a contratto di lavoro), mentre con riguardo all’ipotesi che si accerti in fatto che il rapporto sia venuto a configurare un rapporto di lavoro subordinato, il successivo comma 2 stabilisce che “esso si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti”: nonostante il legislatore impieghi la locuzione “si trasforma”, è infatti evidente che, in questo secondo caso, si tratta semplicemente di dichiarare giudizialmente ciò che le parti hanno realmente mostrato di volere attraverso il comportamento posteriore alla stipulazione del contratto, come si evince dal riferimento alla “tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti” contenuto nel prosieguo della disposizione in esame.

4.2. Applicando tali principi alla fattispecie in esame, si desume dalla sentenza impugnata che l’attuale resistente aveva proposto entrambe le domande e che, respinta la prima, vertente sulla non conformità del contratto a progetto alle previsioni legali, con conseguente esclusione delle conseguenze sanzionatorie di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, (“I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell’art. 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto”), i giudici di merito hanno accolto la seconda domanda, intesa a far rilevare la difformità del concreto svolgimento del rapporto di lavoro dal contenuto delle pattuizioni negoziali. Opera dunque la previsione di cui all’art. 69 cit., comma 2, secondo cui “Qualora venga accertato dal giudice che il rapporto instaurato ai sensi dell’art. 61 sia venuto a configurare un rapporto di lavoro subordinato, esso si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti”.

4.3. Nel caso regolato dal comma 1, si è in presenza di una collaborazione coordinata e continuativa di tipo autonomo ma non conforme al modello negoziale adottato, ipotesi che il legislatore ha sanzionato con la conversione ope legis; nel caso regolato dal secondo comma, l’accertamento della subordinazione comporta l’applicazione del regime previsto dall’ordinamento per la tipologia negoziale di fatto realizzatasi. Ai fini della individuazione del regime applicabile, occorre avere riguardo alla medesima ricostruzione fattuale compiuta dai giudici di merito (se di lavoro subordinato a tempo determinato, a tempo parziale, intermittente, ecc.).

4.4. La sentenza impugnata, dopo avere dato atto (pag. 6) che il Tribunale aveva ritenuto intercorsi tra le parti più rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato, con apposizione di termini affetti da nullità e con applicazione del conseguente regime (giurisprudenza espressa da S.U. n. 7471/91, Cass. n. 17524/2002 e successive conformi), ha osservato che “tale conclusione non è stata sottoposta a specifica censura dalle parti” ed ha ritenuto la nullità del termine apposto all’ultimo contratto, per cui alla relativa scadenza la R. era stata estromessa per effetto dell’assenza di rinnovo del contratto scaduto, senza alcuna autonoma manifestazione di volontà della parte datoriale suscettibile di assumere significato di licenziamento.

4.5. Se dunque non venne censurata in appello, con specifico mezzo di gravame, la ricostruzione in fatto operata dal giudice di primo grado secondo cui il rapporto intercorso tra le parti ebbe lo svolgimento tipico di plurimi rapporti di lavoro subordinato a termine, è priva di pertinenza rispetto al decisum e quindi inammissibile ex art. 366 c.p.c., la tesi che postula l’accoglimento, ad opera dei giudici di merito, di una diversa ricostruzione fattuale, quella dell’intervenuto riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, in cui l’atto conclusivo resta suscettibile di una interpretazione in termini di licenziamento. Invero, i giudici di merito (rectius: il giudice di primo grado con statuizione non oggetto di specifiche censure in appello ad opera delle parti) hanno ravvisato plurimi rapporti di lavoro a tempo determinato, in cui la clausola appositiva del termine era da ritenere nulla, e non (come sembra ipotizzare parte ricorrente) plurimi rapporti di lavoro autonomo qualificati in giudizio come un unico rapporto a tempo indeterminato.

4.6. In punto di diritto, la soluzione è conforme al costante indirizzo di questa Coste secondo cui nel caso di scadenza di un contratto di lavoro a termine illegittimamente stipulato, la disdetta con la quale il datore di lavoro, allo scopo di evitare la rinnovazione tacita del contratto, comunica al dipendente la scadenza del termine illegittimamente apposto, configura un atto meramente ricognitivo, non una fattispecie di recesso, e la prestazione lavorativa cessa in ragione dell’esecuzione che le parti danno alla clausola nulla. Ne consegue l’inapplicabilità della L. n. 604 del 1966, art. 6, e della L. n. 300 del 1970, art. 18, benchè la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato dia al dipendente il diritto al ripristino del rapporto di lavoro e, ove negato, il diritto alla tutela risarcitoria (Cass. n. 23756 del 2009, nonchè Cass. n17524 del 2002 e numerose altre).

5. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2. Sussistono i presupposti processuali (nella specie, rigetto del ricorso) per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (legge di stabilità 2013).

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi professionali e in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 4 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2017

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