Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16349 del 13/07/2010

Cassazione civile sez. un., 13/07/2010, (ud. 15/06/2010, dep. 13/07/2010), n.16349

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Primo Presidente –

Dott. PREDEN Roberto – Presidente di Sezione –

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente di Sezione –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6905/2010 proposto da:

R.P. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in (OMISSIS),

presso il proprio studio, rappresentato e difeso da sè medesimo;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE FORENSE DI CASSINO;

– intimato –

avverso la decisione n. 131/2009 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE,

depositata il 27/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2010 dal Consigliere Dott. MAURIZIO MASSERA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – Il Consiglio dell’Ordine Forense di Cassino, con decisione del 20 gennaio 2006, infliggeva all’iscritto R.P. la sanzione disciplinare dell’avvertimento per aver tenuto comportamenti non conformi alla dignità e a decoro professionale, arrecando nocumento ai prestigio della classe forense.

I comportamenti addebitati erano i seguenti: a) in una lettera raccomandata inviata ad un collega aveva definito una pronunzia giurisdizionale “sgangherata opinione di un giudicè; b) in altra lettera raccomandata Inviata a medesimo collega aveva affermato che costui aveva iniziato “un’azione di pignoramento contro mia madre, ma di fatto concretizzatasi in un’aggressione al mio Studio Legale”; c) in altra missiva aveva scritto “quest’ultima coincidenza negativa rafforza ancor più le mie oscure rappresentazioni e dimostra, ancora una volta qualora ce ne fosse bisogno, che i procedimento disciplinare promosso nei miei confronti nella realtà ha altri scopi di cui uno ora è palese e dichiarato, quello di ricevere delle vantate spese, ma anche quello di dimostrare che l’Avvocato R.P. è un debitore, un acerrimo debitore, dell’Avvocato Re.Vi. o di un suo cliente; d) nell’atto di citazione notificato ai medesimo collega aveva dichiarato che vi era stato da parte dell’Avvocato Re.Vi. o de suo assistito P.M. “il disconoscimento del proprio studio legale, della propria attività professionale.

Della propria parola, del proprio onore”.

2 Con decisione de 28 maggio 2009, depositata il 27 novembre 2009 e notificata il 4 febbraio 2010, il Consiglio nazionale forense ha rigettato il ricorso del R..

In particolare affermava era stato pienamente rispettato il principio del contraddittorio; i fatti addebitati erano stati indicati chiaramente; la prescrizione era stata interrotta; le valutazioni discrezionali dell’Ordine territoriale non erano sindacabili; i componenti di quell’Ordine non si erano comportati illegittimamente.

3 – Avverso la suddetta decisione il R. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Il Consiglio Nazionale Forense non ha espletato attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 24 e 111 Cost., dell’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; violazione della L. n. 241 del 1990, e successive modificazioni e integrazioni; illegittima riapertura del procedimento disciplinare; violazione del R.D. n. 1578 del 1933, art. 50; violazione dell’art. 328 c.p.c.; prescrizione e decadenza degli addebiti; incompetenza; eccesso di potere; omessa motivazione.

La pluralità delle censure, ontologicamente e strutturalmente diverse, incide negativamente sul necessario carattere di specificità che ciascun motivo del ricorso per cassazione deve presentare.

Inoltre non è stato rispettato il principio, secondo cui il ricorso per cassazione richiede, per ogni motivo di ricorso, oltre alla rubrica del motivo, con la puntuale indicazione delle ragioni per cui il motivo medesimo – tra quelli espressamente previsti dall’art. 360 c.p.c., – anche l’illustrazione del singolo motivo, contenente l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata, e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione ai motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza.

Invece il motivo in esame si sostanzia in una serie di affermazioni apodittiche che trattano i molteplici argomenti enunciati senza addurre argomentazioni dimostrative e senza contrastare la motivazione della decisione impugnata.

Tuttavia, per ragioni di completezza, si osserva che (vedi Cass. SU. n. 9097 de 2005) i Consigli territoriali sono organi associativi che, anche quando operano in materia disciplinare, esercitano funzioni amministrative e non giurisdizionali, svolgendo i recativi compiti nei confronti dei professionisti appartenenti all’ordine forense a livello locale e, quindi, all’interno del gruppo costituito dai professionisti stessi e per la tutela degli interessi della classe professionale rappresentata a quei livello: ne consegue che la funzione disciplinare esercitata da tali organi, così in sede di promozione come in sede di decisione del procedimento, risulta manifestazione d’un potere amministrativo, attribuito dalla legge per l’attuazione del rapporto che s’instaura con l’appartenenza a quei medesimo ordine dal quale sono legittimamente stabiliti i criteri di conformità o meno dei comportamenti tenuti dai propri appartenenti rispetto ai fini che l’associazionismo professionale intende perseguire per la più diretta e immediata protezione di tali fini e soltanto di essi.

Il Consiglio Nazionale Forense, allorchè pronunzia in materia disciplinare, ha natura giurisdizionale, in quanto giudice speciale istituito con il D.L.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382, art. 21, e tuttora legittimamente operante, giusta la previsione della 6^ disposizione transitoria della Costituzione, nonostante non si sia provveduto alla revisione legislativa dell’istituto prevista dalla stessa norma transitoria, atteso il carattere programmatico di essa e la non perentorietà del termine quinquennale indicatovi.

La sua indipendenza non può essere posta in discussione, in quanto l’indipendenza del giudice consiste nell’autonoma potestà decisionale, non condizionata da interferenze dirette ovvero indirette di qualsiasi provenienza; sul requisito in esame non può influire la circostanza che i componenti del Consiglio Nazionale Forense appartengano all’ordine di professionisti nei confronti dei quali il detto organo deve esercitare le sue funzioni, poichè il tratto caratteristico della c.d. giurisdizione professionale è dato proprio dalla vasta partecipazione – anche indiretta tramite il sistema elettivo, garanzia di per se stesso della democraticità del sistema e costituzionalmente legittimo (cfr. art. 106 Cost., comma 2) – dei medesimi soggetti appartenenti alla categoria interessata, partecipazione che è giustificata dalla specifica idoneità dei singoli componenti il Collegio a pronunziarsi nella materia disciplinare, attinente, in sostanza, alle regole di deontologia professionale che l’Ordine ha ritenuto di dare a se stesso ed ai propri appartenenti riconoscendone la validità e la conformità alla communis opinio in un determinato momento storico ed in un determinato contesto sociale. Le medesime considerazioni valgono a dimostrarne il carattere di terzietà (al riguardo appare consentito il paragone con l’istituto intrinsecamente affine del procedimento disciplinare nei confronti dei Magistrati).

Ne consegue la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità sollevata in relazione agli artt. 24 e 111 Cost..

2 – Il secondo motivo lamenta violazione degli artt. 24 e 111 Cost.; violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; violazione del R.D. n. 1578 del 1933, artt. 38 e 39; violazione del Codice deontologico forense; violazione della decisione del C.N.F. 24.11.2005 n. 132; violazione dell’art. 112 c.p.c., o comunque del principio del chiesto e pronunciato; incompetenza; eccesso di potere; omessa motivazione.

Questa censura presenta le medesime caratteristiche negative della precedente. Generica e aspecifica, la doglianza non rispetta il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione e ripropone tesi non collegate alla motivazione della decisione.

D’altra parte è agevole rilevare: a) le espressioni “arrecare nocumento ai prestigio della classe forense” e avere commesso “fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale” rappresentano modalità diverse di esprimere il medesimo concetto; b) il comportamento sanzionato non è riferibile ad un privato cittadino, ma è stato tenuto nella qualità di avvocato; c) il CNF ha congruamente motivato le ragioni della decisione.

3 – Pertanto il ricorso risulta manifestamente infondato. Non luogo a provvedere in ordine alte spese non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2010

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