Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16345 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. III, 30/07/2020, (ud. 18/12/2019, dep. 30/07/2020), n.16345

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. OLIVIERI Stefano – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29221/2017 proposto da:

M.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FALERIA 37,

presso lo studio dell’avvocato ASSUNTA MAZZEO, rappresentata e

difesa dall’avvocato FRANCO PEPE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA PER LE EROGAZIONI IN AGRICOLTURA;

– intimata –

nonchè da:

AGEA – AGENZIA PER LE EROGAZIONI IN AGRICOLTURA in persona del legale

rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE

FERRARI 11, presso lo studio dell’avvocato BENIAMINO LA PISCOPIA,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente incidentale –

contro

M.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FALERIA 37,

presso lo studio dell’avvocato ASSUNTA MAZZEO, rappresentata e

difesa dall’avvocato FRANCO PEPE;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 6805/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/12/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del principale;

assorbito incidentale da intendersi condizionato; in subordine anche

rigetto dell’incidentale;

udito l’Avvocato FRANCO PEPE;

udito l’Avvocato BENIAMINO LA PISCOPIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.D. ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 5476/16, del 16 settembre 2016, della Corte di Appello di Roma, che – accogliendo il gravame esperito dall’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (d’ora in poi, “AGEA”) contro la sentenza n. 562/12, del 12 gennaio 2012, del Tribunale di Roma – ha respinto la domanda di risarcimento danni proposta dall’odierna ricorrente nei confronti della predetta AGEA per “colpevole ritardo e/o “mala gestio” e/o legittimo affidamento” disatteso, in relazione all’avvenuta comunicazione, oltre il termine di cui al regolamento comunitario n. 3478/92/CEE, della quota ad esso attribuita per fruire del cd. “premio comunitario” per la coltivazione del tabacco, raccolto del 1994.

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente di aver convenuto in giudizio, nell’anno 2007, l’AGEA, quale ente subentrato in tutti i rapporti attivi e passivi della disciolta AIMA, ai sensi del D.Lgs. 27 maggio 1999, n. 165 e ciò al fine di ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla mancata consegna, nel termine previsto dal citato regolamento comunitario (termine inizialmente fissato nel 29 febbraio 1994 e poi prorogato al successivo 31 marzo), degli attestati di quota per la produzione di tabacco, raccolto nel 1994, i cui quantitativi, all’epoca, risultavano suscettibili di fruire del cosiddetto “premio comunitario”, riconosciuto dal già citato regolamento CEE.

Deduceva, infatti, l’allora attrice che l’AIMA, con grave e ingiustificato ritardo derivante da probabili disfunzioni interne all’ente, aveva comunicato a tutti i coltivatori interessati, o meglio alle associazioni dei produttori, gli esatti quantitativi di tabacco conferibili a quota solo nei mesi di giugno/luglio del 1994, e dunque oltre il termine fissato dal regolamento, allorquando costoro avevano già impiantato l’intera campagna di produzione, trovandosi il ciclo produttivo, ormai, in avanzata fase di ultimazione. Assumendo, inoltre, l’odierna ricorrente di aver regolarmente proceduto all’interruzione dei termini prescrizionali del diritto al risarcimento del danno, con nota del 27 aprile 2000 (reiterata a mezzo del proprio difensore nell’aprile 2005), il medesimo si rivolgeva al Tribunale di Roma per chiedere il risarcimento dei danni per il prodotto non ammesso al premio comunitario, in quanto eccedente la quota tardivamente assegnata dall’AIMA, oltre al danno per i quantitativi prodotti in eccesso rispetto alla quota individuale assegnata dall’AGEA a ciascun produttore.

Ciò premesso, deduce, altresì, l’odierna ricorrente che l’AGEA, nel costituirsi in giudizio, avrebbe riconosciuto espressamente l’addebito contestato (ovvero il notevole ritardo rispetto ai termini stabiliti dal regolamento per la fissazione e comunicazione dei quantitativi suscettibili di premio comunitario), deducendo, altresì, la supposta prescrizione del diritto al risarcimento del danno e, comunque, giustificando il ritardo in ragione di disfunzioni organizzative interne all’ente, senza però contestare il danno subito da parte attrice, chiedendo solo che lo stesso fosse contenuto nei limiti delle spese di produzione effettivamente sostenute fino all’attribuzione ed assegnazione delle quote di produzione, e non parametrato all’ammontare richiesto in citazione.

Il Tribunale accoglieva la domanda, quantificando il danno in base agli importi non percepiti, o meglio, come si legge nella sentenza oggi impugnata, parametrandolo all’importo del premio per i quantitativi di tabacco prodotti e conferiti senza beneficiare degli aiuti comunitari.

Proponeva appello l’AGEA, che, per quanto qui ancora di interesse, insisteva per la prescrizione del diritto al risarcimento del danno e, secondo l’odierna ricorrente, limitandosi a contestare, in quanto errati, i criteri di liquidazione del danno, oltre alla sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito aquiliano, ritenendo il proprio ritardo scusabile. In accoglimento del gravame, la Corte capitolina rigettava la domanda, in particolare ritenendo fondata la censura relativa ai criteri di liquidazione, osservando che, in assenza di prova circa la sua sussistenza, la domanda risarcitoria doveva essere rigettata, anche in relazione ad una eventuale liquidazione equitativa, sebbene tale richiesta – assume la M. – fosse stata avanzata in via subordinata.

3. Avverso la decisione della Corte capitolina ha proposto ricorso per cassazione il M., sulla base di quattro motivi.

3.1. Con il primo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – si assume violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 2), per avere la Corte territoriale “accolto un’eccezione”, quella relativa alla “assenza di prova”, che risulterebbe “non sollevata in sede di giudizio di primo grado”.

La ricorrente si duole del fatto che la convenuta, nel costituirsi in giudizio, ebbe ad eccepire, oltre alla pretesa prescrizione del diritto al risarcimento del danno, esclusivamente l’eccessiva onerosità della richiesta risarcitoria, e non pure l’insussistenza del danno, nè l’assenza di prova dello stesso, avendo chiesto, in particolare, che il pregiudizio, del quale l’odierna ricorrente chiedeva il ristoro, fosse commisurato alle spese sostenute dal coltivatore fino alla data della consegna delle quote, ovvero luglio 94, e non all’importo richiesto.

Di qui, pertanto, la dedotta violazione della norma sul cosiddetto divieto di “nova” in appello.

3.2. Con il secondo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – si assume la violazione dell’art. 115 c.p.c., nonchè l’omessa valutazione di una circostanza decisiva per il giudizio, ovvero la mancata contestazione, in sede di costituzione in giudizio di primo grado da parte della convenuta, della sussistenza del danno a carico della parte attrice.

Sul presupposto, infatti, che AGEA non abbia mai contestato la sussistenza e/o la carenza di prova del danno, ma solo la sua quantificazione, così come operata nel libello introduttivo della domanda, l’odierna ricorrente lamenta che la Corte territoriale avrebbe violato (e comunque omesso di considerare) il cosiddetto “principio di non contestazione”.

3.3. Con il terzo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – si denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè dell’art. 2697 c.c., oltre che degli artt. 1223 e 2056 c.c., per non avere la Corte romana ritenuto provato il danno, in presenza di responsabilità contrattuale dell’ente per i fatti contestati, danno da identificare “nell’ammontare degli importi non percepiti dalla parte danneggiata, sia esso danno emergente che lucro cessante”.

La ricorrente si duole del fatto che, pur avendo il giudice d’appello riconosciuto la responsabilità di AGEA per violazione dell’obbligo informativo, avrebbe errato nell’escludere l’esistenza del danno risarcibile.

Nel precisare di non aver mai inteso chiedere il risarcimento del diritto al premio comunitario per i quantitativi eccedenti la quota tardivamente attribuita, nè per quantitativi inferiori a quelli preventivabili e/o degli anni precedenti, il ricorrente evidenzia come “i minori quantitativi di prodotto ammissibili a premio”, unitamente “al ritardo nella comunicazione”, abbiano “comportato a carico dei produttori interessati il mancato incasso di importi relativi alla produzione di tabacco risultato eccedentario alla quota, ma nei limiti quantitativi degli anni precedenti e/o di riferimento”. Nella specie, la mancata quantificazione, ovvero l’inesistenza della prova sull’ammontare del danno emergente e del lucro cessante, risulterebbe ampiamente superata dalla prova documentale relativa al mancato incremento patrimoniale, commisurato agli importi non percepiti a titolo di premio comunitario per il prodotto eccedentario. Di conseguenza, la ricorrente si duole del fatto che sarebbe stato disatteso il principio secondo cui, una volta ritenuto provato l’inadempimento contrattuale, il risarcimento del danno, da mancato guadagno, può avvenire anche solo sulla base di una prova indiziaria.

3.4. Con il quarto motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5) – si denuncia l’omessa valutazione di un fatto decisivo, oltre alla violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè dell’art. 1226 c.c., oltre che degli artt. 1223 e 2056 c.c., in relazione all’impossibilità e/o eccessiva difficoltà di fornire la prova sull’entità dei danni subiti da parte attrice per un ammontare diverso da quello richiesto.

In questo caso, si censura la sentenza impugnata giacchè essa, pur ravvisando la sussistenza di un danno, quantunque non provato, ha ritenuto di rigettare la domanda subordinata di liquidazione dello stesso in via equitativa, senza motivare tale conclusione, pervenendo a tale esito solo sul rilievo che il danno fosse impossibile da provare o, comunque, non agevolmente determinabile.

Richiama, sul punto, la ricorrente il principio secondo cui, una volta ritenuta raggiunta la prova del danno, il giudice di appello, ai fini della liquidazione, avrebbe potuto porre a fondamento della decisione equitativa anche fatti notori o di comune esperienza.

4. AGEA ha resistito, con controricorso, all’avversaria impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità, nonchè proponendo ricorso incidentale sulla base di un unico motivo.

4.1. In via preliminare, la controricorrente rileva come la sentenza impugnata abbia, nella sostanza, inteso definire il giudizio sottoposto al suo esame alla stregua del principio, già enunciato in passato da questa Corte, secondo cui il cd. “premio comunitario”, annualmente disposto ai sensi del citato regolamento comunitario, ha carattere provvisorio fino alla determinazione, l’anno successivo, dei quantitativi massimi garantiti, sicchè “gli operatori economici non possono fare legittimo affidamento sulla conservazione della situazione, che può essere legittimamente modificata nell’ambito del potere discrezionale delle istituzioni comunitarie in funzione dei mutamenti del mercato e delle condizioni socio-economiche ed agronomiche delle regioni interessate” (è citata Cass. Sez. 1, sent. 10 febbraio 2015, n. 2540, Rv. 634123-01).

In ogni caso, si eccepisce l’inammissibilità dei motivi di ricorso, per carenza dei requisiti di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata.

Ciò detto, si assume che ciascun motivo sia, comunque, non fondato.

Il primo, alla stregua di quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui il divieto di nuove eccezioni in appello concerne le sole eccezioni in senso stretto, fermo restando, peraltro, che la controricorrente assume di aver sempre contestato l’entità del danno, per ciò solo, quindi, assumendo l’inesistenza del danno o la prova dello stesso. Quanto, invece, al secondo motivo, l’AGEA ribadisce di aver sempre contestato la pretesa risarcitoria di parte attrice sia sotto il profilo della sussistenza, sia sotto quello della entità, sia, infine, in relazione alla mancanza di idonea prova. In ordine, invece, ai motivi terzo e quarto, si sottolinea come la ricorrente, a dispetto di quanto sostenuto nel proprio atto di impugnazione, ha sempre inteso chiedere, nella sostanza, il riconoscimento del diritto al premio comunitario per i quantitativi eccedenti la quota tardivamente attribuita; del tutto corretta, infine, sarebbe la motivazione della Corte capitolina, laddove ha negato la liquidazione equitativa del danno, dal momento che ha escluso la prova della sua ricorrenza.

4.2. Quanto al ricorso incidentale, il motivo consiste nella riproposizione dell’eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento del danno.

La censura si fonda sul rilievo che il momento di verificazione del fatto illecito deve identificarsi – secondo la stessa prospettazione della parte allora attrice – tra il giugno e il luglio dell’anno 1994, ovvero al momento del tardivo rilascio della certificazione, momento nel quale il supposto danneggiato avrebbe ben potuto avvedersi che il “premio” era stato riconosciuto per quantitativi inferiori a quelli attesi e, dal medesimo, parametrati a quello dell’annualità precedente. Orbene, poichè le richieste di risarcimento risultano essere state inviate tra aprile e maggio dell’anno 2000, per ciò solo dovrebbe ritenersi decorsa la prescrizione quinquennale, ex art. 2947 c.c..

5. Ha proposto controricorso al ricorso incidentale il V., evidenziando come, anche a ritenere applicabile la prescrizione quinquennale da illecito aquiliano, il termine non potrebbe ritenersi decorso alla data del 27 aprile 2000, cui risale la prima richiesta di risarcimento del danno, ciò in quanto il cd. “exordium praescriptionis” non potrebbe risalire a prima del 15 agosto del 1995. Difatti, alla data del 15 aprile 1995 aveva termine la campagna per il conferimento del prodotto da parte dei coltivatori, in relazione al raccolto del 1994, mentre il pagamento del premio sarebbe dovuto avvenire entro i successivi novanta giorni e, dunque, il 15 agosto 1995, sicchè non prima di detta data sarebbe maturata la materiale consapevolezza che i quantitativi prodotti eccedevano la quota tardivamente attribuita dall’AGEA.

6. La ricorrente principale ha presentato memoria ex art. 378 c.p.c., insistendo nelle proprie argomentazioni e richiamando, inoltre, il recente arresto di questa Corte costituito da Cass. Sez. 3, sent. 13 febbraio 2019, n. 4153.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. Il ricorso principale va rigettato.

7.1. Il primo motivo non è fondato.

7.1.1. Sul punto, invero, deve muoversi dalla constatazione che l’AGEA ha sempre chiesto, in giudizio, il rigetto della domanda risarcitoria, assumendo la non sussistenza dei presupposti – tutti per configurare la propria responsabilità.

Siffatta circostanza, pertanto, esclude, diversamente da quanto dedotto dalla ricorrente principale con il presente motivo, che fosse precluso alla Corte il rilievo in ordine alla insussistenza della prova del danno, senza che possa ritenersi integrato il vizio – che, peraltro, sarebbe stato da ricondurre al disposto di cui al n. 4), e non 3), dell’art. 360 c.p.c. – di violazione dell’art. 345 c.p.c..

Ancora di recente, infatti, è stato ribadito che ai “sensi dell’art. 345 c.p.c., il divieto di “ius novorum” in appello ha per oggetto esclusivamente le domande nuove e le nuove eccezioni non rilevabili d’ufficio, non anche le mere difese”, tornando a precisarsi “che l’eccezione in senso stretto, la cui proposizione per la prima volta in appello è vietata dalla norma, consiste nella deduzione di un fatto impeditivo o estintivo del diritto vantato dalla controparte, laddove è mera difesa, come tale consentita, la contestazione dei fatti posti dall’altra parte a fondamento del suo diritto” (così, da ultimo, Cass. Sez. 2, sent. 28 maggio 2019, n. 14515, Rv. 654080-01; in senso conforme Cass. Sez. 6-1, ord. 1 ottobre 2018, n. 23796, Rv. 650608-01; Cass. Sez. 1, sent. 15 gennaio 2009, n. 816, Rv. 606073-01).

Nella specie, dunque, la contestazione, da parte di AGEA, dei presupposti per contestare la propria responsabilità, costituendo mera difesa, non impediva alla Corte territoriale il rilievo officioso dell’assenza della prova del danno.

Sulla scorta di tali rilievi, pertanto, il primo motivo del ricorso principale va disatteso.

7.2. Il secondo motivo, invece, è addirittura inammissibile.

7.2.1. Invero, “quando il motivo di impugnazione si fondi sul rilievo che la controparte avrebbe tenuto condotte processuali di non contestazione, per consentire alla Corte di legittimità di prendere cognizione delle doglianze ad essa sottoposte, il ricorso, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), deve sia indicare la sede processuale di adduzione delle tesi ribadite o lamentate come disattese, sia contenere la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi” da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 9 agosto 2016, n. 16655, Rv. 641486-01), ma soprattutto deve “indicare specificamente il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, evidenziando in modo puntuale la genericità o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto” (cfr. Cass. Sez. 6-3, ord. 22 maggio 2017, n. 12840, Rv. 644383-01).

Ciò non risulta accaduto nel caso che occupa, donde l’inammissibilità della censura.

7.3. I motivi terzo e quarto – da esaminarsi congiuntamente, data la loro connessione – non sono fondati.

7.3.1. La sentenza impugnata ha ritenuto che il danno del quale parte attrice avrebbe potuto, astrattamente, chiedere il ristoro non consisteva nè nella mancata fruizione dei premi non conseguiti a causa della riduzione delle quote assegnate da AGEA (giacchè ciò sarebbe equivalso, altrimenti, a trasformare la domanda risarcitoria in domanda di adempimento), nè in quello parametrato ai premi goduti in relazione all’annualità precedente.

Ad avviso della Corte capitolina, infatti, i soli danni risarcibili consistevano o in “quello derivante da omesse differenti allocazioni delle risorse di impresa, che il produttore avrebbe potuto impiegare in altre colture ove fosse venuto a conoscenza delle “quote” nei termini di legge”, ovvero nelle “maggiori spese (sementi, manodopera, attrezzature) sostenute al fine di mantenere la produzione per quei livelli poi risultati in esubero rispetto alla quote assentite”; ma di tali pregiudizi, però, la sentenza impugnata ha escluso che parte attrice avesse non solo fornito la prova ma, prima ancora, l’allegazione.

Di conseguenza, ed in disparte il rilievo che i due motivi non sembrano, dunque, cogliere la “ratio decidendi” della sentenza impugnata (ciò che induce a dubitare della loro stessa ammissibilità, visto che la “proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al “decisum” della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4″; cfr. Cass. Sez. 6-1., ord. 7 settembre 2017, n. 20910, Rv. 645744-01), è da escludere che sia stato disatteso sia il principio secondo cui, in presenza di allegazione di un inadempimento contrattuale, il risarcimento del danno può avvenire su base indiziaria, sia quello per cui, provato il danno, la sua liquidazione può avvenire equitativamente.

La Corte, come detto, ha escluso la stessa “allegazione” del danno risarcibile, di talchè ogni questione relativa alla prova dello stesso, e alle modalità della sua liquidazione, deve ritenersi estranea al “perimetro” della decisione impugnata. Pertanto, in relazione, in particolare, alla dedotta violazione dei principi in materia di liquidazione equitativa del danno, va qui ribadito che “l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa; esso, pertanto, da un lato è subordinato alla condizione che per la parte interessata risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo ammontare, e dall’altro non ricomprende l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale del danno” (da ultimo, Cass. Sez. 2, sent. 22 febbraio 2018, n. 4310, Rv. 647811-01).

Anche i motivi terzo e quarto, dunque, sono da disattendere.

8. Il ricorso incidentale – che ha natura di ricorso condizionato, e ciò indipendentemente dall’espressa indicazione di parte (tra le molte, Cass. Sez. 3, ord. 14 marzo 2018, n. 6138, Rv. 648420-01) – resta assorbito dal rigetto del principale.

9. Quanto alle spese del presente giudizio, il carattere inedito almeno nella giurisprudenza di legittimità – delle questioni affrontate compensazione. Trova, infatti, applicazione, “ratione temporis”, il testo dell’art. 92 c.p.c., comma 2, come modificato dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), essendo stato il primo grado del presente giudizio instaurato con citazione notificata nell’anno 2007. La compensazione è, pertanto, subordinata alla sola necessità che sia esplicitato taluno di quei “giusti motivi” idonei a giustificarla, motivo, come detto, costituito dal carattere inedito delle questioni dibattute.

10. A carico della ricorrente principale sussiste l’obbligo di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l’incidentale, compensando integralmente tra le parti le spese di lite.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2020

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