Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16344 del 28/06/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 16344 Anno 2013
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: MELONI MARINA

SENTENZA
sul ricorso 27318-2010 proposto da:
PASSAGGIO OBBLIGATO SPA in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIA GIAMBATTISTA VICO 22, presso lo studio
dell’avvocato SANTACROCE BENEDETTO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato MILETO
SALVATORE giusta delega a margine;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE DOGANE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

Data pubblicazione: 28/06/2013

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 147/2009 della COMM.TRIB.REG.
di MILANO, depositata il 20/10/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25/02/2013 dal Consigliere Dott. MARINA

udito per il ricorrente l’Avvocato MILETO che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato ALBENZIO che
ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

MELONI;

Svolgimento del processo

dell’accertamento emessi dall’Agenzia delle Dogane
di Milano 2 nei confronti della società Passaggio
4
Obbligato spa, relativi ad alcune operazione_ di
importazione a dazio esente di capi di maglieria
dichiarati provenienti dalla Giamaica ed in realtà
di origine cinese, veniva disposto il recupero dei
dazi doganale e l’irrogazione di sanzioni in quanto
risultava da un controllo a posteriori che il
certificato EUR l attestante l’origine
preferenziale giamaicana, non era valido, come
dichiarato dalla stessa autorità della Giamaica a
seguito di indagine da parte di una delegazione
comunitaria presso il detto Stato.
La società Passaggio Obbligato spa presentava
ricorso avverso l’atto di irrogazione delle
sanzioni amministrative tributarie nr.28797 del
7/5/2007 davanti alla Commissione Tributaria
nel

provinciale di Milano,

quale

lamentava

l’illegittimità dell’atto impugnato nonché l’errore

1

A seguito di notifica di atti di revisione

commesso dall’Ufficio
l’applicazione

che

dell’art.

220

giustificava

codice

doganale

comunitario.
La Commissione tributaria

provinciale di Milano

con sentenza nr.21/31/2008 accoglieva il ricorso.

Dogane, la Commissione tributaria regionale della
Lombardia con sentenza nr.147/24/09 depositata in
data 20/10/2009, riformava la sentenza di primo
grado. Avverso la sentenza della Commissione
Tributaria regionale della Lombardia ha proposto
ricorso per cassazione la società Passaggio
obbligato spa con sette motivi. Ha resistito con
controricorso più memoria L’Agenzia delle Dogane di
Milano.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo e secondo motivo di ricorso la
ricorrente Passaggio obbligato spa lamenta
violazione e falsa applicazione dell’art. 303 dpr
23/1/1973 nr. 43 anche in riferimento all’art. 12
disp.prel.cc in relazione all’art. 360 nr.3 cpc,
in quanto la CTR ha ritenuto che le dichiarazioni
di origine rese dagli importatori in base a
certificati preferenziali successivamente ritenuti

2

Su ricorso in appello proposto dalla Agenzia delle

invalidi, rientra tra

i

comportamenti

illeciti puniti dall’art. 303 TULD.
Con il terzo motivo di ricorso, la ricorrente
lamenta violazione e falsa applicazione dell’art.
303 dpr 23/1/1973 nr. 43 ed art. 3 d.lgs.

cpc in quanto la CTR ha ritenuto, in contrasto con
il principio di riserva di legge nel settore delle
sanzioni amministrative, che fosse punibile una
condotta ai sensi dell’art. 303 TULD anche se non
espressamente prevista e quindi in violazione del
principio di legalità e nonostante il divieto di
estensione analogica delle disposizioni
sanzionatorie oltre i casi ed i tempi specificati.
Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente
lamenta violazione e falsa applicazione dell’art.
21 ed art. 188 Reg. CEE 450/2008 in relazione
all’art. 360 nr.3 cpc in quanto la CTR ha applicato
l’art. 21 sopra richiamato che è una disposizione
non ancora applicabile ai sensi dell’art. 188 dello
stesso regolamento.
Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente
lamenta violazione e falsa applicazione dell’art.5
e 6 d.lgs. 18/12/1997 nr. 472 in relazione all’art.
360 nr.3 cpc in quanto la CTR ha ritenuto
3

18/12/1997 nr.472 in relazione all’art. 360 nr.3

sussistere

la prova

del dolo o colpa

nel comportamento della società e quindi la
sanzionabilità della società per illeciti commessi
da altri quali la ditta esportatrice.
Con il sesto motivo la ricorrente lamenta

18/12/1997 nr. 472 in relazione all’art. 220 par.2
lett.B) cdc, art. 15 par.5 dell’Accordo di Cotonou
nonché dell’art. 2700 cc in relazione all’art. 360
nr.3 cpc. in quanto che la CTR ha ritenuto che la
ricorrente era responsabile per falsità o
irregolarità delle dichiarazioni EUR l e che non
sussistevano i presupposti per l’applicazione
dell’art. 220 cdc.
Con il settimo motivo di ricorso la ricorrente
lamenta insufficiente e omessa motivazione su un
fatto controverso e decisivo della controversia in
relazione all’art. 360 nr.3 cpc.
Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

violazione e falsa applicazione dell’art.5 d.lgs.

I primi quattro motivi di ricorso, tutti inerenti
all’applicazione dell’art. 303 dpr 23/1/1973 nr. 43
sotto vari profili, possono essere trattati
congiuntamente e devono tutti essere respinti.
In tema di sanzioni per le violazioni delle
disposizioni in materia doganale,
4

costituisce

m

illecito amministrativo a norma dell’art. 303 del
d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, che punisce “le
dichiarazioni relative alla qualità, alla quantità
ed al valore delle merci destinate alla

importazione definitiva” non corrispondenti
all’accertamento degli Uffici finanziari, anche la
falsa o difforme dichiarazione sull’origine, la
provenienza e la destinazione delle merci, in forza
di una interpretazione estensiva della fattispecie,
poiché, assumendo l’elemento della “origine” della
merce rilevanza determinante nel diritto doganale
ai fini dell’applicazione di norme “antidumping” e
di norme esonerative o agevolative, la sottrazione
di tale condotta all’area della sanzione sarebbe in
contrasto con il principio costituzionale di
ragionevolezza e con la normativa comunitaria,
secondo la quale, come da ultimo indicato nella
sentenza della Corte di Giustizia UE del 15
dicembre 2011, causa C-409/10, il certificato di
origine è condizione per l’ottenimento del
beneficio daziario. (Sez. 5, Sentenza n. 14030 del
03/08/2012)
A tale proposito correttamente la sentenza della
CTR, nella fattispecie in esame, ha ritenuto che
“il comportamento fraudolento della società
5

m

giamaicana
costituisce

di

esportazione

causa

di

non

non

punibilità

dell’importatore come anche la mancanza di
controlli

operati

dalle

autorità

doganali

giamaicane” in quanto risulta dagli atti e dai

pur non avendo partecipato alle irregolarità o
falsità in ordine alle dichiarazioni di origine EUR
provenienti dalla società esportatrice e presentate
all’atto dell’esportazione, ha comunque goduto
indebitamente dei benefici daziari utilizzando
proprio le false attestazioni che indicavano
l’origine non veritiera della merce. Invero il
debitore è il dichiarante della merce importata,
per cui anche se questa sia accompagnata da
certificati inesatti o falsificati a sua insaputa,
la Comunità Europea non è tenuta a subire le
conseguenze di comportamenti scorretti dei
fornitori dei suoi cittadini, che rientrano invece
nel rischio dell’attività commerciale, contro il

documenti di causa che la Passaggio Obbligato spa,

quale gli operatori economici possono premunirsi
nell’ambito dei loro rapporti negoziali ( sez.5 nr.
15758 del 19/9/2012; nr. 4022 del 14/3/2012; nr.
1583 del 3/2/2012). Lo stato soggettivo di buona
fede dell’importatore non ha valenza esimente “in
re ipsa” ma solo se riconducibile ad una delle

6

h

situazioni fattuali individuate dalla normativa
comunitaria, tra le quali l’errore incolpevole non
rilevabile dal debitore di buona fede, nonostante
la sua esperienza e diligenza, imputabile a

nr. 7674 del 16/5/2012). In particolare, detto
errore non può consistere nella mera ricezione di
dichiarazioni inesatte dell’esportatore, dato che
l’Amministrazione non deve verificarne o valutarne
la veridicità, ma richiede un comportamento attivo,
perché il legittimo affidamento del debitore è
. protetto solo se le autorità competenti hanno
determinato i presupposti su cui si basa la sua
fiducia. (Cass. 2012/4022). Inoltre l’esenzione
prevista dall’art. 220, secondo comma, lett. b),
del Codice doganale comunitario, che preclude la
contabilizzazione a posteriori dell’obbligazione
doganale in presenza di un errore dell’autorità

comportamento attivo dell’Autorità doganale (sez.V

doganale e della buona fede dell’operatore,
presuppone la genuinità del certificato di origine,
cioè la sua regolarità formale e sostanziale. Di
conseguenza spetta all’importatore che intende
usufruire dell’esenzione dimostrare l’origine della
merce che importa e, in ogni caso, il suo stato
soggettivo di buona fede, mediante la prova della
7

()’l

sussistenza cumulativa

di

tutti

presupposti indicati dalla citata norma, mentre
all’Autorità doganale incombe esclusivamente
l’onere di dare dimostrazione delle irregolarità
delle certificazioni presentate, atteso che

autorizza il recupero a posteriori, senza necessità
di alcun procedimento intermedio che convalidi la
non autenticità, provvedendo gli stessi organi
dell’esecutivo comunitario a fornire tramite le
disposte commissioni di inchiesta le conclusioni
cui debbono attenersi le Autorità nazionali (Cass.
2009/13680).
Nella fattispecie poi non sussiste un errore attivo
commesso in via autonoma dalle Autorità Doganali
locali in quanto l’errore delle Autorità Doganali
che ha impedito l’immediata riscossione del tributo
non era di natura tale da non poter essere
ragionevolmente scoperto dal debitore in buona fede

qualsiasi certificato che risulti inesatto

e ciò per la natura di operatore professionale
dell’importatore.
In relazione al quarto motivo di ricorso e con
particolare riguardo all’art. 21 Reg.CEE 450/2008,
di cui la ricorrente lamenta l’applicazione da
parte della CTR, nonostante il predetto articolo
non fosse applicabile all’epoca trattandosi di
8

efzi

importazioni avvenute

nella vigenza del

CDC del 1992, occorre precisare che il riferimento
all’art. 21 da parte dei giudici di appello è un
semplice passaggio argomentativo del tutto
ininfluente ai fini della decisione. Il riferimento

esclusivamente a dimostrare che l’interpretazione
fornita dell’art.303 TULD è perfettamente in linea
con l’interesse generale comunitario all’esistenza
di un effettivo sistema nazionale di dissuasione
antifrode (p.e. Cass. 22250/2011 in materia di IVA)
di cui è testimonianza il sopravvenuto art. 21 che
testualmente prevede: “Ciascuno Stato membro
prevede sanzioni applicabili in caso di violazione
della normativa doganale comunitaria. Tali sanzioni
devono essere effettive, proporzionate e
dissuasive.”
Risultano altresì infondati il quinto, sesto e
settimo motivo di ricorso, da trattarsi

della CTR all’art. 21 appare finalizzato

congiuntamente in quanto tutti e tre attinenti
all’applicazione dell’art. 5 d.lgs. 18/12/1997 nr.
472 in relazione all’art. 220 par.2 lett.B) cdc ed
art. 15 par.5 dell’Accordo di Cotonou nonché
dell’art. 2700 cc. Ritiene infatti la Corte che, ai
fini dell’affermazione della responsabilità del
contribuente ai sensi dell’art. 5 quinto comma, del
9

e

d.lgs.

n.

471

del

1997, occorre che

l’azione od omissione sia volontaria,

ossia

compiuta con coscienza e volontà, e colpevole cioè
con dolo o colpa consistente in negligenza,
imprudenza o imperizia e l’onere della prova

sicchè va esclusa la rilevabilità d’ufficio di una
presunta carenza dell’elemento soggettivo sotto il
profilo della mancanza assoluta di colpa (Cass
14030/2012 e 14042/2012). E’ stato chiarito infatti
con Sez. 5, Sentenza n. 14030 del 03/08/2012 che:
“In tema di sanzioni per le violazioni delle
disposizioni in materia doganale, ai fini
dell’affermazione della responsabilità per
l’illecito amministrativo previsto dall’art. 303
del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, che punisce chi
renda “dichiarazioni relative alla qualità, alla
quantità ed al valore delle merci destinate alla
importazione definitiva” non corrispondenti
all’accertamento degli Uffici finanziari, ai sensi
dell’art. 5 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472,
occorre che l’azione o l’omissione indicata dalla
fattispecie sia volontaria, ossia compiuta con
coscienza e volontà, e colpevole, ossia compiuta
con dolo o con colpa, ma, una volta dimostrata
dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica,

10

dell’assenza di colpa grava sul contribuente,

MENTE DA REGISTRAZIONE
AI SENSI DEL D.P.R. 2f.’49i6
!AikiA

grava sul trasgressore

l’onere di prova

dell’assenza di colpa, in virtù della presunzione
posta dall’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n.
689, sicché va esclusa la rilevabilità d’ufficio di
una presunta carenza dell’elemento soggettivo,
sotto il profilo della mancanza assoluta di colpa.”
Per quanto sopra il ricorso della società deve
essere respinto e confermata la sentenza impugnata
con condanna alla spese della società soccombente.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle
spese del giudizio di legittimità a favore
dell’Agenzia delle Dogane che si liquidano in

E

2.500,00 oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della
V sezione civile il 25/2/2013
Il consigliere estensore

Il

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MI”

4

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