Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16343 del 13/07/2010

Cassazione civile sez. un., 13/07/2010, (ud. 08/06/2010, dep. 13/07/2010), n.16343

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente –

Dott. DE LUCA Michele – Presidente di sezione –

Dott. TRIOLA Roberto Michele – rel. Presidente di sezione –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.A. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO

TRIESTE 88, presso lo studio LEGALE RECCHIA E ASSOCIATI,

rappresentato e difeso dagli avvocati SCOCA FRANCO GAETANO, RECCHIA

GIORGIO, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la decisione n. 4583/2006 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 18/07/2006;

uditi gli avvocati Silvio BOZZI per delega dell’avvocato Franco

Gaetano Scoca, Barbara TIDORE dell’Avvocatura Generale dello Stato;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/06/2010 dal Presidente Dott. TRIOLA Roberto Michele.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, Premesso:

– che lo svolgimento del processo viene così esposto nella sentenza impugnata:

L’odierno appellato ha partecipato alle prove preselettive del concorso per posti di notaio indetto con Bando del (OMISSIS) ma, avendo compiuto un errore, non è stato ammesso alle prove scritte.

L’interessato ha quindi impugnato il giudizio di non ammissione domandandone la sospensione.

Con ordinanza cautelare il Tribunale lo ha ammesso con riserva al seguito delle prove, superate con eccellente risultato.

Su istanza dell’interessato il Tribunale, con la sentenza in epigrafe indicata, ha dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse il ricorso proposto dal dr. C., ritenendo che il superamento delle prove scritte e orali avesse assorbito, in base al principio di continenza, il negativo esito della preselezione.

La sentenza è impugnata dall’Amministrazione, che ne chiede l’annullamento con rigetto del ricorso di primo grado o in subordine il rinvio al T.A.R. per l’emenda del vizio di procedura.

Si è costituito l’appellato, instando per il rigetto del gravame o per l’improcedibilità dello sesso, in virtù della sanatoria disposta dalla L. n. 168 del 2005, art. 4, comma 2 bis. All’Udienza del 5 maggio 2006 il ricorso è stato spedito per la decisione.

Con istanza presentata il 10 giugno 2006 il difensore dell’appellato ha chiesto la rimessione della causa sul ruolo.

In data 20 giugno 2006 il difensore dell’appellato ha depositato copia di una nota con la quale il Ministero rappresenta di avere inviato all’Avvocatura una richiesta di rinuncia al ricorso.

che la sentenza impugnata, per quello che ancora interessa, ha così motivato in diritto: Sotto un diverso profilo, l’appellato fa discendere l’improcedibilita dell’appello dell’Amministrazione dal disposto del D.L. n. 115 del 2005, art. 4, comma 2 bis convertito dalla L. n. 1568 del 2005. Come è noto, a mente della citata disposizione “Conseguono ad ogni effetto l’abilitazione professionale o il titolo per il quale concorrono i candidati, in possesso dei titoli per partecipare al concorso, che abbiano superato le prove d’esame scritte ed orali previste dal bando, anche se l’ammissione alle medesime o la ripetizione della valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di autotutela”.

L’eccezione va disattesa, in quanto convergenti argomenti di ordine testuale e soprattutto sistematico inducono il collegio a ritenere che tale forma di sanatoria legale è inapplicabile al concorso notarile ed in genera le alle selezioni di stampo concorsuale propriamente detto.

Dal punto di vista letterale è infatti indubbio che la normativa sopra trascritta, facendo espresso riferimento alla “abilitazione” e al “titolo”, riguarda le varie ipotesi di procedimenti finalizzati ala verifica della idoneità dei partecipanti allo svolgimento di una professione il cui esercizio – o l’accesso alla quale – risultino regolamentati nell’ordinamento interno ma non riservati ad un numero chiuso di professionisti.

In sostanza, l’effetto costitutivo della sanatoria consiste – mediante la stabilizzazione dei risultati di fatto sortiti dalla procedura valutativa o dal suo rinnovo – nella attribuzione di un titolo o di una abilitazione professionali al candidato in precedenza escluso o dichiarato non idoneo. A differenti conclusioni non si può pervenire valorizzando l’utilizzo da parte del Legislatore del termine “concorso”, che normalmente si associa alle diverse procedure finalizzate alle selezione dei partecipanti in vista del conferimento di un numero chiuso di posti ad es. nel pubblico impiego: nella disposizione in esame infatti con il predetto termine si designano non equivocamente solo le procedure alle quali i candidati partecipano per ottenere il conferimento – appunto – di titoli abilitativi all’ingresso o esercizio in una professione. Come si è anticipato, è comunque soprattutto sul piano sistematico che risulta evidente la necessità di applicare la normativa in rassegna in modo costituzionalmente orientato, rifiutandone interpretazioni estensive che ne minerebbero irrimediabilmente la ragionevolezza. In questa ottica è infatti da rilevare che tra le procedure di stampo idoneativo e quelle selettive o concorsuali propriamente dette sussiste una radicale ed ontologica differenziazione.

Ed infatti nelle prime la valutazione della Commissione si disloca in termini tendenzialmente assoluti, trattandosi di verificare se ciascuno dei candidati (indipendentemente dal risultato conseguito dagli altri) sia o meno in possesso dei requisiti di idoneità ed abbia cioè attinto quel livello di preparazione e capacità al quale la normativa primaria e secondaria applicabile subordina il riconoscimento dell’abilitazione: di talchè, una volta che tale livello risulti attinto sia pure in via di mero fatto, il principio di stretta legalità può contemperarsi – in virtù di una opzione di merito legislativo – col criterio di assorbimento.

Diversamente, nei concorsi per il conferimento di un numero limitato di posti la valutazione della Commissione deve articolarsi in termini necessariamente relativi, in un contesto in cui la valutazione positiva di un candidato incide sulla posizione degli altri i quali – se operasse la sanatoria dei risultati di fatto – si vedrebbero irrimediabilmente precluso il diritto costituzionalmente protetto di agire in giudizio per la tutela del proprio interesse legittimo ad una corretta competizione.

In sostanza, l’applicazione del comma 2 bis anche ai concorsi (come quello notarile) per il conferimento di posti a numero limitato è impraticabile perchè lede – oltre alle garanzie di difesa dell’Amministrazione la posizione degli altri concorrenti, i quali hanno diritto ad ottenere dal giudice una pronuncia definitiva che accerti se l’ammissione (o la rinnovata valutazione delle prove) del loro antagonista fosse o meno legittima.

Nè, ovviamente, l’applicabilità della sanatoria anche ai concorsi può dipendere da circostanze di mero fatto, relative alla perdurante vacanza di posti o alla collocazione in graduatoria del concorrente promosso ope legis.

A tutto quanto sin qui osservato va comunque aggiunto che – come si vedrà nel prosieguo – secondo questo Collegio nel concorso notarile il superamento della preselezione costituisce titolo di ammissione al seguito del concorso: di talchè pianamente il ricorrente, non essendo “in possesso dei titoli per partecipare” non rientra comunque fra i destinatari della norma speciale.

Tanto premesso, si evidenzia altresì che i documenti presentati dall’appellato dopo la spedizione della causa in decisione non possono essere presi in considerazione, nemmeno ai fini della rimessione del ricorso sul ruolo.

Secondo consolidati principi, dai quali il Collegio non ritiene di potersi discostare, nel periodo intercorrente tra la deliberazione della decisione e il deposito della stessa il giudice (salvi i casi speciali di rilevanza esterna del dispositivo) può e deve tenere conto unicamente dello ius superveniens (Cass. n. 4466 del 1992) e delle eventuali sentenze dichiarative dell’illegittimità costituzionale della norma applicata. (Cass. n. 16081 del 2004).

A ciò deve aggiungersi sul piano fattuale che in ogni caso l’orientamento dell’Amministrazione, come desumibile dai documenti depositati, non si è in alcun modo tradotto in conseguenti iniziative processuali dell’Avvocatura erariale.

L’appello dell’Amministrazione è quindi ammissibile e procedibile e nel merito risulta fondato.

Con il motivo che conviene esaminare in via prioritaria l’appellante deduce che ha errato il Tribunale nel dichiarare il ricorso originario improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse in quanto gli effetti degli atti (favorevoli all’appellato) adottati dall’Amministrazione al solo fine di dare esecuzione ad un’ordinanza cautelare non possono stabilizzarsi in assenza di una sentenza di merito che riconosca la fondatezza del gravame.

Il mezzo è fondato.

In linea generale la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato nella sua più autorevole espressione ha chiarito che l’improcedibilità del ricorso (nel caso in cui le sopravvenienze si verifichino in pendenza del primo grado di giudizio) può discendere solo dall’adozione da parte dell’Amministrazione di provvedimenti diversi ed ulteriori rispetto a quelli imposti dalla necessità di dare esecuzione alla misura cautelare. (Ap. n. 3 del 2003). Viceversa, la mera esecuzione di un provvedimento cautelare – non presentando profili di discrezionalità nell’an – non comporta il venir meno della res litigiosa. Ed infatti, stante la necessaria correlazione tra azione principale e azione cautelare, l’ammissione con riserva ad una pubblica selezione concorsuale di un candidato che abbia impugnato il provvedimento di esclusione non può produrre altro effetto che quello di impedire nelle more del giudizio il protrarsi della lesione lamentata dal ricorrente, consentendogli la partecipazione alle prove concorsuali, non potendo ogni ulteriore effetto che conseguire dal passaggio in giudicato della pronuncia di merito favorevole la quale soltanto, rimuovendo dalla realtà giuridica il provvedimento di esclusione, da un lato restituisce al concorrente escluso la pienezza dei diritti e dall’altro costituisce l’obbligo per l’Amministrazione di provvedere ad attribuirgli tutte le posizioni di vantaggio scaturenti dal superamento delle prove d’esame, rese inattaccabili dallo scioglimento positivo della riserva di ammissione.

Ne consegue che (come tra l’altro chiarito dalla Sezione con dee. 4165 del 2005 concernente il concorso per l’abilitazione forense) non spiega alcun giuridico effetto sull’interesse giuridicamente protetto azionato in giudizio la rinnovata valutazione delle prove concorsuali effettuata in esecuzione della sentenza di primo grado del Giudice amministrativo ovvero di una sua misura cautelare, trattandosi di provvedimento destinato a venire meno in virtù del c.d. effetto espansivo esterno della riforma della sentenza, di cui all’art. 336 c.p.c., comma 2 che è norma applicabile al processo amministrativo di impugnazione in quanto espressione di un principio di carattere generale e non contrastante con i principii propri del processo avanti alla giurisdizione amministrativa.

A ciò deve aggiungersi del resto che la stessa Corte Costituzionale (sentenza n. 115 del 1991) ha espresso la propria contrarietà ad un intervento giurisdizionale, che miri a far ottenere in sede cautelare, nella situazione descritta, “quel soddisfacimento dell’interesse sostanziale che solo dall’azione amministrativa può essere realizzato”.

Tanto chiarito in generale circa i profili strettamente processuali della vicenda, si deve poi verificare se, con riguardo alla specifica controversia, possa essere invocato il c.d. principio di assorbimento, la cui operatività costituisce un limite all’espansione dell’effetto caducante. Si tratta cioè di verificare se il superamento delle prove scritte e orali del concorso notarile possa assorbire gli effetti costitutivi del provvedimento di non ammissione originariamente impugnato, operando una nuova verifica che si ponga sul piano sostanziale come circostanza esterna, sopravvenuta e prevalente rispetto al diniego. Come è noto, il principio di assorbimento è stato elaborato da quella giurisprudenza la quale ha ritenuto che il superamento dell’esame di maturità da parte del candidato ammesso con riserva assorbe il giudizio di non ammissione formulato dal Consiglio di classe, proprio in quanto la valutazione globale operata dalla Commissione esaminatrice e si sovrappone (appunto assorbendolo) all’analogo giudizio del Consiglio.

Ora, in linea di massima, proprio l’intervento spiegato dal Legislatore onde consentire l’applicazione del principio di assorbimento alle prove idoneative o abilitative fa evidente come tale principio sia in realtà di per sè insuscettibile di generalizzazione e quindi inapplicabile al di fuori dell’ambito nel quale si è pretoriamente originato.

In disparte tale rilievo, e venendo alle prove preselettive del concorso notarile, deve darsi atto che originariamente la giurisprudenza della Sezione (infatti richiamata dal Giudice di primo grado) si è inizialmente orientata nel senso di ritenere operante detto principio. In tal senso 4^ Sez. n. 2191 del 2001 ha precisato che l’assorbimento si verifica in quanto la preselezione costituisce una mera fase preliminare del concorso il cui superamento non configura un requisito di ammissione, atteso il rapporto di continenza tra le materie oggetto di preselezione e le prove del concorso.

Più di recente peraltro la Sezione, rimeditando funditus la materia, con decisione n. 2191 del 2004 ha motivatamente escluso che il superamento delle prove scritte ed orali possa assorbire l’esito negativo della preselezione informatica.

A tale orientamento il Collegio aderisce pienamente, rilevando che nella configurazione della procedura l’ammissione alle prove scritte a seguito del superamento della prova preselettiva costituisce senz’altro un presupposto indispensabile per l’espletamento della stessa. In tal senso si deve infatti ricordare che la L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 5 stabilisce che, per ottenere la nomina a notaio è necessario superare un esame di concorso, le cui prove scritte – secondo quanto stabilito dal seguente art. 5 bis, aggiunto dalla L. 26 luglio 1995, n. 328, art. 1 – sono precedute da una prova di preselezione eseguita con strumenti informatici e con assegnazione ai candidati di domande con risposte multiple prefissate, secondo le modalità stabilite dal regolamento.

Il seguente art. 5 ter (parimenti introdotto con la L. n. 328 del 1995) precisa che all’esito della prova è ammesso a sostenere le prove scritte un numero di candidati pari a cinque volte i posti messi a concorso e, comunque, non inferiore a novecento, secondo la graduatoria formata in base al punteggio conseguito da ciascun candidato nella prova di preselezione. Ne consegue che alla stregua della normativa applicabile ratione temporis (e risultando perciò comunque irrilevante ogni approfondimento sulle modifiche introdotte in materia dal recentissimo D.Lgs. n. 166 del 2006) il superamento della preselezione costituisce un vero e proprio titolo di ammissione alle prove scritte, in un contesto in cui la procedura si articola dunque in tre scansioni che vanno tutte autonomamente superate ancorchè le materie che ne costituiscono l’oggetto siano le medesime nelle varie fasi.

Il superamento degli scritti è quindi inutile se non sono stati superati i test preselettivi allo stesso modo in cui il superamento degli orali non riparerebbe l’insuccesso prodottosi nelle prove scritte. In conclusione e secondo i principi, il superamento della preselezione configurandosi quale requisito di ammissione al seguito della procedura determina sul piano giuridico effetti costitutivi propri, la cui mancanza non è surrogabile in via ricognitiva a seguito del positivo espletamento delle (successive) prove scritte ed orali.

– che sulla base di tali premesse il Consiglio di Stato annullava la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigettava il ricorso introduttivo del giudizio.

– che contro la decisione del Consiglio di Stato il dott. C.A. ha proposto ricorso per cassazione,con due motivi, ai quali ha resistito con controricorso il Ministero della Giustizia;

– che è stata depositata relazione ex art. 380 bis c.p.c. del seguente tenore:

rilevato:

– che con il primo motivo del ricorso, denunciando eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore, si deduce che, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, l’art. 4, comma 2 bis, cit., sarebbe applicabile anche al concorso per notaio, per cui il Consiglio di Stato non sarebbe “semplicemente incorso in mero error iudicandi, ma ha travalicato i propri poteri sostituendosi al legislatore ed esercitando una funzione legislativa, sostanzialmente rifiutando l’applicazione della legge e sostituendo il proprio dictum a quello del legislatore”;

ritenuto:

– che il motivo è inammissibile, in quanto il Consiglio di Stato non ha inteso disapplicare una norma, ma, a tutto voler concedere, potrebbe avere erroneamente interpretato l’art. 4, comma 2 bis, cit., il che non comporta una questi one di giurisdizione, con riferimento alla quale è consentito il ricorso alle Sezioni Unite della S.C.;

rilevato:

– che con il secondo motivo si denuncia “Eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata alle valutazioni di opportunità dell’Amministrazione” e deduce che il Ministero della Giustizia aveva espressamente dichiarato di rinunciare all’appello proposto contro la sentenza del Tar Lazio, per cui il Consiglio di Stato non poteva sovrapporsi a tale volontà;

– ritenuto che l’unico provvedimento agli atti è successivo alla udienza di discussione della causa, per cui il Consiglio di Stato non può essere addebitato il vizio denunciato.

P.Q.M. si ritengono sussistere le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e dell’art. 375 c.p.c., nn. 1 e 5. – rilevato che, comunque, le questioni di giurisdizione prospettate con il ricorso sarebbero inammissibili alla luce dell’orientamento inaugurato da questa S.C. 9 ottobre 2008 n. 24883, in quanto non sollevate nei precedenti gradi di giudizio;

rilevato:

– che con la memoria ex art. 378 c.p.c. si deduce che:

1) Il Ministero della Giustizia ha sempre tenuto un comportamento finalizzato ad avvalersi delle funzioni notarili del ricorrente;

2) il Ministero della Giustizia non ha condiviso l’appello proposto dall’Avvocatura dello Stato contro la sentenza del T.A.R., in quanto con atto in data 19 giugno 2006 ha dichiarato: “… I candidati in oggetto indicati …che hanno presentato ricorso avverso il mancato superamento della preselezione informatica … nelle more del giudizio hanno superato le prove scritte e orali del concorso, e …, esercitando dal 2004 la professione di notaio, hanno di fatto maturato una situazione meritevole di essere consolidata giuridicamente… Pertanto, alla luce di quanto sopra esposto, questa Direzione Generale non ritiene di dover coltivare il contenzioso (nei fatti esaurito) nei confronti dei ricorrenti in esame e chiede a codesta Avvocatura di agire consequenzialmente…”; 3) Le prove preselettive sono state abrogate con la L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 66, comma 6, lett. d;

– ritenuto che si tratta di questioni che, a prescindere dalla loro astratta rilevanza giuridica in un giudizio davanti al giudice amministrativo, non pongono questioni di giurisdizione, le uniche delle quali queste Sezioni unite si possono occupare;

rilevato:

– che sempre nella memoria ex art. 378 c.p.c. si deduce che la sentenza impugnata sarebbe stata emessa in presenza di difetto assoluto di giurisdizione, sussistente le volte in cui un giudice, quantunque astrattamente competente a giudicare in relazione alla situazione giuridica azionata, si pronunci in assenza dei presupposti per esercitare giudizio; nella specie vi era stata la determinazione dell’Amministrazione procedente di avvalersi delle funzioni notarili del ricorrente prestando acquiescenza alla sentenza di primo grado, per cu, in presenza di tale acquiescenza il Consiglio di Stato si sarebbe pronunciato in assenza dei presupposti per rendere il giudizio, ovvero si sarebbe pronunciato in carenza assoluta di potestas iudicandi;

– ritenuto che, a prescindere dalla pertinenza delle decisioni di questa S.C. invocate, non può costituire questione di giurisdizione la (dedotta) inammissibilità dell’appello in relazione ad una (asserita) acquiescenza dell’appellante alla sentenza di primo grado;

rilevato:

– che sempre con la memoria ex art. 378 c.p.c. si deduce che la dichiarazione in data 19 giugno 2006, di cui sopra, era pervenuta al Consiglio di Stato in data antecedente alla udienza di discussione, da ritenere tenuta in data 22 giugno 2006, e che comunque della si sarebbe dovuto tenere conto anche se pervenuta successivamente alla udienza di discussione ma prima della pubblicazione della sentenza e ad ogni modo in base ad essa si era determinata le cessazione della materia del contendere, rilevabile da queste Sezioni unite; ritenuto che il provvedimento in questione sarebbe comunque inidoneo a determinare la cessazione della materiale del contendere, in quanto, secondo la previsione della L. 3 aprile 1979, n. 103, art. 12, comma 1 la divergenza tra l’Avvocatura dello Stato ed il Ministero della Giustizia circa la resistenza nei giudizio avrebbe dovuto essere risolta dal Ministro con determinazione non delegabile, nella specie inesistente;

ritenuto, in conclusione, che il ricorso va dichiarato inammissibile, con compensazione delle spese del giudizio di legittimità, in considerazione della delicatezza delle questioni.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso; compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2010

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