Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16339 del 28/06/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 16339 Anno 2013
Presidente: VIRGILIO BIAGIO
Relatore: CIGNA MARIO

SENTENZA

sul ricorso 25101-2007 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

2013
361

LUCIANI GABRIELLA;

intimata

sul ricorso 28432-2007 proposto da:
LUCIANI GABRIELLA, elettivamente domiciliata in ROMA
VIA CAMOZZI l, presso lo studio dell’avvocato

Data pubblicazione: 28/06/2013

PELLEGRINO CARMINE, che la rappresenta e difende
giusta delega a margine;
– controricorrente con impugnazione incidentale contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;
intimato

avverso la sentenza n. 62/2006 della COMM.TRIB.REG.
di ROMA, depositata il 03/07/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 30/01/2013 dal Consigliere Dott. MARIO
CIGNA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso principale, assorbito il
ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso proposto dinanzi alla CTP di Roma Luciani Gabriella, titolare di un esercizio di bar e caffè,
impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate, in applicazione dei parametri di cui
all’art. 3, comma 181, L 549/95 ed al DPCM 19-1-1996 (come modificato dal DPCM 27-3-1997), aveva
rettificato il reddito di lavoro autonomo dichiarato per l’anno 1996 (da una dichiarata perdita di lire 64.000
ad un accertato reddito positivo di lire 113.231.000), con conseguente maggiore imposta per IRPEF, SSN e

La CTP di Roma accoglieva il ricorso, ritenendo illegittimo il DPCM 29-1-1996 in quanto emanato senza
acquisire il preventivo parere del Consiglio di Stato, richiesto dall’art. 17 della L. 400/1988 per tutti i
provvedimenti aventi natura regolamentare.
Con sentenza depositata il 3-7-2006 la CTR di Roma rigettava l’appello dell’Ufficio; in particolare la CTR,
esclusa la natura regolamentare del DPCM e la conseguente illegittimità di quest’ultimo, rilevava che nè nel
provvedimento nè nei prospetti allo stesso allegati erano stati riportati i dati concreti sui quali l’Ufficio
aveva fondato la determinazione dei maggiori ricavi ripresi a tassazione; concludeva, pertanto, che non
sussisteva nessuna prova, neanche di tipo presuntivo, in ordine al maggiore credito di imposta azionato,
sicchè alcun onere della prova contraria incombeva sul contribuente ex art. 2697, comma 2, cc.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per Cassazione l’Agenzia, affidato a due motivi; resisteva con
controricorso la contribuente, che proponeva ricorso incidentale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso principale l’Agenzia, deduceva —ex art. 360 n. 5 cpc- omessa, insufficiente e
contradditoria motivazione su un punto decisivo della controversia (costituito dalla insussistenza di idonei
elementi di prova).
Con il secondo motivo, deducendo —ex art. 360 n. 3 cpc- violazione e falsa applicazione dell’art. 3 comma
179 ssg della L 549/1995 nonchè dell’art. 39, comma 1, lett. d) dpr 600/73 e dell’art. 2697 cc, rilevava che
in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la determinazione del reddito effettuata sulla base
dell’applicazione del cosiddetto “redditometro” dispensava l’Amministrazione Finanziaria da qualunque
ulteriore prova rispetto ai fatti-indici di maggiore capacità contributiva, individuati dal redditometro stesso
e posti a base della pretesa tributaria fatta valere, e poneva a carico del contribuente l’onere di dimostrare
che il reddito presunto sulla base del redditometro non esistesse o esistesse in misura inferiore; nel caso in
esame la contribuente non aveva nè allegato nè tanto meno provato alcun elemento, atto o fatto idoneo a
contestare la forza presuntiva dei parametri utilizzati dall’Ufficio, sicchè il mancato assolvimento di t
onere non poteva che comportare la piena operatività dei previsti parametri.

e

le

contributo straordinario per l’Europa.

Con unico motivo di ricorso incidentale la contribuente insisteva sull’eccezione di illegittimità del DPCM 291-1996, ribadendo che, avendo quest’ultimo natura regolamentare, necessitava, prima di entrare in vigore,
del preventivo parere del Consiglio di Stato.
Siffatto motivo, da esaminarsi con precedenza per motivi di ordine logico, è infondato.
Per consolidata e condivisa giurisprudenza di questa S.C., invero, “in tema di accertamento tributario, il
D.P.C.M. 29 gennaio 1996 (sulla “Elaborazione dei parametri per la determinazione di ricavi, compensi e

ai sensi dell’art. 3, comma 181, della legge 28 dicembre 1995, n. 549) non viola l’art. 17 della legge 23
agosto 1988, n. 400, per essere stato emanato senza il parere preventivo del Consiglio di Stato, in quanto
non è un atto di natura regolamentare – né attuativo di legge, ai sensi del primo comma, né delegificante, ai
sensi del comma 2 -, non essendo espressione di una potestà normativa, secondaria rispetto a quella
legislativa, attribuita all’amministrazione, e non disciplina in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una
regolazione attuativa o integrativa della legge, ma è solo un prowedimento amministrativo a carattere
generale, in quanto espressione di una semplice potestà amministrativa, essendo rivolto alla cura concreta
di interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente
determinati nel prowedimento, ma determinabili” (Cass. 16055/2010; v. anche 17086/2012; 27656/2008).
Venendo, quindi, all’esame del ricorso principale, i su esposti motivi, da valutarsi congiuntamente in quanto
tra loro strettamente connessi, appaiono parzialmente fondati.
Al riguardo, per ciò che concerne in primo luogo i principi che devono sottendere alraccertamento
parametrico”, va, invero, rilevato che “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante
l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui
gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato
rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della
normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità

volume d’affari sulla base delle caratteristiche e delle condizioni di esercizio sull’attività svolta”, determinati

dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione
alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa
dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica
nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel
rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello
“standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal
contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento,
potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da
dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, ty\\

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vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia
facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in
sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo
comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli
“standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il
rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito” (Cass. sez.

Ciò posto, va evidenziato che la gravata sentenza nulla precisa né in ordine all’effettivo svolgimento del
contradditorio, momento centrale (come detto) della procedura di cui sopra, né in ordine alle giustificazioni
addotte (almeno) in ricorso dalla contribuente.
In proposito va, invero, rilevato che la sentenza si limita a riferire quanto sostenuto dall’Ufficio (secondo cui
l’accertamento è stato emesso dopo avere invitato la contribuente al contradditorio: v. pag. 2 sentenza
CTR), senza tuttavia prendere alcuna posizione sul punto, e nulla precisa con riferimento alla situazione
specifica rappresentata dalla contribuente (secondo cui nel 1996 non aveva potuto seguire personalmente
l’attività a causa di seri malanni fisici).
Siffatte considerazioni, in uno al rilievo che, come sostenuto dall’Agenzia e non contestato dalla
contribuente, nell’avviso di accertamento si era tenuto conto di specifici elementi e di specifici importi
dichiarati dalla contribuente (v. ricorso Agenzia, pag. 1), impongono la cassazione dell’impugnata sentenza,
con rinvio per nuovo esame, alla luce dei principi e dei rilievi di cui sopra, alla CTR Lazio, diversa
composizione, che prowederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

7

zr

P.Q.M.
JtI

La Corte ngetta il ricorso incidentale; accoglie il ricorso principale e, in relazione allo stesso, cassa
l’impugnata sentenza e rinvia alla CTR Lazio, diversa composizione, che provvederà anche in ordine ai
compensi di lite relativi al presente giudizio di legittimità.

bePOSITATO IN CANCELLERIA
IL

Così deciso in data 30-1-2013 nella camera di Consiglio della sez. tributaria.

2 e, blu

n

unite 26635/2009).

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