Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16338 del 03/07/2017

Cassazione civile, sez. lav., 03/07/2017, (ud. 15/02/2017, dep.03/07/2017),  n. 16338

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9168-2015 proposto da:

C.P. C. F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA FEDERICO CONFALONIERI presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

TROIANI, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CO.TRA.L. S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22,

presso lo studio degli avvocati ENZO MORRICO e VALERIA COSENTINO,

che la rappresentano e difendono giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7518/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/10/2014 r.g.n. 4681/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/02/2017 dal Consigliere Dott. ALFONSINA DE FELICE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO PAOLA, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato CARLO CIPRIANI per delega verbale Avvocato ANTONIO

TROIANI;

udito l’Avvocato GAETANO GIANNI’ per delega verbale ENZO MORRICO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza in data 7/10/2014 la Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma con cui si rigettava il ricorso di C.P., dipendente dal 1981 della Co.Tra.L. s.p.a. – già Cotral Compagnia trasporti laziali – con la qualifica di operatore e dal 1998 di responsabile del deposito di (OMISSIS).

Il ricorrente aveva convenuto in giudizio la Società Co.Tra.L. per sentire accertata l’illegittimità del provvedimento di destituzione comunicatogli con lettera del 12/12/2008, contenente gravi addebiti a suo carico. Egli avrebbe partecipato, quale responsabile del deposito automezzi alla truffa perpetrata in danno della datrice di lavoro, consistente nella simulazione di riparazioni di autobus al fine di lucrare illegittimi profitti dalla società riparatrice. Il Tribunale riteneva corretta la procedura seguita nell’adozione del provvedimento e riteneva altresì provati alla stregua dell’istruttoria e della documentazione in atti sia l’addebito sia la responsabilità del ricorrente.

La Corte d’Appello di Roma adita dal C. in sede di gravame ha confermato la decisione del giudice di prime cure, ritenendo la condotta del ricorrente idonea a far venir meno il carattere fiduciario del vincolo, posto a base del rapporto, in quanto intenzionalmente finalizzata ad abusare del ruolo rivestito in qualità di responsabile del deposito autobus della Co.Tra.L. s.p.a..

Avverso la richiamata sentenza della Corte d’Appello di Roma ricorre C.P. con quattro motivi.

Resiste con controricorso la società Co.Tra.L..

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 45 c.p.c., n. 4, all. A), R.D. n. 148 del 1931, (art. 360 c.p.c., n. 3).

Il giudice d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto rientranti nella previsione di cui in epigrafe, la quale prefigura una condotta dolosa, rivolta a frodare l’azienda, mere omissioni, dalle quali si sarebbe potuto imputare al ricorrente al più un comportamento negligente.

Il motivo è infondato. Il rilievo secondo cui dalla condotta omissiva non potrebbe scaturire un fatto doloso è del tutto inconferente, poichè anche l’intenzionale non attivarsi può essere preordinato al conseguimento di un illecito di cui si accetta la rappresentazione.

Quanto alla mancata sussunzione della fattispecie delittuosa nella norma disciplinare applicata dalla Società, la sentenza d’Appello ne riporta testualmente il contenuto, da cui fa desumere, attraverso un iter logico argomentativo correttamente articolato, la piena corrispondenza tra i fatti contestati e la sanzione comminata (cd. opinamento di destituzione). Il R.D. n. 148 del 1931, art. 45, n. 4, sanziona con la destituzione il dipendente che “…scientemente, e nonostante restituzione, defraudi o contribuisca a che altri defraudi l’azienda dei suoi averi, diritti o interessi, anche se tali mancanze siano rimaste allo stato di tentativo”. La condotta del ricorrente, secondo la Corte d’Appello, ha fatto venir meno la fiducia alla base del rapporto di lavoro per essersi concretizzata in atti delittuosi, di carattere doloso e mediante abuso della funzione ricoperta all’interno della Società tali da giustificare l’adozione della sanzione espulsiva.

2) Col secondo motivo si deduce la violazione del R.D. n. 148 del 1931, artt. 53 e 54, all. A) (art. 360 c.p.c., n. 3), in quanto la sentenza gravata avrebbe omesso di censurare il diniego di audizione orale del dipendente da parte della Società dopo l’irrogazione della sanzione, in spregio dei principi generali di correttezza e buona fede (artt. 1366, 1374 e 1375 c.c.) che devono ispirare l’esercizio del potere disciplinare.

che tale motivo è infondato. Il rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri è disciplinato da una legge speciale (R.D. n. 148 del 1931) che prevale su ogni altra disposizione (nella specie sulla L. n. 300 del 1970, art. 7). In detta normativa, il procedimento disciplinare è materia ampiamente proceduralizzata, il che agevola l’interprete nel compito di vagliare la condotta delle parti e gli eventuali scostamenti dalla suddetta disciplina.

Nella sentenza gravata l’accertamento della perfetta aderenza dell’esercizio del potere disciplinare della Società Co.Tra.L. alle norme speciali richiamate, conferma la loro valenza di dato normativo insuperabile per la categoria di riferimento. Non si vede pertanto in quale misura, in presenza di un dato normativo incontestabile, parte ricorrente possa sollecitare questa Corte a pronunciarsi in ordine al vizio dedotto, se non pretendendo che la stessa eserciti quel sindacato sulla ricostruzione fattuale accertata in causa e non smentita che resta precluso dall’ordinamento.

Del tutto inconferente appare altresì il richiamo alla giurisprudenza amministrativa, al fine di legittimare il dovere dell’organo disciplinare di esaminare giustificazioni anche tardive, per la completezza della valutazione delle condizioni e delle situazioni dell’incolpato. Essa si riferisce, infatti, agli addetti alla Pubblica Sicurezza, ai quali non può certo assimilarsi la posizione del ricorrente.

3) Nel terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, comma 2, in combinato disposto con il R.D. n. 148 del 1931, artt. 53 e 54, per illegittimità della procedura disciplinare relativamente al mancato riconoscimento dell’esercizio del diritto di difesa e del principio del contraddittorio. La sentenza gravata avrebbe omesso di prendere in considerazione la violazione del contraddittorio da parte del provvedimento disciplinare, al fine di giudicare della legittimità del procedimento di destituzione. Il lavoratore, infatti, non aveva preso conoscenza dei fatti contestati se non dall’elencazione degli atti cui questi si riferivano contenuta nella lettera di addebito e non aveva potuto esercitare in contraddittorio il suo diritto di difesa, circostanza, quest’ultima, costituente fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5).

Il giudice d’Appello ha escluso l’indeterminatezza dei fatti contestati, ritenendo che la conoscenza degli addebiti attraverso il riferimento all’istanza di sequestro conservativo della Corte dei C., notificata al dipendente, e alla relazione investigativa della Guardia di Finanza fossero una fonte di prova più che idonea dell’acquisita conoscenza.

Il motivo è infondato. Esso si appunta sulla violazione e falsa applicazione da parte della sentenza gravata del principio di specificità degli addebiti contestati che presiede al corretto esercizio del potere disciplinare al fine di consentire il pieno esercizio del diritto di difesa.

Al contrario, anche su questo aspetto la motivazione della sentenza gravata appare coerente e logica, laddove riconosce la contestazione pienamente specifica in tutti i suoi elementi, tali da consentire la lavoratore l’esatta identificazione della condotta addebitata e la contrapposizione di congrue giustificazioni. Rafforza la motivazione anche l’esame del concreto svolgimento del diritto di difesa, che comprova un tenore difensivo idoneo a sostenere la specificità delle contestazioni e a farvi fronte ricorrendone le circostanze. La giurisprudenza di questa Corte, peraltro, opportunamente richiamata dalla sentenza d’Appello, riconosce, al fine della valutazione di cui in oggetto, la rilevanza della conoscenza di addebiti acquisita attraverso il riferimento ad altra documentazione nota al dipendente (Cass., n. 10662 /2014).

4) Nel quarto motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e della L. n. 604 del 1966, art. 5, dell’art. 2119 c.c., e degli artt. 115 e 116c.p.c., assumendo inadeguata, illogica e contraddittoria la valutazione delle prove concernenti l’accertamento della riconducibilità dei fatti contestati al ricorrente e posti a fondamento del provvedimento disciplinare di “opinamento di destituzione”. Il ricorrente ritiene che la decisione gravata abbia gravemente travisato i fatti rigettando il ricorso sulla scorta di semplici presunzioni ricavate dalla relazione investigativa della Guardia di Finanza e senza tener conto del fatto che, essendo egli inquadrato solo come capo operaio, il compito di dirigere un intero deposito di automezzi non poteva rientrare nella sua qualifica.

Il motivo è inammissibile. Esso postula un riesame dei fatti e della documentazione acquisita, sottratto al vaglio di questa Corte, in quanto comportante un riesame del merito.

In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese giudiziali seguono la soccombenza.

PQM

 

Rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2017

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