Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16334 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/07/2020, (ud. 11/06/2020, dep. 30/07/2020), n.16334

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28854-2018 proposto da:

N.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DON

MINZONI, 9, presso lo studio dell’avvocato ENNIO LUPONIO,

rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONIO ROMANO, EDUARDO

ROMANO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CONSOB COMMISSIONE NAZIONALE PER LE SOCIETA’ E LA BORSA,

elettivamente domiciliata in ROMA, V.MARTINI GIOVANNI BATTISTA 3,

presso lo studio dell’avvocato SALVATORE PROVIDENTI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIANFRANCO RANDISI,

MARIA GIOCONDA DE GAETANO POLVEROSI giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4642/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 28/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/06/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO; Lette le

memorie depositate dalle parti.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Il Comitato Promotore BASI – Banca Solidale Italiana scpa – in persona del Presidente Dott. N.C. e quest’ultimo, in proprio e quale componente del predetto comitato, hanno proposto opposizione, D.Lgs. n. 58 del 1998, ex art. 195, avverso la delib. n. 17323 del 2010, con la quale la Consob ha irrogato nei loro confronti la sanzione pecuniaria di 2.500.000,00 Euro, nonchè la sanzione accessoria ex art. 191, comma 3 TUF, per la durata di dodici mesi.

La condotta ascritta consisteva nell’abusiva offerta al pubblico di prodotti finanziari (azioni di una costituenda società), in violazione dell’art. 94 del TUF, mediante un sito internet, senza che, a differenza di quanto esposto dal Comitato, la pubblicazione del prospetto informativo fosse stata autorizzata dalla Consob.

La Consob, costituitasi, ha resistito all’opposizione.

La Corte d’Appello di Roma, con decreto depositato in data 11 febbraio 2011, ha respinto l’opposizione.

Per la cassazione del decreto ha proposto ricorso il N., in proprio ed in qualità di componente del Comitato Promotore, sulla base di sette motivi.

La Consob ha resistito con controricorso.

Con ordinanza interlocutoria dell’8 febbraio 2016, questa Corte ha chiesto al Primo Presidente di valutare l’opportunità della rimessione alle Sezioni Unite della questione di massima di particolare importanza, costituita dall’applicabilità o meno del principio della scissione degli effetti della notificazione anche agli atti amministrativi recettizi non negoziali, quale la contestazione di addebito in un procedimento finalizzato all’applicazione di sanzioni amministrative, oggetto del quarto motivo di ricorso.

Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 12332/2017 del 17 maggio 2017, hanno affermato che il principio di scissione degli effetti della notificazione trova applicazione anche in relazione all’atto di contestazione degli addebiti emesso nell’ambito del procedimento sanzionatorio della Consob, rigettando il quarto motivo di ricorso, ed hanno rinviato alla sezione rimettente per l’esame dei restanti motivi e la regolazione delle spese.

La Corte con la sentenza n. 4642 del 28 febbraio 2018 ha rigettato il ricorso.

Passando ad esaminare in via preliminare le eccezioni di illegittimità costituzionale, sollevate dai ricorrenti nella memoria ex art. 378 codice di rito, e precisamente quella concernente la violazione del principio del “ne bis in idem”, si ricordava che il N. aveva depositato la sentenza con la quale il Tribunale di Napoli lo aveva assolto dal reato di cui all’art. 166, comma 1, lett. c) in relazione all’art. 97 TUF con la formula “perchè il fatto non sussiste”.

Era quindi invocato il principio del “ne bis in idem”, con riferimento alla sanzione amministrativa applicatagli dalla Consob, deducendosi che, in caso contrario, sarebbero rilevanti i dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 187 bis e ter del TUF per contrasto con l’art. 117 Cost., alla luce della sentenza CEDU del 4.3.2014, nonchè dell’applicazione del principio del “ne bis in idem” di cui al Prot. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, artt. 2 e 4.

La sentenza reputava però la questione inammissibile, per difetto di rilevanza.

Infatti, rilevava che l’imputazione da cui il ricorrente era stato assolto ha ad oggetto il reato previsto dall’art. 166, comma 1, lett. c) TUF, che riguarda una situazione diversa da quella oggetto del presente giudizio, disciplinata dagli artt. 94 e 191 TUF, in quanto le diverse fattispecie sono caratterizzate da differenti elementi costitutivi.

L’art. 166 TUF sanziona, infatti, la condotta posta in essere da un “soggetto non abilitato” il quale svolga servizi o attività di investimento o di gestione collettiva del risparmio e prevede diverse condotte, comunque riconducibili al presupposto che le operazioni di investimento siano effettuate da operatori non abilitati, e quindi non assoggettati ai necessari requisiti di professionalità ed onorabilità: esso ha dunque ad oggetto la situazione soggettiva dell’agente.

La fattispecie disciplinata dagli artt. 191 e 94 TUF prende invece in considerazione la diversa condotta dell’offerta al pubblico abusiva di prodotti e strumenti finanziari, in quanto effettuata in assenza di prospetto preventivamente approvato dalla Consob, ed investe dunque un profilo di natura oggettiva, vale a dire le modalità dell’offerta.

Quindi, disattese altre due questioni di legittimità costituzionale, che non rilevano più in questa sede, rigettava il ricorso, pervenendo, quanto al merito dell’illecito contestato, alla conclusione che andava confermato l’accertamento della Consob, che aveva ritenuto pubblicati, sul sito internet riferibile al Comitato promotore della banca, materiale ed informazioni idonei ad integrare un’offerta al pubblico di prodotti finanziari. Infatti, dopo avere affermato che per la nozione di “offerta al pubblico” di cui agli artt. 1 e 94 TUF, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non è necessaria la sottoposizione ai potenziali interessati del prospetto informativo, essendo sufficiente che siano reperibili informazioni “sulle condizioni dell’offerta e sui prodotti finanziari offerti, così da mettere un investitore in grado di decidere e di acquistare o sottoscrivere tali prodotti finanziari”, si rilevava che nel sito internet del Comitato risultava che, contrariamente al vero, vi era stato nulla osta della Consob alla pubblicazione del prospetto informativo dal 12.7.2008; era inoltre indicato come prendere visione del prospetto e scaricarlo dal sito; quali e quante erano le azioni offerte e come ed in quali tempi aderire all’offerta.

Sulla base di tali elementi, la Corte territoriale aveva correttamente accertato l’esistenza di un’offerta al pubblico di prodotti finanziari abusiva, in quanto non corredata, contrariamente a quanto divulgato nel sito, dall’autorizzazione della Consob alla pubblicazione del prospetto informativo.

Per la revocazione di tale sentenza propone ricorso N.C., anche nella qualità di Presidente e membro componente del Comitato Promotore BASI – Banca Solidale Italiana S.c.p.a., sulla base di un motivo.

La Consob resiste con controricorso.

Preliminarmente occorre rilevare l’inammissibilità della memoria depositata inizialmente in prorpio dal N., atteso che anche tale atto andava presentato avvalendosi della difesa tecnica, non rientrando tra le possibilità delle parti di svolgere attività difensiva in proprio.

Va però rilevato che successivamente, ed in prossimità dell’udienza, il difensore di pare ricorrente ha depositato per via telematica memoria nella quale, oltre a contestare la proposta del Consigliere relatore, si richiama il Collegio a valutare la necessità di sospendere il giudizio attesa l’avvenuta presentazione di querela di falso da parte del ricorrente.

La richiesta non può aere seguito, attesa la stessa inammissibilità della querela proposta.

La giurisprudenza di questa Corte ha reiteratamente affermato che (Cass. n. 6389/1980) la querela di falso è proponibile nel giudizio di Cassazione solo quando concerna documenti attinenti al relativo procedimento, ossia quando riguardi la nullità della sentenza impugnata, l’ammissibilità del ricorso o del controricorso, l’autenticazione delle firme sugli stessi atti e le notificazioni di essi (conf. Cass. n. 4856/1980; Cass. n. 1508/1978; Cass. n. 390/1974 e più di recente Cass. n. 2343/2019, che ha ribadito che nel giudizio di cassazione, la querela di falso è proponibile limitatamente ad atti del relativo procedimento, come il ricorso o il controricorso, ovvero a documenti producibili ai sensi dell’art. 372 c.p.c., mentre non può riguardare atti e documenti che il giudice di merito abbia posto a fondamento della sentenza impugnata, in quanto la loro eventuale falsità, se definitivamente accertata nella sede competente, può essere fatta valere come motivo di revocazione).

Nella fattispecie, la querela è stata avanzata solo in via incidentale e contro il documento depositato nelle sedi di merito dalla Consob e denominato ” Richiesta di sottoscrizione azioni al c.p. della costituenda BASI Banca Solidale Italiana Sc.p.A.”, sicchè la fattispecie ricade nelle ipotesi in cui la querela di falso è inammissibile in cassazione.

Nel merito della revocazione, deduce il ricorrente che, proprio in relazione alla prima questione di legittimità costituzionale sollevata, la sentenza impugnata ha omesso di considerare, quanto alla impossibilità di invocare il principio del ne bis in idem, che la sentenza emessa in sede penale nei suoi confronti era pervenuta all’assoluzione, con la conseguenza che la decisione di questa Corte si fonda sulla supposizione di un fatto storico, e cioè nell’offerta fuori sede di strumenti finanziari, che il giudice penale ha accertato non accaduta.

A tali considerazioni si aggiunge altresì che, ai sensi dell’art. 654 c.p.p., la sentenza penale di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo quando si controverte intorno ad un diritto o ad un interesse legittimo, il cui riconoscimento dipende dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del processo penale, purchè i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale.

Poichè in sede penale è stato accertato che non vi era stata offerta, collocazione e/o promozione di prodotti finanziari da parte del N., erra la Corte di Cassazione quando valorizza il profilo soggettivo della condotta per sostenere la diversità tra l’illecito penale e quello amministrativo.

Il ricorso è inammissibile.

Quanto alla deduzione dell’errore di fatto revocatorio ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, unica ipotesi di revocazione suscettibile di essere dedotta avverso le sentenze che, come quella in esame, non abbiano deciso nel merito la causa (art. 391 bis c.p.c.), va ricordato che (cfr. Cass. n. 9527/2019) rientra fra i requisiti necessari della revocazione che il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi; pertanto, non è configurabile l’errore revocatorio qualora l’asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell’apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice (conf. Cass. n. 27622/2018, che chiarisce che ciò ricorre quando su detto fatto siano emerse posizioni contrapposte tra le parti che abbiano dato luogo ad una discussione in corso di causa, in ragione della quale la pronuncia del giudice non si configura come mera svista percettiva, ma assume necessariamente natura valutativa, sottraendosi come tale al rimedio revocatorio; Cass. n. 442/2018; Cass. n. 27094/2011).

Nel caso in esame, la questione relativa all’idoneità dell’assoluzione pronunciata in sede penale a riverberare i suoi effetti anche nel procedimento sanzionatorio amministrativo, in quanto idonea a configurare una decisione suridem”, preclusiva della disamina della diversa sanzione qui applicata, ha costituito un evidente punto controverso, sul quale la Corte ha avuto modo di pronunciarsi, pervenendo, con una valutazione evidentemente di carattere giuridico, ad escludere la ricorrenza dell’identità del fatto tra quanto sanzionato in sede penale e quanto invece ritenuto illecito in sede amministrativa.

Tale valutazione, che costituisce in maniera manifesta espressione della potestà decisionale della Corte, ha ancor prima reso superfluo esaminare il contenuto della sentenza penale, e ciò sull’affermazione in diritto che era irrilevante, ai fini della sorte del procedimento sanzionatorio amministrativo, indagare quale fosse stata invece la decisione del giudice penale e quali fatti fossero stati ivi accertati.

Ne deriva che va rilevata l’inammissibilità della censura in questa sede sollevata, sia perchè deve ribadirsi che la questione ha rappresentato un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, sia perchè impinge nella contestazione di una valutazione in diritto operata dal giudice di legittimità, insuscettibile di essere contestata con il mezzo della revocazione.

In tal senso si veda Cass. n. 8472/2016, che ha ritenuto essere manifestamente infondata – nè comporta la necessità di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia U.E. – la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 395,391 bis e 391 ter c.p.c., in riferimento agli artt. 2,3,11,24,101 e 111 Cost. ed in relazione all’art. 6 della CEDU, nella parte in cui non ammettono la revocazione delle sentenze di legittimità della Corte di cassazione per pretesi errori di diritto o di fatto, diversi dalla mera svista su questioni non oggetto della precedente controversia, rispondendo la non ulteriore impugnabilità all’esigenza, tutelata come primaria dalle stesse norme costituzionali e convenzionali, di conseguire il giudicato all’esito di un sistema strutturato anche su differenti impugnazioni, con l’immutabilità e definitività della pronuncia che tutela i diritti delle parti (conf. Cass. S.U. n. 8984/2018).

Nè miglior sorte potrebbero avere le censure del ricorrente ove riguardate, in assenza peraltro di una puntuale individuazione in motivo dell’ipotesi revocatoria specificamente denunciata, come volte a denunciare un preteso contrasto di giudicati tra la decisione del giudice penale e quella del giudice civile, in ragione della efficacia vincolante dell’accertamento compiuto dal primo.

Trattasi di censura doppiamente inammissibile, in quanto nella specie, come sopra accertato, la sentenza di questa Corte si è limitata a rigettare il ricorso, senza pervenire alla decisione nel merito della causa, fattispecie questa che consente di proporre come motivo di revocazione solo quello di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4.

Inoltre, va ricordato che (cfr. Cass. S.U. n. 23833/2015) è inammissibile il ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 5, nei confronti delle sentenze pronunziate dalla Corte di cassazione, trattandosi di motivo di revocazione non contemplato dalla disciplina positiva, non essendo nemmeno possibile pervenire, in via interpretativa, ad una differente soluzione per le sentenze che abbiano deciso nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c. giacchè l’art. 391 ter c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, pur ampliando il novero dei mezzi di impugnazione esperibili avverso dette pronunce, non ha incluso tale ipotesi (conf. Cass. S.U. n. 17557/2013).

Trattasi peraltro di conseguenza che appare indotta dallo stesso sistema atteso che, come sottolineato da Cass. n. 29580/2011, la mancata previsione dell’ipotesi di revocazione di cui al n. 5 dell’art. 395 c.p.c. avverso le sentenze della cassazione, oltre a derivare da una precisa scelta del legislatore, tiene conto della circostanza che il conflitto tra diverse “regulae iuris”, derivanti da due distinti giudicati sullo stesso oggetto, deve essere composto con la prevalenza del secondo sul primo, in base all’art. 15 preleggi, applicabile trattandosi di vicenda relativa a comandi giuridici, essendo in ogni caso manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale (per violazione degli artt. 3 e 24 Cost.) della omessa previsione dell’indicato motivo di revocazione, sia perchè non sussiste identità, o analogia, tra le posizioni del giudice di rinvio e della Corte di cassazione, quest’ultima potendo decidere nel merito la controversia solo in base ai medesimi accertamenti ed apprezzamenti di fatto che costituiscono i presupposti del giudizio di diritto, sia perchè l’esclusione di detto rimedio attiene ai limiti ed alle condizioni di operatività del giudicato, affidate alla valutazione discrezionale del legislatore ordinario, alla quale non resta estranea l’esigenza, tutelata dall’art. 111 Cost., di evitare che i giudizi si protraggano all’infinito.

Il ricorso va, quindi, dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater, – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 12.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2020

 

 

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