Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16333 del 26/07/2011

Cassazione civile sez. trib., 26/07/2011, (ud. 08/06/2011, dep. 26/07/2011), n.16333

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS) in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

GEPAF (GESTIONI PATRIMONIALI FINANZIARIE) SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 155/2008 della Commissione Tributaria

Regionale di ROMA del 27.5.08, depositata il 18/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’8/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. RAFFAELE

CENICCOLA.

La Corte:

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE. Struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi civili Sezione Tributaria;

RELAZIONE AI SENSI DELL’ART. 380 bis C.P.C., sulla CAUSA N. 20230/2009:

Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo, letti gli atti depositati Osserva:

La CTR di Roma ha accolto l’appello della GE.PA.F srl – appello proposto contro la sentenza n. 251/35/2007 della CTP di Roma che aveva rigettato il ricorso della società contribuente – ed ha così annullato l’avviso di rettifica per IVA relativa all’anno d’imposta 1998, con cui l’Agenzia aveva disconosciuto il diritto al rimborso dell’IVA esposta come credito d’imposta senza che vi fosse la prova che la società avesse sostenuto i relativi costi nell’esercizio di impresa.

La predetta CTR ha motivato la decisione ritenendo che a norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4 tutte le operazioni delle società commerciali sono considerate presuntivamente effettuate nell’esercizio di impresa, con conseguente legittimazione alla detrazione, senza che ciò sia contraddetto dal solo fatto che la società si sia limitata ad effettuare solo operazioni passive, una volta che le fatture prodotte in atti giustifichino l’inerenza dei costi all’attività d’impresa.

L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Non ha svolto attività difensiva la parte contribuente.

Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. assegnato allo scrivente relatore- può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

Infatti, con il primo motivo di censura (rubricato come: “Violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, assistito da idoneo quesito), assorbente rispetto al residuo, l’Agenzia ricorrente si duole in sostanza del fatto che il giudice di appello abbia ritenuto determinante ai fini del decidere la presunzione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4 con conseguente illegittimità del disconoscimento dei costi, sia pure in difetto di una prova positiva circa la loro inerenza ad un’attività d’impresa.

La censura è manifestamente fondata, alla luce della costante e condivisibile giurisprudenza di questa Corte secondo cui: “In tema di i.v.a., in base alla disciplina dettata dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 4, comma 2, n. 1, e art. 19, comma 1, mentre le cessioni di beni da parte di società commerciali sono da considerare “in ogni caso” – cioè senza eccezioni – effettuate nell’esercizio di impresa, per gli acquisti di beni da parte delle stesse società il requisito dell’inerenza, ai fini della detraibilità dell’imposta, non può presumersi sulla base della sola qualità di imprenditore dell’acquirente, essendo onere di chi invoca la detrazione provare che tali operazioni passive sono state effettivamente compiute nell’esercizio d’impresa, cioè in stretta connessione con le finalità imprenditoriali” (per tutte Cassazione civile , sez. trib., 17 febbraio 2010, n. 3706).

Il giudice del merito ha quindi fondato il suo convincimento su una erronea interpretazione della regola applicabile alla specie di casa.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza.

Il relatore (Giuseppe Caracciolo).

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate conclusioni scritte, nè memorie.

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto.

che le spese di lite posso essere regolate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR del Lazio che provvederà anche sulle spese di lite del presente grado.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2011

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