Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16333 del 03/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 03/07/2017, (ud. 20/07/2016, dep.03/07/2017),  n. 16333

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7499-2014 proposto da:

D.G.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE GIULIO CESARE 237, presso lo studio dell’avvocato

MICHELE MARRA, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

GEMAR S.P.A. C.E. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUDOVISI 35, presso

lo studio dell’avvocato MASSIMO LAURO, rappresentata e difesa

dall’avvocato BENEDETTO MIGLIACCIO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4966/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 12/09/2013 r.g.n. 735/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/07/2016 dal Consigliere Dott. LEO GIUSEPPINA;

udito l’Avvocato MARRA MICHELE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SANLORENZO RITA, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Napoli, con sentenza depositata il 12/9/2013, rigettava il gravame interposto da D.G.A., nei confronti della Gemar S.p.A., avverso la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata con la quale era stata respinta la domanda del lavoratore, volta ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatogli dalla Gemar S.p.A. ed altresì la reintegra nel posto di lavoro ed il pagamento di tutte le retribuzioni maturate.

Per la cassazione della sentenza ricorre il D.G. articolando due motivi.

La Gemar S.p.A. resiste con controricorso e deposita memoria ai sensi dell’art. 378 del codice di rito.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L. n. 223 del 1991, artt. 4, 5 e 24, lamentando, in particolare, che la motivazione della Corte territoriale presenti alcuni limiti evidenti laddove afferma che “all’esito della prova testimoniale ha trovato conferma la tesi… circa la legittimità del licenziamento e l’effettiva sussistenza del giustificato motivo oggettivo”, mentre, a parere del ricorrente, la società avrebbe dovuto fare ricorso alla procedura prevista dalla L. n. 223 del 1991 (artt. 4, 5 e 24), secondo quanto affermato – sempre a parere del ricorrente – dalla Corte di legittimità.

2. Con il secondo motivo il D.G. deduce, sempre in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 3, e si duole del fatto che erroneamente, alla fattispecie, sia stata applicata la predetta legge anzichè quella che disciplina il licenziamento collettivo, posto che, secondo il ricorrente, nell’ipotesi di fine lavori “con licenziamento plurimo soggettivo è onere della società dare la prova della impossibilità di utilizzare il lavoratore in mansioni di manovale ed operaio comune addetto all’edilizia e non dare la sola prova della fine lavorazione del cemento armato e ferro in quanto la circostanza può essere utile per il ferraiolo specializzato ed il carpentiere specializzato che oltre a tali mansioni potrebbe non avere altre mansioni da svolgere, ma non per il lavoratore comune e/o manovale che è impegnato non in una lavorazione, ma in tutte le lavorazioni complementari di cantiere, in quanto operaio in grado di compiere solo lavori semplici di assistenza a tutti i lavoratori specializzati e di pulizia e dismissione del cantiere edile”.

1.1; 2.1 I motivi a sostegno del ricorso di legittimità – che possono essere trattati congiuntamente, in quanto afferenti, nella sostanza, alla lamentata mancata applicazione, alla fattispecie, della procedura prevista dalla L. n. 223 del 1991 – non possono essere accolti.

In particolare, quanto al primo, si osserva che lo stesso contiene una censura (la mancata applicazione alla fattispecie della L. n. 223 del 1991, artt. 4, 5 e 24) riguardo alla quale il ricorrente non specifica se sia stata proposta nelle fasi di merito (nè dalla lettura dei motivi di gravame articolati nella sentenza oggetto di questo giudizio si evince che sul punto vi sia stata alcuna doglianza) e, dunque, la stessa appare nuova nel presente giudizio. Pertanto, è altresì superfluo soffermarsi sul fatto che la doglianza venga introdotta nel giudizio di legittimità in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, del codice di rito, mentre, nella sostanza si censurino “gli evidenti limiti della motivazione della sentenza della Corte di merito”, da ricondurre, all’evidenza, al n. 5 del medesimo articolo; censura che, comunque, è inammissibile per la formulazione non più consona con le modifiche introdotte all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile, ratione temporis, al caso di specie, poichè la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come riferito in narrativa, il 13/9/2013.

Il secondo motivo è da respingere alla stregua dei costanti arresti giurisprudenziali di questa Corte di legittimità nella materia, dei quali la Corte territoriale ha dimostrato di avere fatto corretta applicazione (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 4349/2015, 17273/2011, 2782/2008, 9072/2007).

Ed invero, come, in più occasioni, sottolineato da questa Suprema Corte, nel licenziamento per riduzione del personale nel settore dell’edilizia l’esaurimento dell’attività o di una fase di lavoro del cantiere edile presso il quale i lavoratori sono impiegati integra il giustificato motivo oggettivo di licenziamento individuale e/o plurimo ai sensi della L. n. 604 del 1996, in quanto, laddove ricorrano le suddette ipotesi – espressamente escluse dall’applicazione delle procedure di mobilità di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 24, – si configurano casi di licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo per cessazione o, comunque, riduzione di attività di lavoro, disciplinati dalla L. n. 604 del 1966, art. 3. Inoltre, tali recessi possono qualificarsi come licenziamenti per riduzione del personale, perchè comportano inevitabilmente una diminuzione della forza – lavoro relativamente ai lavoratori assunti, come il D.G., per lo svolgimento delle opere relative ad una specifica fase.

La Corte di merito, dunque, sulla base di quanto emerso dalle risultanze istruttorie, anche in relazione all’impossibilità, per il datore di lavoro, di reimpiegare il D.G., manovale comune, negli altri cantieri ancora aperti, in quanto negli stessi si stava procedendo alle fasi di rifinitura finale, in cui era necessario impiegare operai specializzati, ha applicato correttamente le norme disciplinanti la fattispecie, reputando legittimo il licenziamento.

Per tutto quanto esposto il ricorso va respinto.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.500,00, oltre Euro 100,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 20 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2017

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