Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16332 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/07/2020, (ud. 11/06/2020, dep. 30/07/2020), n.16332

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10542-2018 proposto da:

ICE SNEI SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI PORTA

PINCIANA N 6, presso lo studio dell’avvocato BENIAMINO CARAVITA DI

TORITTO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

GIOVANNI COLACURCIO, MARCELLO COLLEVECCHIO giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.A., domiciliata in ROMA presso la Cancelleria della

Corte di cassazione e rappresentata e difesa dall’avvocato MARCELLO

PERILLO giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 954/2017 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 04/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/06/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dalla ricorrente.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione la società ICE SNEI s.p.a. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Salerno – Sez. dist. Amalfi, M.A., per ottenere il rilascio dell’immobile sito in (OMISSIS) e catastalmente individuato in N. C.E.U. al foglio (OMISSIS), particella (OMISSIS), in quanto abusivamente occupato dalla stessa.

La società affermava di aver acquistato da F.C.B. e F.C.C. un complesso immobiliare all’interno del quale vi era tale immobile; pertanto, chiedeva il rilascio dello stesso, nonchè la condanna della convenuta al risarcimento dei danni derivante sia dall’occupazione sine titulo, sia dal ritardo che tale comportamento illecito aveva causato all’esecuzione dei lavori per la costruzione di un complesso turistico.

M.A. si costituiva in giudizio per il rigetto delle istanze attoree e, con domanda riconvenzionale, chiedeva che fosse accertata l’usucapione dell’immobile.

Dopo aver riunito il procedimento a quello avente numero di RG 145/2008, veniva espletata l’istruttoria documentale e testimoniale.

Con sentenza n. 98/2013 il Tribunale rigettava la domanda attorea e accoglieva la riconvenzionale della M., affermando l’avvenuta usucapione della proprietà dell’immobile, sulla base delle prove testimoniali, dalle quali emergeva un possesso uti dominus continuato, pubblico, pacifico ed esclusivo, esercitato per oltre vent’anni con l’animus possidendi.

Avverso tale sentenza M.A. proponeva appello, deducendo la mancata pronuncia sull’usucapione anche della parte di terreno adiacente all’immobile – non rientrante nella particella catastale (OMISSIS) – nonchè l’errata determinazione delle spese di lite. In subordine chiedeva la nomina di un CTU per individuare esattamente il bene usucapito.

La società ICE SNEI si costituiva chiedendo il rigetto dell’appello per mancanza di prove circa il possesso ad usucapionem del terreno adiacente; proponeva, inoltre, appello incidentale per ottenere il rilascio dell’immobile e il risarcimento dei danni. Parte appellata deduceva la mancanza dei presupposti richiesti dalla legge per usucapire il bene, poichè, come dichiarato dalla M. in sede di comparsa conclusionale di primo grado, l’immobile era stato locato al padre della stessa e non risultavano elementi dai quali ricavare un’interversione del possesso. Infine, eccepiva che dalle testimonianze acquisite si poteva provare un possesso a partire dal 2003, ma non per il periodo precedente.

Depositata la CTU e precisate le conclusioni, la Corte d’Appello di Salerno con la sentenza n. 954/2017 accoglieva l’appello principale e rigettava l’appello incidentale, condannando la società alle spese di lite del doppio grado di giudizio.

Dalle testimonianze di S.C., Mo.Gi., M.M. e Fi.Ni., poteva dirsi dimostrato un possesso idoneo ad usucapire sia l’immobile che il terreno ad esso adiacente, a partire dagli anni ‘70.

Al contrario, alla dichiarazione secondo cui il padre della M. era conduttore dell’immobile, la Corte negava valore confessorio richiamandosi a quella giurisprudenza di legittimità attributiva unicamente di un carattere indiziario alle dichiarazioni contenute negli atti processuali provenienti dal legale della parte, ed in quanto tali liberamente valutabili dal giudice ai fini della formazione del proprio convincimento.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre oggi la società ICE SNEI S.p.A. sulla base di due motivi di ricorso.

M.A. resiste con controricorso.

Con il primo motivo di ricorso si deduce la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 832 c.c. e dell’art. 42 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1141,1158 e 1164 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: error in iudicando per insussistenza dei presupposti del possesso uti dominus e della interversio possessionis. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e omesso esame di un fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5″.

La sentenza della Corte d’Appello sarebbe errata per aver ritenuto sussistenti i presupposti per l’acquisto dell’immobile mediante usucapione.

La ricorrente ha più volte evidenziato che la locazione dell’immobile da parte dei precedenti proprietari alla famiglia M. configurerebbe un rapporto di detenzione e non di possesso tra l’immobile e la M.. Ai fini della sussistenza del solo animus detinendi vi sarebbero le due dichiarazioni fatte dall’odierna intimata nell’atto di citazione del giudizio di primo grado (RG n. 145/2008) e in sede di comparsa conclusionale di primo grado, nelle quali la stessa parlava di possesso dell’immobile concesso in locazione al padre, e che la Corte avrebbe erroneamente valutato, conferendole unicamente valore indiziario.

Al contrario, essendo le dichiarazioni contenute nella comparsa redatte dal procuratore della M., esse avrebbero valore confessorio, e come tali costituirebbero prova piena in combinato con gli altri scritti difensivi corredati da mandato a margine.

Peraltro la mera detenzione dell’immobile da parte della M. sarebbe confermata da una sentenza del Tribunale di Napoli (n. 9018/1973) che, pronunciatasi sulla pretesa provvigione spettante alla M. quale mediatrice della compravendita dell’immobile tra le originarie proprietarie A. ed il F., farebbe emergere la piena consapevolezza da parte della M. della altrui titolarità dell’immobile, impedendole di aver mai potuto possedere ad usucapionem.

Con il secondo motivo di ricorso si denunzia l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1158 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; insussistenza del requisito del possesso ventennale, continuato, pacifico ed esclusivo”.

La sentenza impugnata sarebbe altresì da riformare laddove avrebbe erratamente ritenuto il decorso del termine ventennale del possesso continuato, pacifico ed esclusivo.

I giudici dell’appello non avrebbero tenuto conto del fatto che dall’istruttoria emergerebbe un possesso della M. solo a partire dal 2003, in quanto precedentemente il possesso poteva eventualmente ricondursi solo al fratello E..

Tutto ciò si tradurrebbe in una palese violazione dell’art. 1158, non essendo decorso alcun termine ventennale, questione su cui la Corte avrebbe omesso di esprimere una motivazione e che, pertanto, comporterebbe la cassazione di tale sentenza. I due motivi di ricorso, stante la loro stretta connessione logica, possono trattarsi congiuntamente e devono essere rigettati.

Come generalmente affermato da questa Corte, in tema di possesso “ad usucapionem”, non è censurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito in ordine alla validità degli eventi dedotti dalla parte al fine di accertare se, nella concreta fattispecie, ricorrano, o meno, gli estremi del possesso idoneo ad usucapire. Tale accertamento, in concreto, integra un’indagine di fatto, rimessa al giudice di merito, sicchè nel giudizio di legittimità non è configurabile la richiesta di prendere direttamente in esame la condotta della parte, al fine di trarne elementi di convincimento, ma si può solo censurare, per omissione o difetto di motivazione, la decisione di merito che abbia del tutto trascurato o insufficientemente esaminato la questione di fatto dell’interversione (Cass. n. 356/2017; Cass. n. 27521/2011).

Da questo punto di vista non può dirsi viziata la sentenza della Corte d’Appello di Salerno, la quale, nel valutare l’usucapione, ha provveduto ad un riesame di tutti gli atti istruttori svolti nel primo grado di giudizio ed ha ammesso in grado di appello lo svolgimento di una consulenza tecnica, che le ha consentito di pervenire all’affermazione dell’avvenuta usucapione tanto dell’immobile che del terreno ad esso adiacente.

In primo luogo va ricordato che la costante giurisprudenza di questa Corte ha affermato che (cfr. da ultimo Cass. n. 4908/2017) le dichiarazioni contenute nella comparsa di risposta, contenenti affermazioni relative a fatti sfavorevoli al proprio rappresentato e favorevoli all’altra parte, non hanno efficacia di confessione, ma possono soltanto fornire elementi indiziari qualora l’atto sia sottoscritto dal difensore e non dalla parte personalmente (conf. Cass. n. 4744/2005).

Analoga regola è stata poi affermata anche in relazione alle dichiarazioni rese dal consulente di parte, essendosi ribadito che (cfr. Cass. n. 21827/2013) la relazione tecnica di parte prodotta in giudizio, dalla quale si traggono elementi a favore della controparte, non assume valore di confessione, la quale è atto della parte e va espressa in relazione ad un fatto in essa esplicitato, non rilevando, a tal fine, la mera inferenza logica di un’ammissione del consulente (conf. Cass. n. 93/1990).

La stessa ricorrente riconosce che l’atto che conterrebbe la pretesa dichiarazione confessoria non risulta anche sottoscritto dalla controparte, ma per superare tale rilievo, che invece assume carattere decisivo, fa richiamo alla necessità di dover valutare tale scritto nel complesso con gli altri scritti difensivi invece recanti la sottoscrizione (ancorchè a mezzo della firma apposta sul mandato a margine) della M..

Va invece considerato che secondo la Corte d’appello appare dimostrato il potere di fatto, pubblico e indisturbato, esercitato da M.A. tanto sull’immobile che sul terreno antistante, per il tempo necessario ad usucapirlo, senza che tale situazione possa essere smentita da un pregresso rapporto di locazione, originariamente in essere tra i genitori della M. e le sorelle A.. Tale locazione, infatti, se da un lato può dirsi sussistente, in un primo momento – a partire dagli anni ‘40 – non altrettanto è detto che sia un rapporto che sia rimasto con tale connotazione anche successivamente, come peraltro si ricava dallo stesso tenore della comparsa di risposta della controricorrente in primo grado, nella quale, pur dandosi atto che l’immobile era stato in origine l’abitazione della famiglia, e ciò per effetto della concessione (verosimilmente in locazione) da parte delle originarie proprietarie, fa poi espresso riferimento alla vicenda della vendita dei primi anni ‘70, che ha costituito poi oggetto della sentenza del Tribunale di Napoli n. 9018/73, pur richiamata in ricorso, ed allegata agli atti del fascicoletto depositato in questa sede unitamente al ricorso, dalla quale si evince che la M. con la domanda in quella sede proposta intese sostenere di essere divenuta effettivamente proprietaria del bene, in quanto il trasferimento della proprietà costituiva il corrispettivo dovuto per l’attività di mediazione svolta nell’interesse degli allora proprietari, denotando in tal modo come la pretesa di godimento del bene non avesse più giustificazione nell’originario rapporto di locazione, quanto invece nel convincimento (ritenuto infondato dal Tribunale) di essere divenuta proprietaria (e ciò per effetto di un negozio privo dei requisiti di forma), ma che denota una condotta idonea a porre in essere linterversio possessionis da parte dell’originaria detentrice e nei confronti di chi poi aveva alienato il bene all’odierna ricorrente.

In tal senso, la sentenza del Tribunale di Napoli n. 809/1973, che parte ricorrente richiama quale elemento per dimostrare la mancata titolarità dei beni oggetto di causa in capo alla M., in realtà permette di rilevare un mutamento all’interno della relazione tra la res di cui si pretende l’usucapione e la M., dal momento che quest’ultima, convinta di aver ricevuto la proprietà dei beni a titolo di provvigione per l’attività di mediazione svolta nell’interesse della proprietaria, ed in vista dell’alienazione di un più ampio compendio immobiliare, già riteneva di non essere più conduttrice dell’immobile e del terreno, ma di esercitare su di essi un potere sulla cosa manifestantesi in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà.

Proprio la domanda che era stata proposta nel giudizio deciso con la sentenza emessa nel 1973, dimostra che l’odierna controricorrente rivendicasse l’immobile quale proprietaria, e, ancorchè la domanda sia stata allora rigettata, l’intero processo dà contezza di un avvenuto mutamento del titolo in base al quale la detenzione è mutata in un possesso idoneo ad usucapire i beni.

Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, l’interversione nel possesso non può aver luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia consentito desumere che il detentore abbia cessato d’esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui e abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio, con correlata sostituzione al precedente “animus detinendi” dellmanimus rem sibi habendi”; tale manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell’avvenuto mutamento, e quindi tradursi in atti ai quali possa riconoscersi il carattere di una concreta opposizione all’esercizio del possesso da parte sua (Cass. n. 2392/2009). A tal fine l’interversione può avvenire anche attraverso il compimento di attività materiali, se esse manifestano in modo inequivocabile e riconoscibile dall’avente diritto l’intenzione del detentore di esercitare il potere sulla cosa esclusivamente “nomine proprio”, vantando per sè il diritto corrispondente al possesso in contrapposizione con quello del titolare della cosa (Cass. n. 12968/2006).

Vale, inoltre, quanto affermato da Cass. n. 5419/2011, secondo cui l’interversione del possesso richiede, per il mutamento del titolo, o l’intervento di “una causa proveniente da un terzo”, per tale dovendosi intendere qualsiasi atto di trasferimento del diritto idoneo a legittimare il possesso, indipendentemente dalla perfezione, validità, efficacia dell’atto medesimo, compresa l’ipotesi di acquisto da parte del titolare solo apparente, oppure l’opposizione del detentore contro il possessore, opposizione che può aver luogo sia giudizialmente che stragiudizialmente e che consiste nel rendere noto al possessore, in termini inequivoci e contestando il di lui diritto, l’intenzione di tenere la cosa come propria. Lo stabilire se, in conseguenza di un atto negoziale, ancorchè invalido, al detentore di un immobile sia stato da un terzo trasferito il possesso del bene, costituisce un’indagine di fatto, riservata al giudice di merito, i cui apprezzamenti e valutazioni sono sindacabili in sede di legittimità soltanto per illogicità o inadeguatezza della motivazione.

Dunque, anche alla luce degli enunciati principi giurisprudenziali, può dirsi incensurabile la valutazione della situazione di fatto operata dalla Corte d’appello, la quale nel tener conto tanto delle testimonianze quanto della consulenza tecnica, ha ritenuto di poter affermare l’avvenuta usucapione dell’immobile e del terreno, dal momento che da tale materiale probatorio è emerso, a partire dagli anni settanta, un possesso da parte di M.A. esclusivo, continuato e pubblico, per il tempo necessario ad usucapirlo.

Tali considerazioni valgono a smentire anche quanto contestato con il secondo motivo di ricorso, nel quale la società ritiene che le valutazioni istruttorie dimostrino, al massimo, un possesso continuato ed esclusivo a partire dal 2003. In realtà gli accertamenti istruttori compiuti in primo grado, avvalorati dalla CTU e condivisi anche dai giudici di appello, attribuiscono sin dagli anni settanta dello scorso secolo il possesso utile ad usucapire in capo ad M.A., la quale appare essere l’unica ad esercitare una costante signoria sul bene, vivendoci d’estate ed occasionalmente anche d’inverno. Il fatto che anche il fratello E. vivesse nell’immobile, non esclude la possibilità, nel corso degli anni, di un possesso in via mediata del bene da parte della controricorrente e, dunque, che il primo fosse un mero detentore dell’immobile e che la seconda fosse l’unica ad esercitare un potere di fatto esclusivo, continuato e pubblico per oltre vent’anni.

Il ricorso dev’essere pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater, – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2020

 

 

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