Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16331 del 10/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 10/06/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 10/06/2021), n.16331

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10410-2020 proposto da:

A.S.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIUSEPPE LUFRANO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS)

– intimato –

avverso il decreto n. cronol. 255/2020 del TRIBUNALE di ANCONA,

depositato il 29/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MAURO DI

MARZIO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. – A.S.S., cittadino pakistano, ricorre per quattro mezzi, nei confronti del Ministero dell’interno, contro il decreto del 29 febbraio 2020 con cui il Tribunale di Ancona ha respinto il suo ricorso avverso il diniego, da parte della competente Commissione territoriale, della sua domanda di protezione internazionale o umanitaria.

2. – Non svolge difese l’amministrazione intimata, nessun rilievo potendosi ascrivere ad un atto di costituzione depositato per i fini dell’eventuale partecipazione alla discussione orale.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

3. – Il ricorso contiene i seguenti motivi:

1. Violazione, falsa applicazione e errata interpretazione del D.Lgs. n. 13 del 2017, artt. 1 e 2 nonchè dell’art. 276 c.p.c. laddove il Giudice avanti al quale si è tenuta la discussione e che si è riservato la decisione risulta un GOT non facente parte della sezione specializzata e non facente parte del collegio giudicante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4);

2. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Violazione, mancata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 14, lett. c), del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 10, 13 e 27 per aver il Tribunale escluso la sussistenza dei presupposti del riconoscimento della protezione sussidiaria in modo disancorato dal contesto socio-politico attuale del Pakistan;

3. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non aver ritenuto sussistenti le condizioni di vulnerabilità del ricorrente, in caso di rientro forzoso in patria.

RITENUTO CHE:

4. – Il ricorso è inammissibile.

4.1. – L’inammissibilità discende anzitutto dall’inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 6 dal momento che il ricorso si fonda essenzialmente sulle dichiarazioni rese in sede di comparizione dinanzi alla Commissione territoriale, ma il relativo verbale non è “localizzato” (Cass., Sez. Un., 25 marzo 2010, n. 7161; Cass. 20 novembre 2017, n. 27475).

4.2. – In ogni caso il primo motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c. poichè spiegato in violazione del principio secondo cui, in tema di protezione internazionale, non è affetto da nullità il procedimento nel cui ambito un giudice onorario di tribunale abbia proceduto all’audizione del richiedente la protezione ed abbia rimesso la causa per la decisione al collegio della Sezione specializzata in materia di immigrazione (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3356: da ult. SU 5425/21).

4.3. – Il secondo motivo è inammissibile.

In esso si dice che il Tribunale avrebbe respinto la domanda “limitandosi a dichiarare che il ricorrente non avrebbe dedotto alcun pericolo per la propria incolumità”, escludendo “la sussistenza dei presupposti per la protezione sussidiaria in modo del tutto disancorato dal contesto di informa5zioni di sorta”: ma le cose stanno in tutt’altro modo, giacchè il Tribunale non si è affatto limitato a tale affermazione, ma ha richiamato le fonti, debitamente indicate, tali da dimostrare che nella zona di provenienza del richiedente non ricorre una situazione riconducibile al richiamato art. 14, lett. c). Sicchè il motivo manca di specificità, giacchè non correlato all’effettiva motivazione del provvedimento impugnato. Vi è inoltre da dire che il ricorrente richiama un report pubblicato il 31 gennaio 2020 (non si sa preso da dove, e neppure se prodotto il giudizio) dal quale emergerebbe che le autorità pakistane “hanno intensificato la repressione del diritto alla libertà di espressione. Le sparizioni forzate sono rimaste pervasive… Il governo non ha rispettato i suoi impegni a legiferare contro la tortura e ha sparito forzatamente (così nel testo: n.d.r.1”, e altro del genere: condotte certo non commendevoli, ma che purtuttavia non hanno nulla a che spartire con la previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) il quale si riferisce a “minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.

4.4. – Il terzo motivo è inammissibile.

Si tratta di considerazioni di ordine generale sulla protezione umanitaria ed in particolare sul concetto di vulnerabilità, dalle quali non emerge neppure approssimativamente per quale ragione il richiedente sarebbe persona vulnerabile, fatta eccezione per la sola generica frase secondo cui la vulnerabilità sarebbe dipendente daltto che egli si sarebbe “riuscito a creare in Italia un tessuto di convivenza sociale”. Del che, per vero, non emerge in concreto dal ricorso assolutamente nulla.

5. – Nulla per le spese. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2021

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