Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16330 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/07/2020, (ud. 11/06/2020, dep. 30/07/2020), n.16330

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9343-2018 proposto da:

B.C.G., domiciliato in ROMA presso la Cancelleria

della Corte di Cassazione e rappresentato e difeso dall’avvocato

LEONARDO RANIA giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

S.M., C.A. elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA SABATINO 2, presso lo studio dell’avvocato ROBERTINO

ORLANDO, rappresentati e difesi dall’avvocato GIULIO TARSITANO

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2155/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 04/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/06/2020 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;

Lette le memorie depositate dal ricorrente.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

S.M. e C.A. con citazione del 24 aprile 2004, convenivano in giudizio dinnanzi al Tribunale di Cosenza B.C.G., al fine di sentirlo condannare ex art. 1110 c.c. al pagamento della somma di Euro 4.110,16 a titolo di rimborso spese per il rifacimento del tetto comune, oltre interessi e spese.

Deducevano che il 3 maggio 2003 il S. – in veste di proprietario della casa sita in (OMISSIS), al piano primo del fabbricato identificato nel Nuovo Catasto Edilizio Urbano al foglio n. (OMISSIS) part. (OMISSIS) (rogito del 29/12/1993) – comunicava al B., proprietario del seminterrato e del piano terra dello stesso fabbricato, la necessità di rifacimento del tetto comune, inoltrando un preventivo di spesa della ditta G.E..

Il B. aveva manifestato piena disponibilità per l’esecuzione dei lavori, consigliando la redazione delle tabelle millesimali al fine di stabilire l’esatta spesa pro quota; quindi, il 31 maggio 2003 inviava agli attori un’altra missiva con la quale comunicava di aver dato incarico all’ing. Licursi affinchè provvedesse alla valutazione volumetrica della parte di sua competenza, come poi era appunto avvenuto.

I lavori di rifacimento del tetto erano poi stati eseguiti per un importo complessivo di Euro 9.904,00 corrisposto dal S. così che la quota dovuta dal B. risultava essere pari a Euro 4.110,16, che però il convenuto si rifiutò di corrispondere.

Il B., nel costituirsi in giudizio, eccepiva la carenza di consenso – posto che il S. aveva già presentato al Comune una DIA, prima di ancora informare il B. della necessità di eseguire i lavori, nonchè l’assenza di trascuranza o disinteresse al fine della manutenzione del bene, come emergeva dalla corrispondenza intercorsa tra le parti, avendo manifestato l’interesse ad avere esatta contezza dei lavori da eseguirsi e della relativa spesa; asseriva la mancanza del requisito della necessità della spesa, la difformità dei lavori eseguiti rispetto a quelli prospettati con la DIA, in quanto avevano comportato una trasformazione strutturale e architettonica. Chiedeva, pertanto il rigetto della domanda, attesa l’applicabilità alla vicenda dell’art. 1134 c.c..

Con la sentenza n. 15/10 depositata il 2/2/2010, il Tribunale di Cosenza accoglieva la domanda e condannava il B. al pagamento sia della somma di Euro 4.110,16, oltre interessi, sia della somma di Euro 2.060,00 per spese e competenze di giudizio. Dalla motivazione emergeva l’inquadramento della fattispecie nella disciplina dell’art. 1110 c.c., posto che era emersa dall’istruttoria sia la prova della necessità della spesa di rifacimento del tetto per la conservazione del bene comune, sia la prova della trascuranza o negligenza del convenuto, rivelatesi nel contenuto dilatorio della corrispondenza inviata al S..

Il Giudice di primo grado, parimenti, riteneva che il quantum della pretesa risultasse provato dalla testimonianza di G.E., il quale aveva confermato il preventivo e l’esecuzione dei lavori da parte sua ed il ricevimento del pagamento di Euro 9.904,00 dal S.. Verificava, inoltre, la correttezza della quota di rimborso richiesta al B., sulla base delle tabelle millesimali redatte dall’ing. Licursi, e depositate dallo stesso convenuto.

Avverso la citata sentenza proponeva appello il convenuto, chiedendo la sospensione dell’efficacia esecutiva. Sosteneva che la spesa effettuata, non attenesse tanto a lavori necessari alla conservazione del tetto, quanto a modifiche strutturali del fabbricato per un migliore godimento esclusivo del bene stesso da parte dei coniugi S., circostanza che poteva essere confermata da una CTU descrittiva dello stato dei luoghi e dei lavori eseguiti, della quale l’appellante reiterava la richiesta di ammissione. Denunciava, poi, l’erroneità ed illogicità della motivazione, in primo luogo, perchè fondata su dichiarazioni testimoniali, la cui rilevanza probatoria era contestata dal B., in quanto consistenti in mere opinioni personali del teste; in secondo luogo, perchè aveva ritenuto sussistente il requisito della trascuranza e negligenza ex art. 1110 c.c., nonostante che dalla documentazione prodotta emergesse la volontà di collaborare dell’appellante; in terzo luogo, perchè aveva ritenuto provato il quantum esclusivamente sulla base della testimonianza, senza che fosse acquisita agli atti idonea documentazione comprovante l’effettivo esborso. Rilevava, infine, l’omessa considerazione ai fini del calcolo delle quote della parte spettante al sig. C.F., che aveva acquistato la proprietà di un’unità immobiliare sita nello stabile prima dell’esecuzione dei lavori.

La Corte d’Appello di Catanzaro con la sentenza n. 2155/2017 accoglieva l’appello, ritenendo insussistente la prova dei requisiti della necessarietà e della trascuranza richiesti dall’art. 1110 c.c. e, vista la particolarità delle questioni trattate, compensava le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.

B.C.G. il 16 marzo 2018 ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro, sulla base di un motivo, con cui denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento agli artt. 91 e 92 c.p.c., artt. 118 e 132 disp. att. c.p.c. e art. 24 Cost. e art. 111 Cost., comma 6, in relazione alla decisione dei giudici di appello di compensare le spese di lite.

In particolare, la Corte d’Appello non avrebbe tenuto conto della regola dettata dall’art. 91 c.p.c., che prevede la condanna della parte totalmente soccombente al pagamento delle spese, avendo derogato alla stessa senza, tuttavia, assolvere all’obbligo imposto dall’art. 92 c.p.c. di motivare la scelta a favore della compensazione delle spese di giudizio.

A tal fine viene richiamato il disposto dell’art. 92 c.p.c. – nel testo vigente prima della modifica introdotta dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. A essendo la controversia iniziata prima del 1 marzo 2006 – in base al quale il giudice può compensare le spese se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi.

Secondo il ricorrente, il riferimento alla “particolarità delle questioni trattate” non assurgerebbe a valido supporto motivazionale della sussistenza dei giusti motivi per compensare le spese. Non sussisterebbe neppure una motivazione implicita in tal senso, dal momento che non sarebbe rinvenibile nel caso di specie alcuna particolarità delle questioni trattate, nè sotto il profilo di orientamenti giurisprudenziali contrastanti nè sotto il profilo della difficoltà degli accertamenti di fatto.

S.M. ed C.A. hanno resistito con controricorso.

Il ricorso è infondato.

L’interpretazione di questa Corte ha chiarito come l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Nel caso di specie, il ricorrente non ha indicato alcun fatto storico specifico, il cui esame sia stato omesso, nè il dato testuale o extratestuale da cui risulti, come e quando sia stato oggetto di discussione tra le parti e la sua decisività, ma, al contrario, si è limitato a una generica contestazione della motivazione della sentenza della Corte d’Appello.

Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 8053 del 2014, hanno precisato che la novella, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, deve intendersi come volta alla riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata (a prescindere dal confronto con le risultanze processuali). Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta dei motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” di motivazione (cfr. Cass. civ., sez. III, 12/10/2017, n. 23940). Ne deriva che appare inammissibile la censura in relazione al vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1.

Non è ravvisabile nemmeno violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., artt. 118 e 132 disp. att. c.p.c. e art. 24 Cost. e art. 111 Cost., comma 6.

Correttamente il ricorrente ha invocato l’applicazione della disciplina relativa alla condanna alle spese previgente rispetto all’emanazione della L. 28 dicembre 2005, n. 263, dal momento che la causa è iniziata nel 2004. In base al disposto originario dell’art. 92, comma 2, se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti.

In tema di pronunzia sulle spese processuali sussiste violazione di legge (nella specie dell’art. 91 c.p.c.) soltanto quando le spese stesse siano poste in tutto o in parte a carico della parte totalmente vittoriosa, mentre è rimesso al potere discrezionale del giudice di merito, incensurabile in cassazione, l’apprezzamento dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte (cfr., ex plurimis, Cass. Sez. 2, n. 15014 del 2000; Cass. Sez. 2, n. 6414 del 2000).

Nel tempo si è consolidato l’orientamento in base al quale l’accertamento e la valutazione dei giusti motivi, in considerazione dei quali le spese medesime possono essere totalmente compensate, rispondono a valutazioni discrezionali del giudice, che non richiedono necessariamente l’esplicitazione in motivazione delle ragioni a fondamento di una decisione in tal senso (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2583 del 2002; Cass., Sez. 3, del 15/02/2006, n. 3282).

E’ stato ammesso, quindi, il sindacato di legittimità sulla compensazione delle spese solo in presenza di motivi, enunciati nella sentenza, del tutto erronei o illogici, tali da inficiare, stante la loro inconsistenza, lo stesso processo formativo della volontà decisionale espressa sul punto (cfr. Cass., Sez. L, n. 4745 del 2002; Cass., Sez. Un., n. 10168 del 2002).

Nell’ambito di questo orientamento, non sono mancate anche alcune pronunce che, viceversa, hanno sostenuto la necessità che il giudice di merito indichi, sia pure in forma succinta, le particolari ragioni (novità e delicatezza delle questioni, natura della controversia, comportamento processuale, etc.) che lo hanno indotto a mitigare il rigore del principio della soccombenza (cfr. Cass., sez. 2, n. 455 del 1999).

Tuttavia deve reputarsi preferibile la tesi per la quale la sentenza che provveda alla compensazione delle spese di lite, non deve necessariamente contenere una “specifica” motivazione – dato il suo carattere accessorio rispetto al merito – purchè, tuttavia, le ragioni che giustificano tale scelta (per “soccombenza reciproca”, ovvero per il concorso di “altri giusti motivi”) risultino, quantomeno, dalla motivazione complessiva del provvedimento giurisdizionale, cui la pronuncia stessa accede (cfr. Cass., Sez. L, n. 14213 del 2001; Cass., Sez. 2, del 30/03/2006, n. 7514; Cass., Sez. 2, del 15/03/2006, n. 5783; Cass., del 01/03/2007, n. 4854).

Queste conclusioni sono state accolte anche dalle sezioni unite, secondo le quali dovrà ritenersi assolto l’obbligo del giudice di dare conto delle ragioni della compensazione totale o parziale delle spese, oltre che in presenza di argomenti specificamente riferiti a detta statuizione, anche allorchè le argomentazioni svolte per la statuizione di merito contengano in sè considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la regolazione delle spese adottata. A titolo meramente esemplificativo, potrebbe ritenersi assolto detto obbligo di motivazione ove si desse atto nella motivazione del provvedimento di merito (ma sarebbe anche sufficiente che fosse desumibile in modo inequivoco dal contesto delle argomentazioni) di oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisiva, ovvero di oggettive difficoltà di accertamenti in fatto idonee a incidere sulla esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti, ovvero di una palese sproporzione tra l’interesse concreto realizzato dalla parte vittoriosa e il costo delle attività processuali richieste, ovvero, ancora, di un comportamento processuale ingiustificatamente restio a proposte conciliative plausibili in relazione alle concrete risultanze processuali, ecc.. (cfr. Cass., Sez. Un., del 30/07/2008, n. 20598; Cass., sez. L. del 31/07/2009, n. 17868; Cass., sez. L. del 23/03/2009, n. 6970; Cass., sez. 6 L del 2/10/2010, n. 24531).

Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha dato atto, sebbene in maniera succinta, delle ragioni poste a fondamento della compensazione delle spese, ravvisandole nella “particolarità delle questioni trattate”, avuto riguardo anche al complessivo comportamento delle parti, quale descritto nel corpo della decisione (si consideri solamente lo scambio di corrispondenza intercorso tra le parti prima dell’esecuzione dei lavori e che poteva legittimare il convincimento degli attori circa un consenso del convenuto all’esecuzione delle opere).

Ne deriva pertanto che, attesa la presenza di una valida motivazione, e trattandosi di una valutazione discrezionale rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, non è ammissibile un sindacato sul punto in sede di legittimità.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore dei controricorrenti che liquida in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 giugno 2020.

Depositato in cancelleria il 30 luglio 2020

 

 

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