Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16330 del 26/07/2011

Cassazione civile sez. II, 26/07/2011, (ud. 09/06/2011, dep. 26/07/2011), n.16330

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.C., rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale

a margine del ricorso, dall’Avv. PERLI Francesco, elettivamente

domiciliato nello studio dell’Avv. Letizia Mazzarelli in Roma, via

Panama, n. 58;

– ricorrente –

contro

S.U. (nei gradi di merito D.S.U., portando

allora il cognome del marito dal quale la stessa è oggi legalmente

divorziata), rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a

margine del controricorso, dagli Avv. Boscolo Emanuele e Fabio

Lorenzoni, elettivamente domiciliata nello studio di quest’ultimo in

Roma, via del Viminale, n. 43;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 3354 dell’11

dicembre 2008;

Udita, la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 9

giugno 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

uditi gli Avv. Francesco Perli ed Emanuele Boscolo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso per

l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che, giudicando sulla controversia promossa da De.Sa.Ur.

contro R.C., il Tribunale di Varese, sezione distaccata di Gavirate, con sentenza depositata in data 16 febbraio 2005, ha rigettato la domanda di condanna del convenuto alla rimozione della tenso – struttura di copertura del maneggio e, accertata la difformità della tenso – struttura con le norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale approvato dalla Giunta regionale, sezione norme di edificabilità relative alla zona omogenea E2 verde privato, ha condannato il convenuto a corrispondere all’attrice, per i danni patrimoniali cagionati alla sua proprietà, Euro 28.657, oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi legali dal dovuto al saldo, e compensato per le spese di lite, ponendo a carico del convenuto la restante metà;

che, pronunciando sul gravame del R., la Corte d’appello di Milano, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria l’11 dicembre 2008, in parziale riforma della impugnata pronuncia, ha determinato la decorrenza della rivalutazione monetaria e degli interessi legali, sulla somma di Euro 28.657,00, dal 14 gennaio 2000, data della domanda, confermando nel resto la sentenza del Tribunale e ponendo a carico dell’appellante le spese del grado;

che per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il R. ha proposto ricorso, con atto notificato il 25 gennaio 2010, sulla base di quattro motivi;

che l’intimata ha resistito con controricorso;

che in prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata;

che, preliminarmente, deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità del controricorso, sollevata dal ricorrente sul rilievo della asserita diversità del soggetto ( S.U.) che ha resistito in questa sede rispetto a quello ( D.U. S.) che promosse l’azione dinanzi al giudice di merito;

che, invero, si è di fronte alla stessa persona, che nei gradi di merito ha partecipato al giudizio con il cognome del marito e che adesso, dopo la pronuncia del divorzio, compare con il cognome suo proprio;

che la circostanza risulta per tabulas dalla copia della sentenza dichiarativa del divorzio S. – D.S. ritualmente prodotta, previa notificazione ex art. 372 cod. proc. civ., nel giudizio di legittimità;

che il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso o decisivo per il giudizio in relazione agli artt. 652 e 654 cod. proc. civ. ed agli effetti preclusivi nel giudizio civile del giudicato penale di assoluzione di cui alla sentenza del Tribunale penale di Varese, sezione distaccata di Gavirate, n. 155 del 2000;

che il secondo mezzo censura violazione o falsa applicazione di norme di diritto ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso o decisivo per il giudizio in relazione agli artt. 112 cod. proc. civ. e artt. 183, 184 e 189 (vecchio rito) cod. proc. civ.;

che con il terzo motivo si prospetta violazione o falsa applicazione di norme di diritto ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso o decisivo per il giudizio in relazione agli artt. 872 e 873 cod. civ. ed alla normativa urbanistico-edilizia del Comune di Osmate;

che il quarto motivo è rubricato “violazione dell’art. 163, punti 2, 3 e 4, in relazione all’art. 164 cod. proc. civ.”;

che i motivi che prospettano violazione o falsa applicazione di norme di legge sono privi del quesito di diritto, prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366-bis cod. proc. civ., ratlone temporis applicabile;

che questa Corte ha in più occasioni chiarito che i quesiti di diritto imposti dall’art. 366-bis cod. proc. civ. – introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza di soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto applicabile alla fattispecie, collabo-rando alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione;

i quesiti costituiscono, pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti, inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità (tra le tante, Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2007, n. 22640);

che il quesito di diritto non può essere desunto per implicito dalle argomentazioni a sostegno della censura, ma deve essere esplicitamente formulato, diversamente pervenendosi ad una sostanziale abrogazione della norma (Cass., Sez. Un., 17 aprile 2009, n. 9153);

che, in particolare, non può essere considerata idoneo quesito di diritto la frase – che compare a pag. 22 del ricorso – con cui, a conclusione del secondo motivo, si afferma: “L’appellata sentenza è, pertanto, viziata, oltre che per i profili anzi dedotti, in forma autonoma per violazione del principio della domanda ex art. 112 cod. proc. civ. in quanto l’attrice non ha mai formulato domande nelle materie ambientali in cui ha statuito la Corte”;

che, infatti, detta frase finale – oltre a non coinvolgere nella censura le altre disposizioni di legge (gli artt. 183, 184 e 189 cod. proc. civ.) la cui violazione o falsa applicazione è denunciata con il motivo – è assolutamente generica e, anche a volerla considerare quesito di diritto, non si confronta con la ratio che sostiene la sentenza impugnata, la quale, richiamando lo sviluppo procedimentale del giudizio di primo grado e le deduzioni avvenute all’udienza del 27 ottobre 2004, prima del verificarsi delle preclusioni istruttorie, è pervenuta alla conclusione secondo cui l’ampliamento della domanda risarcitoria originariamente formulata, in conseguenza della minore amenità dell’immobile, configura una emendatio libelli consentita, non mutandosi nè il petitum nè la causa petendi, ma specificandosi solamente le voci richieste con la domanda risarcitoria;

che, pertanto, detta frase finale non contiene l’enunciazione, ad opera del ricorrente, di un principio di diritto diverso da quello posto a base del provvedimento impugnato e perciò tale da implicare un ribaltamento della decisione adottata dal giudice a quo;

che anche con riguardo alle censure che articolano il vizio di motivazione non è stato osservato l’onere, imposto dal citato art. 366-bis cod. proc. civ., del quesito di sintesi;

che, invero, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto e le ragioni per le quali la motivazione è omessa, insufficiente o contraddittoria, imposto dall’art. 366-bis cod. proc. civ. , deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (Cass., Sez. 3^, 7 aprile 2008, n. 8897; Cass., Sez. 1^, 8 gennaio 2009, n. 189;

Cass., Sez. 1^, 23 gennaio 2009, n. 1741);

che non rileva che il ricorso sia stato notificato quando la L. 18 giugno 2009, n. 69, era già stata pubblicata ed entrata in vigore;

che, invero, alla stregua del principio generale di cui all’art. 11 preleggi, comma 1, secondo cui, in mancanza di un’espressa disposizione normativa contraria, la legge non dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo, nonchè del correlato specifico disposto della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5 in base al quale le norme previste da detta legge si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge (4 luglio 2009), l’abrogazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ. (intervenuta ai sensi della citata L. n. 69 del 2009, art. 47) è diventata efficace per i ricorsi avanzati con riferimento ai provvedimenti pubblicati successivamente alla suddetta data, con la conseguenza che per quelli proposti – come nella specie – contro provvedimenti pubblicati antecedentemente (e dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) tale norma è da ritenere ancora applicabile (Cass., Sez. 1^, 26 ottobre 2009, n. 22578; Cass., Sez. 3^, 24 marzo 2010, n. 7119);

che, pertanto, il ricorso deve essere – in conformità delle richieste del pubblico ministero – dichiarato inammissibile;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara, il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, liquidate in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 9 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2011

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