Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1633 del 23/01/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 1633 Anno 2018
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso 28176-2015 proposto da:
CURCIO GIOVANNI, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA F CORRIDONI 25, presso lo studio dell’avvocato
MAURIZIO DE FILIPPO, rappresentato e difeso
dall’avvocato GIUSEPPE PITARO, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2017
3433

DERICO NEW GEO S.R.L.;

intimata

Nonché da:
DERICO NEW GEO S.R.L.,

in persona del legale

Data pubblicazione: 23/01/2018

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA ERITREA 21, presso lo studio
dell’avvocato LUIGI LUCENTE, rappresentata e difesa
dall’avvocato DOMENICO GUALTIERI MARINO, giusta
delega in atti;

contro

CURCIO GIOVANNI;
– intimato –

avverso la sentenza n. 1066/2015 della CORTE
D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 05/10/2015
R.G.N. 221/15;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/09/2017 dal Consigliere Dott. FABRIZIO
AMENDOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO che ha concluso per
l’accoglimento del secondo motivo in subordine del
quarto motivo del ricorso principale, rigetto del
ricorso incidentale;
udito l’Avvocato ANDREA ARAGNO per delega Avvocato
GIUSEPPE PITARO;
udito l’Avvocato MARINO DOMENICO GUALTIERI.

– controricorrente e ricorrente incidentale –

R.G. n. 28176/2015

Fatti di causa

1. La Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza del 5.10.2015, in riforma
della pronuncia di primo grado, ha accertato l’illegittimità del licenziamento
intimato a Giovanni Curcio dalla Derico New Geo Srl ed ha condannato la

globale di fatto, richiamando il comma sesto dell’art. 18 della I. n. 300 del 1970
come novellato dalla I. n. 92 del 2012.
La Corte territoriale ha preliminarmente ritenuto che il licenziamento fosse
riconducibile non ad un illecito disciplinare bensì ad un fatto oggettivo che non
aveva reso possibile la prosecuzione del rapporto di lavoro, nella specie
consistente in una interdittiva prefettizia che aveva evidenziato il pericolo di
infiltrazioni mafiose nell’azienda in ragione della presenza di lavoratori aventi
precedenti penali e comunque vicini, per rapporti di parentela o affinità, ad
esponenti dei locali clan mafiosi. Tale provvedimento aveva comportato una
modifica dell’organizzazione dell’impresa, “pacificamente votata in via esclusiva
o comunque prevalente all’acquisizione ed esecuzione di appalti pubblici
(raccolta e smaltimento dei rifiuti e nettezza urbana)”, al fine di evitare la
perdita di commesse.
Premesso che il provvedimento prefettizio che aveva originato tale
riorganizzazione era successivamente venuto meno, perché dichiarato
illegittimo dal giudice amministrativo, la Corte calabra ha considerato che non
sussistesse il giustificato motivo oggettivo di licenziamento, tanto che il
provvedimento de quo era stato tempestivamente ritenuto illegittimo dal datore
ed impugnato dinanzi agli organi della giustizia amministrativa. Ha aggiunto che
“il datore, infatti, nelle more del ricorso giurisdizionale amministrativo, ben
avrebbe potuto procedere ad una temporanea sospensione del rapporto con i
lavoratori, indicati come segno di infiltrazione mafiosa, trattandosi di
circostanza che sottoposta a vaglio giurisdizionale ben poteva essere ritenuta
temporanea”.
Quindi, una volta accertata la mancanza di un “giustificato motivo oggettivo di
licenziamento”, la Corte di Appello ha considerato però che non potesse

società al pagamento di una somma pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione

R.G. n. 28176/2015

“qualificarsi la fattispecie come priva in modo manifesto dei fatti astrattamente
idonei a cagionare i licenziamenti”.
La sentenza d’appello ha poi così testualmente concluso: “non può, allora, ad
avviso della Corte, farsi applicazione alla fattispecie in esame del quarto comma
del novellato art. 18, bensì del comma sesto che richiama il quinto”.

quattro motivi. Ha resistito la società con controricorso, contenente ricorso
incidentale affidato ad un motivo.

Ragioni della decisione

1. Per ragioni di carattere logico-giuridico deve essere prioritariamente
esaminato il ricorso incidentale della società, in quanto con esso si contesta
l’illegittimità del licenziamento ritenuta dalla Corte territoriale.
Con un unico motivo si denuncia testualmente “violazione e falsa applicazione
di norme e principi di diritto”; sarebbe viziato l’iter motivazionale della sentenza
impugnata che violerebbe il principio secondo cui “la sentenza fa stato fra le
parti presenti nel processo”, atteso che il lavoratore non aveva partecipato al
processo amministrativo sicché gli effetti della sentenza che aveva caducato il
provvedimento prefettizio potevano prodursi esclusivamente nei confronti della
società e delle amministrazioni pubbliche presenti in detto giudizio; si deduce
che sulla valutazione della legittimità del licenziamento non potevano influire
fatti successivi quali la sentenza del TAR Calabria.
Il motivo, così come formulato, è inammissibile.
Non solo nella rubrica di esso, ma anche nell’illustrazione non viene indicata in
alcun modo norma di diritto alla quale parametrare la denunciata violazione e
falsa applicazione di legge, in modo da consentire a questa Corte il sindacato
sulla sentenza impugnata previsto secondo i canoni della critica rigorosamente
vincolata dall’art. 360 c.p.c..
Infatti secondo il costante insegnamento di questa Corte, proprio con
riferimento all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., il vizio va dedotto, a pena di
inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente

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2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il lavoratore con

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violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto
contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in
contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle
stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così
da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni,

istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. n. 287
del 2016; Cass. n. 635 del 2015; Cass. n. 25419 del 2014; Cass. n. 16038 del
2013; Cass. n. 3010 del 2012).
Inoltre le doglianze proposte appaiono prive di adeguata specificità ed
inconferenti rispetto al decisum atteso che la Corte territoriale non ha affatto
ritenuto l’illegittimità del licenziamento in ragione di un preteso giudicato
amministrativo.
Dalla così affermata inammissibilità del ricorso incidentale deriva altresì
l’irrilevanza della sentenza del Consiglio di Stato prodotta dalla difesa della
società all’udienza pubblica e resa all’esito del giudizio amministrativo di
impugnativa del provvedimento prefettizio.
2. Posta quindi l’illegittimità del licenziamento con una statuizione della Corte
calabra che, per quanto innanzi esposto, ha superato il vaglio di legittimità, è
possibile esaminare i motivi di ricorso principale.
3. Con il primo motivo di esso si denuncia “violazione e falsa applicazione delle
norme di diritto – illogicità manifesta” e, in particolare, “violazione e falsa
applicazione degli artt. 1, 3, 24, 27 Cost.”, lamentando testualmente che la
Corte di Appello abbia “riconosciuto come giusto motivo di licenziamento di un
lavoratore una mera supposizione dedotta da un atto illegittimo”, rappresentato
dal provvedimento prefettizio formato in carenza di contraddittorio e privo di
riscontro probatorio.
Il motivo soffre le medesime mancanze del ricorso principale per la palese
genericità delle critiche svincolate dalla forma necessaria che deve assumere
l’invocazione del vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.; inoltre esso si fonda
su di un presupposto errato, in quanto la Corte distrettuale ha dichiarato
l’illegittimità del licenziamento del ricorrente e non, come da questi sostenuto, il

non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito

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suo contrario, sicché le censure svolte si manifestano inammissibili anche per
inconferenza.
4. Con il secondo motivo del ricorso principale si denuncia violazione e falsa
applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori per non avere la Corte
territoriale ritenuto rientrante nell’ipotesi di “manifesta insussistenza” il

la motivazione della sentenza impugnata come “manifestamente illogica,
insufficiente” non risultando in alcun modo provato che il lavoratore ricorrente
avesse avuto legami con soggetti appartenenti alle consorterie mafiose. Si
eccepisce che la interdittiva antimafia era improduttiva di effetti, perché
caducata a seguito di sentenza del giudice amministrativo. Si sostiene l’illogicità
della motivazione che consentirebbe una “discriminazione sociale del
lavoratore” fondata su di un atto amministrativo illegittimo che postulava
indagini investigative abusive.
Il motivo è infondato in tutte le sue argomentazioni, considerando la natura
residuale della tutela reintegratoria, prevista dall’art. 18 I. n. 300/70 novellato,
già affermata da questa Corte (v. Cass. n. 14021 del 2016).
Invero la I. n. 92 del 2012, graduando le tutele in caso di licenziamento
illegittimo, ha previsto al quarto comma del nuovo art. 18 una tutela
reintegratoria definita “attenuata” (per distinguerla da quella più incisiva di cui
al primo comma), in base alla quale il giudice annulla il licenziamento e
condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore ed al pagamento
di una indennità risarcitoria dal giorno del licenziamento sino a quello
dell’effettiva reintegrazione, in misura comunque non superiore a 12 mensilità;
al quinto comma dello stesso articolo è prevista, invece, una tutela meramente
indennitaria per la quale il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro con
effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore al pagamento di una
indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di 12
mensilità e un massimo di 24, tenuto conto di vari parametri contenuti nella
disposizione medesima.
La linea di confine tra le due tutele, in caso di licenziamento per giustificato
motivo oggettivo illegittimo, è disegnata dal settimo comma dell’art. 18

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licenziamento in controversia, negando così la tutela reintegratoria. Si considera

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novellato secondo la seguente formulazione testuale per cui il giudice: “Può
altresì applicare la predetta disciplina (ndr. quella di cui al quarto comma)
nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del
licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta
che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica

Da più parti è stata segnalata l’incertezza di portata applicativa cui può dar
luogo la norma citata che ricollega alla nozione di “manifesta insussistenza del
fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”
conseguenze rilevanti quali il riconoscimento di una tutela di tipo reintegratorio
in luogo di una mera compensazione economica.
Secondo la pronuncia di questa Corte già citata – che qui si condivide – poiché
il giudice “può” attribuire la cd. tutela reintegratoria attenuata, tra tutte le
“ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi” del giustificato motivo
oggettivo, esclusivamente nel caso in cui il “fatto posto a base del
licenziamento” non solo non sussista, ma anche a condizione che detta
“insussistenza” sia “manifesta”, non pare dubitabile che l’intenzione del
legislatore, pur tradottasi in un incerto testo normativo, sia quella di riservare il
ripristino del rapporto di lavoro ad ipotesi residuali che fungono da eccezione
alla regola della tutela indennitaria in materia di licenziamento individuale per
motivi economici.
Ciò detto nella specie non è in dubbio l’esistenza, al momento del
licenziamento, dell’interdittiva prefettizia, afferente anche la posizione del
lavoratore in controversia, potenzialmente idonea ad incidere sul regolare
funzionamento dell’organizzazione del lavoro dell’impresa datrice ai sensi
dell’art. 3 della I. n. 604 del 1966; l’illegittimità del recesso sta piuttosto nel non
avere la società dimostrato le ragioni che rendevano intollerabile attendere la
rimozione dell’impedimento alle normali funzioni del lavoratore, impedimento
che poteva avere una durata temporanea tenuto conto che l’azienda – come
accertato dalla Corte territoriale – aveva “tempestivamente ritenuto illegittimo”
il provvedimento e lo aveva “impugnato dinanzi agli organi della giustizia
amministrativa” (cfr. Cass. n. 7904 del 1998, con cui questa Corte ha cassato

la disciplina di cui al quinto comma”.

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con rinvio la sentenza di merito che aveva ritenuto sorretto da un giustificato
motivo oggettivo il licenziamento intimato da una società appaltatrice del
servizio di nettezza urbana di un Comune siciliano commissariato ad un proprio
dipendente che, da una comunicazione del Commissario straordinario del
Comune stesso, risultava in una condizione di “incompatibilità ambientale” ad

Pertanto tale ipotesi è riconducibile non a quella peculiare che postula un
connotato di particolare evidenza nell’insussistenza del fatto posto a
fondamento del recesso, bensì è sussumibile nell’alveo di quella di portata
generale per la quale è sufficiente che “non ricorrano gli estremi del predetto
giustificato motivo” oggettivo.
5. Respinto quindi il secondo motivo del ricorso, deve invece essere accolto il
quarto, da trattarsi per connessione, in quanto con esso, in subordine, si
lamenta la limitazione del risarcimento a sei mensilità, invocando una misura
maggiore per l’illegittimo licenziamento.
Infatti la Corte territoriale ha erroneamente parametrato la condanna della
datrice di lavoro ad una somma pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione
globale di fatto.
Invero la tutela del sesto comma dell’art. 18 I. n. 300 del 1970 modificato
dalla I. n. 92 del 2012, “con attribuzione al lavoratore di un’indennità
risarcitoria onnicomprensiva determinata … tra un minimo di sei ed un massimo
di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto”, applicata dalla Corte
territoriale, opera esclusivamente nelle ipotesi in cui il licenziamento sia
dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione del
licenziamento, della procedura di cui all’art. 7 della I. n. 300 del 1970 o della
procedura conciliativa prevista dall’art. 7 della I. n. 604 del 1966.
Ipotesi all’evidenza non ricorrenti nella specie.
Una volta esclusa “la manifesta insussistenza del fatto posto a base del
licenziamento per giustificato motivo oggettivo … nelle altre ipotesi – come
quella in controversia – in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto
giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma”,
condannando il datore di lavoro al pagamento di una indennità risarcitoria

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operare nel territorio comunale perché “affiliato” ad organizzazioni malavitose).

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onnicomprensiva determinata tra un minimo di 12 ed un massimo di 24
mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in base alla valutazione degli
elementi indicati nel medesimo comma.
6.

E’ invece inammissibile il terzo motivo di ricorso principale con cui

genericamente si denuncia “violazione e falsa applicazione di legge – I. n.

Appello ha “ritenuto valevole a costituire come elemento di prova a sfavore del
lavoratore/ricorrente quanto illegittimamente dedotto nei confronti di
quest’ultimo dall’illegittima interdittiva antimafia già annullata dal giudice
amministrativo”, senza adeguatamente documentare che è effettivamente
intervenuto il preteso giudicato amministrativo (peraltro il Consiglio di Stato ha
poi posto nel nulla l’originario annullamento di primo grado del provvedimento
prefettizio).
7.

Conclusivamente, dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, quello

principale, respinta ogni altra censura, va accolto nel solo suo quarto mezzo di
gravame, con cassazione della sentenza impugnata in relazione ad esso al fine
di stabilire l’indennità risarcitoria onnicomprensiva commisurata tra un minimo
di 12 mensilità ad un massimo di 24, secondo quanto previsto dal quinto
comma dell’art. 18 novellato dalla I. n. 92 del 2012.
Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese.
Occorre dare atto della sussistenza, per la sola ricorrente incidentale, dei
presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come
modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.

P.Q.M.

La Corte, rigettato ogni altro motivo del ricorso principale, accoglie il quarto,
cassa la sentenza impugnata in relazione ad esso, rinvia alla Corte di Appello di
Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese; dichiara inammissibile
il ricorso incidentale.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente

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104/2010 -I. n. 241/1990 – violazione di giudicato”, sostenendo che la Corte di

R.G. n. 28176/2015

incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 13 settembre 2017

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