Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16329 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/07/2020, (ud. 11/06/2020, dep. 30/07/2020), n.16329

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23734-2017 proposto da:

GALOTTI SPA IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA DEI PRATI DEGLI STROZZI 33, presso lo studio dell’avvocato

LOREDANA MENICUCCI, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ALDA COSTANZI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

SAPABA SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F.MICHELINI TOCCI

50, presso lo studio dell’avvocato CARLO VISCONTI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARCO VISCONTI, MARIO

JACCHIA in virtù di procura in calce al controricorso;

– ricorrente incidentale –

e contro

PI 2000 SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 766/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 24/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/06/2020 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

La Galotti S.p.A. con due diversi contratti di appalto affidava alla P.I. 2000 S.r.l. la realizzazione delle pavimentazioni interne di un edificio destinato a centro commerciale e di annesso parcheggio in Casalecchio di Reno, e l’appaltatrice si rivolgeva per la fornitura del calcestruzzo necessario alla SABAPA.

Terminate le opere, la committente contestava l’esistenza di alcuni vizi e rifiutava il collaudo delle opere, trattenendo le somme dovute a garanzia.

Su iniziativa della società appaltatrice era esperito un accertamento tecnico preventivo cui partecipava anche la società che aveva fornito il calcestruzzo, e successivamente la PI 2000 conveniva in giudizio sia la committente che la SABAPA dinanzi al Tribunale di Bologna al fine di far accertare che i vizi scaturivano dal materiale fornito, con la condanna della fornitrice a tenerla indenne da ogni onere derivante dai vizi riscontrati e con la condanna della committente al pagamento del saldo residuo.

Si costituiva in giudizio la Galotti che insisteva per il rigetto della domanda attorea, proponendo domanda riconvenzionale volta al ristoro dei danni subiti in misura pari alle somme necessarie per eliminare i vizi, nonchè al pagamento della somma che aveva versato ad una società acquirente di un esercizio commerciale all’interno del centro, a tacitazione delle doglianze concernenti la corretta esecuzione dei lavori di pavimentazione.

Si costituiva la SABAPA che chiedeva il rigetto della domanda, deducendo che i vizi derivavano dalla non corretta posa in opera da parte della società attrice del cemento fornito.

Il Tribunale adito con la sentenza n. 13901 del 2011 rigettava la domanda della PI 2000 nei confronti della Galotti, ed accoglieva la domanda riconvenzionale di quest’ultima, con la condanna dell’attrice al pagamento della somma di Euro 134.925,00 pari alle somme necessarie per il ripristino dei vizi ed a quella versata a titolo transattivo ad un terzo; accoglieva poi la domanda di garanzia proposta dalla PI 2000 nei confronti della SABAPA che era condannata a tenere indenne la controparte di ogni conseguenza verso la committente nonchè al pagamento delle somme oggetto di trattenuta a garanzia da parte sempre della Galotti.

Avverso tale sentenza ha proposto appello la SABAPA, cui resisteva la PI 2000 deducendo l’inammissibilità dell’appello per la violazione dell’art. 342 c.p.c., chiedendo la conferma della sentenza gravata.

Resisteva all’appello anche la Galotti S.p.A..

La Corte d’Appello di Bologna con la sentenza n. 766 del 24 marzo 2017, in parziale accoglimento del gravame, condannava PI 2000 al pagamento in favore della Galotti della somma di Euro 80.096,46, al lordo delle trattenute a garanzia, oltre interessi e condannava SABAPA a manlevare la PI 2000 nei limiti della somma di Euro 26.698,82, sempre oltre interessi. Quanto alle spese di lite, condannava PI 2000 al pagamento dell’importo di tre quarti in favore della Galotti, compensando il restante quarto e condannava la SABAPA al pagamento di un quarto delle spese di lite in favore della PI 2000, compensandole per il resto.

La Corte, disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello per la pretesa violazione dell’art. 342 c.p.c., richiamava gli esiti degli accertamenti peritali svolti sia in sede di ATP che nel corso del giudizio di merito.

Dai medesimi si traeva il convincimento che i vizi riscontrati erano da imputare a quattro differenti fattori causali, e cioè all’inadeguata progettazione dell’opera, alla presenza di alcali nella miscela del calcestruzzo, alla scorretta esecuzione dei getti ed all’alterazione della miscela di acqua – cemento.

Mentre il primo difetto era da imputare alla committente ed all’appaltatore in parti eguali, il secondo era imputabile alla società fornitrice del calcestruzzo, e cioè all’appellante, mentre il terzo ed il quarto erano da attribuire alla società appaltatrice. Doveva quindi reputarsi che la responsabilità dell’accaduto potesse essere imputata per 1/4 alla committente, per 1/4 alla SABAPA e per la restante parte alla PI 2000.

Pertanto, una volta esclusa dal danno patito dalla società committente la somma versata a titolo transattivo, condannava PI 2000 a risarcire alla Galotti i due terzi dei danni accertati dal CTU (di cui la metà direttamente imputabile alla società appaltatrice ed un quarto ascrivibile all’appellante) e condannava la SABAPA a tenere indenne la PI 2000 di un quarto dei danni quantificati dall’ausiliario d’ufficio.

Avverso tale sentenza propone ricorso la Galotti S.p.A. in liquidazione sulla base di cinque motivi.

La SABAPA S.p.A. resiste con controricorso e propone a sua volta ricorso incidentale affidato ad un motivo.

La PI 2000 S.r.l. non ha svolto difese in questa fase.

Il primo motivo del ricorso principale deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove la stessa, nell’accogliere l’appello della SABAPA, ha rideterminato anche le somme al cui pagamento era stata condannata la PI 2000 in favore della ricorrente.

Si rileva che, a seguito dell’accoglimento della domanda riconvenzionale della Galotti, la società appaltatrice era stata condannata all’integrale ristoro dei danni alla committente. A fronte di tale statuizione del Tribunale, l’appellante si era limitata ad impugnare la sentenza solo nei confronti della PI 2000, la quale nel costituirsi in giudizio si era limitata a richiedere la sola conferma della decisione di primo grado.

Ne deriva che la sentenza di primo grado nella parte che concerneva i rapporti tra la ricorrente e la società appaltatrice era ormai coperta da efficacia di giudicato, sicchè su tale parte non aveva potere di incidere la Corte d’Appello, come invece accaduto.

Il secondo motivo denuncia del pari la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., alla luce delle medesime ragioni espresse nel primo motivo, ma in relazione al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Il terzo motivo di ricorso denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. la violazione dell’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c., atteso che la Corte d’Appello nel rivedere i rapporti tra la società ricorrente e l’originaria società attrice, come cristallizzati nella sentenza di primo grado, ed in assenza di una specifica impugnazione sul punto, ha violato il giudicato interno formatosi.

Il quarto motivo di ricorso denuncia sempre ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 324 c.p.c., art. 2909 c.c. e art. 91 c.p.c., nella parte in cui la sentenza d’appello, ha inciso anche sulla regolamentazione delle spese del giudizio di primo grado, ravvisando una parziale soccombenza della ricorrente, frutto però di una statuizione adottata in violazione del giudicato interno.

I primi quattro motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono fondati.

Rileva a tal fine che, come si ricava dalla lettura del ricorso, e come confermato anche dalla narrazione dei fatti di cui alla sentenza gravata, mentre la società attrice aveva chiesto la condanna della ricorrente al pagamento del saldo del contratto di appalto, proponendo invece nei confronti della SABAPA domanda di garanzia per l’ipotesi di eventuale accoglimento della domanda di risarcimento dei danni della committente, quest’ultima aveva indirizzato la propria domanda riconvenzionale solo verso la PI 2000, non avendo quindi rivolto alcuna domanda nei confronti della SABAPA.

Quest’ultima quindi era stata evocata in giudizio unicamente come garante a fronte della pretesa della società attrice di essere garantita.

A seguito della sentenza di primo grado, era stata accolta la domanda della committente nei rapporti relativi alla causa principale, ed era stata altresì accolta la domanda di garanzia nei rapporti tra società garantita e società garante.

L’appello risulta essere stato promosso dalla sola società garante, e cioè la SABAPA, che ha impugnato la sentenza esclusivamente in relazione al rapporto di garanzia, proponendo solo in via subordinata domanda di riparto della responsabilità tra le parti del giudizio.

La società garantita nel costituirsi in giudizio non ha inteso a sua volta contestare l’esito della causa quanto al rapporto principale con l’odierna ricorrente, ma ha contestato la stessa ammissibilità dell’appello, invocando in ogni caso la conferma della sentenza di prime cure.

Avuto riguardo al concreto atteggiarsi della dinamica processuale, va ricordato che (cfr. Cass. n. 30601/2018) qualora il convenuto in un giudizio di risarcimento dei danni, chiami in causa un terzo indicandolo come soggetto (cor)responsabile della pretesa fatta valere dall’attore e chieda di essere manlevato in caso di accoglimento della pretesa attorea, senza porre in dubbio la propria legittimazione passiva, si versa in una ipotesi di chiamata in garanzia, nella quale non opera la regola della automatica estensione della domanda al terzo chiamato, atteso che la posizione assunta dal terzo nel giudizio non contrasta, ma anzi coesiste, con quella del convenuto rispetto all’azione risarcitoria, salvo che l’attore danneggiato proponga nei confronti del chiamato (quale coobbligato solidale) una nuova autonoma domanda di condanna, ipotesi che non ricorre nel caso in esame, atteso che la società committente non ha avanzato alcuna domanda nei confronti della società fornitrice del calcestruzzo.

Quest’ultima nel proporre appello ha poi chiesto la riforma della sentenza relativamente all’accoglimento della domanda di garanzia, sicchè in senso sfavorevole alla tesi di parte ricorrente occorre ricordare che seppure in via di principio Cass. S.U. n. 24707/2015 ha affermato che, in caso di chiamata in causa in garanzia, l’impugnazione – esperita esclusivamente dal terzo chiamato avverso la sentenza che abbia accolto sia la domanda principale, di affermazione della responsabilità del convenuto e di condanna dello stesso al risarcimento del danno, sia quella di garanzia da costui proposta – giova anche al soggetto garantito, senza necessità di una sua impugnazione incidentale, indipendentemente dalla qualificazione della garanzia come propria o impropria (in senso conforme Cass. n. 5876/2018), tuttavia le stesse Sezioni Unite in motivazione hanno precisato che l’impugnazione del garante riguardo al rapporto principale inerente alla responsabilità del garantito estende i suoi effetti anche a favore di quest’ultimo, solo allorchè esso, costituendosi, condivida le ragioni di detta impugnazione e non se ne dissoci riconoscendo la fondatezza della decisione sul rapporto principale resa dal primo giudice.

Al punto 16.3. della motivazione, con riferimento alla condotta del garantito, si legge, infatti, che: “6.3. Egli, peraltro, potrebbe reputare che l’impugnazione quanto al rapporto principale del garante non è giustificata ed in tal caso la potrà contestare, adducendo che la decisione impugnata resa quanto a detto rapporto è corretta: in tal caso, ove tale atteggiamento, in quanto tenuto nel processo, possa essere apprezzato come riconoscimento di fondatezza della domanda dell’attore del rapporto principale, il giudice dell’impugnazione ne potrà prendere atto e potrà dare atto di tale riconoscimento limitando gli effetti del suo accertamento al solo rapporto fra garantito e attore del rapporto principale.

Decidendo sull’impugnazione del garante, invece, potrà, se ne sussista il fondamento, caducare la decisione impugnata nel suo effetto di accertamento della fondatezza della domanda relativa al rapporto principale esclusivamente in confronto del garante, giacchè nei riguardi di costui gli atti dispositivi del rapporto principale ad efficacia sfavorevole, compiuti dal garantito non sono a lui opponibili.

Tale soluzione non deve sorprendere.

Se è vero che il litisconsorzio è necessario, tuttavia lo è, come si è detto, sul piano processuale, ma non sul piano del tenore della decisione: essa dev’essere unitaria solo se le posizioni assunte dai litisconsorti e le emergenze istruttorie giustifichino la stessa decisione.

Essendovi stato riconoscimento della fondatezza della domanda da parte del garantito nel corso del giudizio sul rapporto principale che egli stesso aveva esteso al garante, tale riconoscimento non può riguardare nei suoi effetti il rapporto processuale così esteso, bensì soltanto il rapporto fra lui e il pretendente.”

Nel caso in esame, a fronte dell’impugnazione proposta dalla SAPABA, nella qualità di garante della impresa appaltatrice, anche a voler ritenere che la contestazione in merito alla individuazione del soggetto responsabile dei vizi, implichi una contestazione anche circa la fondatezza della responsabilità dell’appaltatrice nel rapporto con la committente, come si ricava dalla lettura della sentenza impugnata, e precisamente della parte dedicata allo svolgimento del processo, la PI 2000 con riferimento all’appello, aveva contestato la stessa ammissibilità dell’impugnazione, invocando comunque la conferma della decisione gravata, mostrando in tal modo di dissentire dalle ragioni addotte dalla garante.

Ne consegue che la Corte d’Appello non poteva, una volta ravvisata la parziale fondatezza delle critiche mosse dall’appellante al fine di contrastare la sua esclusiva responsabilità per i danni verificatisi, incidere sul rapporto tra società committente e società garantita, che aveva mostrato di riconoscere la correttezza della soluzione quanto al rapporto principale.

La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione.

Il quinto motivo del ricorso principale denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per la violazione dell’art. 345 c.p.c., laddove la sentenza gravata, nell’accogliere l’appello ha accolto la richiesta subordinata di ripartire pro quota tra le varie società coinvolte la responsabilità per i vizi della pavimentazione, nella misura ritenuta di giustizia.

Si deduce che trattasi di domanda nuova inammissibile in appello.

Il motivo è assorbito per effetto dell’accoglimento dei primi quattro motivi.

Con il motivo di ricorso incidentale la SABAPA denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Deduce che in forza dell’esecutività della sentenza del Tribunale aveva versato alla PI 2000 la complessiva somma di Euro 231.063,17 e che in appello ebbe a richiedere la restituzione dell’importo versato per l’ipotesi di accoglimento del gravame. La sentenza impugnata, pur riformando parzialmente quella di primo grado, riducendo la condanna a carico della ricorrente incidentale, ha però omesso di statuire sulla domanda di ripetizione.

Il motivo è inammissibile.

Il vizio denunciato appare in realtà riconducibile all’ipotesi di omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c., sicchè la censura come formulata con il riferimento al vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 comma 1 c.p.c. si palesa inammissibile.

Giova a tal fine far richiamo a quanto affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 17931 del 2013, secondo cui il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge.

Il principio, che appare sicuramente meritevole di conferma anche all’esito della novella dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, implica che, avuto riguardo alla fattispecie in esame, non avendo la ricorrente incidentale fatto univoco riferimento alla nullità della decisione, ma avendo invocato il vizio motivazionale, il ricorso de quo debba essere dichiarato inammissibile.

Il giudice del rinvio che si designa nella Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Poichè il ricorso incidentale è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Accoglie i primi quattro motivi del ricorso principale, assorbito il quinto motivo del ricorso principale e dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, per l’effetto cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio/anche per le spese del presente giudizio/ alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara che ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la proposizione del ricorso incidentale, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 giugno 2020.

Depositato in cancelleria il 30 luglio 2020

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