Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16327 del 04/08/2016


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Cassazione civile sez. I, 04/08/2016, (ud. 23/02/2016, dep. 04/08/2016), n.16327

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FORTE Fabrizio – Presidente –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

B.V. (C.F. (OMISSIS)) e G.R. (C.F.

(OMISSIS)), rappresentati e difesi, per procura speciale a margine

del ricorso, dagli avv.ti Giovanni Franchi e Angelo Colucci ed

elett.te dom.ti presso lo studio di quest’ultimo in (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

BANCA MONTE PARMA (C.F. e P.IVA (OMISSIS)), in persona del Presidente

dott. S.C., rappresentata e difesa, per procura speciale

a margine del controricorso, dagli avv.ti Alberto Scotti (C.F.

SCTLRT45E22G337Z) e Benedetto Gargani (C.F. GRGBDT57T21Z614E) ed

elett.te dom.ta presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via

(OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 667/09 della Corte d’appello di Bologna

depositata il 19 maggio 2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23

febbraio 2016 dal Consigliere dott. Carlo DE CHIARA;

udito per i ricorrenti l’avv. Angelo COLUCCI;

udito per la controricorrente l’avv. CATALANO, per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I coniugi B.V. e G.R. acquistarono presso della Banca del Monte di Parma obbligazioni della Repubblica Argentina per complessivi Euro 699.000,00 il 14 aprile 1999, il 29 giugno 1999, il 10 febbraio 2000 e il 20 luglio 2000, nonchè obbligazioni della Provincia di Buenos Aires per l’importo di Euro 130.000,00 il 25 maggio 2001, con un esborso totale, quindi, di Euro 829.000,00.

Dopo la dichiarazione dello stato d’insolvenza da parte del governo argentino nel dicembre 2001, provvidero a vendere tutti i titoli predetti, ricavando la complessiva somma di Euro 231.709,69.

Nel luglio 2004 convennero in giudizio la Banca del Monte di Parma chiedendo:

dichiararsi la nullità dei singoli contratti di investimento per difetto di forma scritta e per violazione degli obblighi di comportamento della banca (omessa segnalazione dei rischi e del rating dell’investimento; induzione all’acquisto dei titoli di cui sopra nonostante la precisazione degli attori di voler sottoscrivere investimenti sicuri; omessa segnalazione dell’inadeguatezza delle operazioni di cui trattasi in relazione alla circostanza che gli attori non erano investitori esperti, bensì soltanto un operaio edile e una casalinga; omessa comunicazione che i titoli avevano perso il 30 % del loro valore);

annullarsi i medesimi contratti per dolo;

condannarsi conseguentemente la banca alla restituzione delle somme investite;

condannarsi comunque la medesima al risarcimento dei danni, quantificato nell’importo del complessivo investimento di Euro 829.000,00.

La convenuta resistette e il Tribunale di Parma respinse la domanda.

La Corte d’appello di Bologna ha respinto il gravame dei soccombenti osservando tra l’altro, per quanto qui ancora rileva:

che nei motivi di appello era stata sollevata per la prima volta – e dunque in ammissibilmente, ai sensi dell’art. 345 c.p.c. – la questione della nullità per difetto di forma scritta dell’ordine d’investimento del 10 febbraio 2000, eseguito per telefono senza registrazione della telefonata, e dell’ordine d’investimento del 25 maggio 2001, recante firma apocrifa del B. impugnata con querela di falso in appello;

che comunque tali motivi erano infondati, non essendo prevista la forma scritta ad substantiam per gli ordini di acquisto, la cui esistenza peraltro era pacifica in causa;

che – con riferimento agli obblighi di comportamento della banca intermediaria – le prime quattro operazioni di acquisto erano avvenute in un’epoca in cui i titoli, come riconosciuto dalla stessa difesa degli appellanti, pur avendo una marcata impronta speculativa, non avevano ancora dato segnali di un rischio superiore a quello normalmente riguardante quel genere di titoli, mentre la quinta operazione, del maggio 2001, fu pervicacemente voluta dai coniugi B. malgrado gli avvertimenti che avevano ricevuto dalla banca.

I coniugi B. hanno proposto ricorso per cassazione articolando tre motivi di censura. La banca intimata si è difesa con controricorso. Entrambe le parti hanno anche presentato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., si contesta la statuita tardività della domanda di nullità degli ordini di acquisto per difetto di forma scritta, osservando che l’accertamento della nullità di quegli atti era stato richiesto già con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado.

2. – Con il secondo motivo, denunciando violazione del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 23 e vizio di motivazione, si sostiene (a) che il requisito della forma scritta sia previsto dalla legge anche per gli ordini di acquisto dei titoli, e non per il solo contratto -quadro, e (b) che una scrittura privata prodotta nel giudizio di primo grado e non tempestivamente disconosciuta è comunque impugnabile con querela di falso in grado di appello.

3. – La censura sub (a) del secondo motivo è infondata, avendo questa Corte già avuto occasione di chiarire che la prescrizione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, secondo cui i contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento debbono essere redatti per iscritto a pena di nullità del contratto, deducibile solo dal cliente, attiene al contratto-quadro, che disciplina lo svolgimento successivo del rapporto volto alla prestazione del servizio di negoziazione di strumenti finanziari, e non ai singoli ordini di investimento (o disinvestimento) che vengano poi impartiti dal cliente all’intermediario, la cui validità non è soggetta a requisiti di forma (Cass. 28432/2011, 384/2012).

Costituendo la insussistenza del requisito della forma scritta ratio decidendi autonoma e alternativa a quella della inammissibilità della relativa questione, censurata con il primo motivo di ricorso, il rigetto del motivo con cui essa viene censurata comporta l’assorbimento del motivo – il primo – con cui viene censurata l’altra ratio.

La censura sub (b) del secondo motivo è inammissibile perchè nessuna statuizione della sentenza impugnata esclude la proponibilità in grado di appello della querela di falso avverso una scrittura non tempestivamente disconosciuta in primo grado, essendo la relativa questione assorbita dalla esclusione del requisito della scrittura e dall’affermazione della pacificità dell’emissione degli ordini di acquisto.

4. – Con il terzo motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e del Reg. Consob 1 luglio 1998, n. 11522, artt. 28 e 29, si sostiene:

a) che costituisca violazione della prima e della terza delle indicate disposizioni normative la vendita di titoli not investiment grade senza specifica informazione e senza dichiarazione del cliente di essere stato informato della circostanza;

b) che, in virtù delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 1, lett. b) e reg. Consob n. 11522 del 1998, art. 28, comma 3, a fronte del pesante ribasso registrato sui mercati dal valore delle obbligazioni argentine costituisse preciso obbligo dell’intermediario informare tempestivamente gli investitori in modo che essi potessero adottare le misure più opportune.

5. – Il motivo è inammissibile.

La Corte d’appello ha statuito che:

– le prime quattro operazioni di acquisto erano avvenute in epoca in cui, come riconosciuto dalla stessa difesa degli appellanti, i titoli, pur avendo una marcata impronta speculativa, non avevano ancora dato segni di un rischio superiore a quello normalmente connesso a quel genere di titoli;

– la quinta operazione, del maggio 2001, fu pervicacemente voluta dai coniugi B. malgrado gli avvertimenti ricevuti.

La Corte ha dunque escluso i presupposti di fatto (ossia la notorietà della particolare rischiosità dei primi quattro acquisti e l’omissione dell’informazione degli investitori quanto al quinto) delle questioni di diritto poste dai ricorrenti, le quali pertanto non hanno attinenza con la ratio della decisione impugnata.

6. – Quanto sopra osservato comporta il rigetto del ricorso.

Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese processuali, liquidate in Euro 15.200,00, di cui Euro 15.000,00 per compensi di avvocato, oltre spese forfetarie e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2016

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