Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16324 del 10/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 10/06/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 10/06/2021), n.16324

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27222-2019 proposto da:

M.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI, 265, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO SARACENO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE GIACON;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) S.A R.L.;

– intimato –

avverso il decreto RG. n. 7950/2017 del TRIBUNALE di VERONA,

depositato il 13/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO

CAMPESE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Avv. M.N. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380-bis c.p.c., avverso il decreto del Tribunale di Verona del 13 luglio 2019, n. 4367, reiettivo dell’opposizione ex art. 98 L. Fall., dal primo promossa contro la mancata ammissione al passivo del fallimento (OMISSIS) s.r.l. del proprio credito di complessivi Euro 113.504,00, per l’attività di assistenza legale svolta dal medesimo per la predisposizione di una domanda di concordato preventivo presentata dalla menzionata società in bonis in pendenza di istruttoria prefallimentare. La curatela fallimentare è rimasta solo intimata.

1.1. Per quanto qui di interesse, quel tribunale considerò come mera allegazione difensiva, piuttosto che come nuova eccezione di inadempimento, l’assunto, esplicitato dalla curatela solo costituendosi nel giudizio di opposizione, secondo cui il M. aveva violato i propri doveri di informazione, avviso e protezione della cliente, alla quale non aveva fornito tutte le informazioni necessarie al fine di consentirle di valutare i rischi insiti nell’iniziativa predetta. Pertanto, in carenza di prova del corretto adempimento della relativa prestazione professionale, disattese la pretesa dell’opponente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate doglianze denunciano, rispettivamente:

I) “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 2697 c.c., in tema di onere della prova”. Si censura il tribunale veronese per aver erroneamente posto a carico del M., piuttosto che della curatela fallimentare che lo aveva dedotto, le conseguenze negative della mancata prova di un fatto – l’avere agito, quel professionista, senza il rispetto del canone di diligenza professionale prescritta) – modificativo/estintivo del diritto del primo;

II) “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 96 L. Fall., in tema di motivazione dell’esclusione dal progetto di stato passivo, ed all’art. 1460 c.c., in tema di eccezione di inadempimento”. Si assume che la motivazione espressa dal curatore in sede di redazione del progetto di stato passivo, poi ripresa in modo sostanzialmente identico dal giudice delegato, doveva considerarsi assolutamente insufficiente a fondare il rigetto dell’istanza di insinuazione del M., perchè priva dell’indicazione, seppure sommaria, dei profili di inadempimento asseritamente imputabili a quest’ultimo. Ciò, dunque, aveva impedito all’opponente di formulare, già con il proprio ricorso ex art. 98 L. Fall., le necessarie istanze istruttorie e di indicare, in modo specifico, i mezzi di prova di cui intendeva avvalersi per dimostrare la correttezza della sua condotta professionale;

III) “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 183 c.p.c., comma 6, in tema di concessione del termine a difesa”. Si contesta al menzionato tribunale la mancata assegnazione di un termine istruttorio al M. malgrado la curatela fallimentare avesse adeguatamente specificato solo costituendosi in quella sede in cosa fosse consistito l’inadempimento ascritto a quest’ultimo.

2. I primi due motivi, scrutinabili congiuntamente perchè connessi, sono insuscettibili di accoglimento.

2.1. E’ indubbio – tanto evincendosi dallo stesso tenore letterale del ricorso in esame – che, in sede di formazione dello stato passivo, la curatela aveva reso parere negativo all’ammissione del credito su cui oggi insiste il ricorrente eccependo (tra l’altro) l’inadempimento di quest’ultimo. Ed una siffatta giustificazione si rinviene pure nel provvedimento – riprodotto alla pag. 1 del decreto oggi impugnato con cui il giudice delegato si era pronunciato sulla corrispondente richiesta di insinuazione del M. (“esclusa prededuzione e comunque escluso il compenso per l’attività di assistenza nell’attività di presentazione della domanda di concordato in quanto il ricorso alla procedura di concordato è stato configurato come abuso del processo e, quindi, in pregiudizio dei creditori; inoltre è configurabile l’inadempimento del professionista incaricato della risoluzione della crisi di impresa”).

2.1.1. E’ parimenti innegabile, sempre alla stregua del tenore letterale del provvedimento oggi impugnato, che il tribunale veronese aveva considerato come “mera allegazione difensiva”, piuttosto che come nuova eccezione di inadempimento, l’assunto, esplicitato dalla curatela solo costituendosi nel giudizio di opposizione, secondo cui il M. aveva violato i propri doveri di informazione, avviso e protezione della cliente, alla quale non aveva fornito tutte le informazioni necessarie al fine di consentirle di valutare i rischi insiti nell’iniziativa predetta. Secondo quel giudice, infatti, “la pregressa condotta di (OMISSIS) s.r.l. non è imputabile all’Avv. M.” (così dovendosi escludere che l’abuso in cui, secondo il giudice delegato, si era concretato il reiterato utilizzo dello strumento concordataria fosse a lui ascrivibile) e ciò che la curatela aveva inteso specificare riguardava “…l’omessa valutazione, condivisa con il cliente, delle conseguenze sulla nuova (l’ennesima) iniziativa processuale di quella condotta, la quale rendeva altamente probabile l’esito sfavorevole poi verificatosi, e del tutto inutile, ed anzi dannosa per la società, la prestazione professionale” (cfr. pag. 4 del menzionato decreto).

2.2. Fermo quanto precede, deve considerarsi inammissibile, oggi, la doglianza del ricorrente (cfr. prima parte del secondo motivo) volta a censurare un’asserita genericità ed inadeguatezza motivazionale del decreto del giudice delegato reiettivo della sua domanda ex art. 92 L. Fall.: manca, infatti, la prova che un’analoga censura fosse stata specificamente formulata in sede di opposizione ex art. 98 L. Fall., dovendosi qui solo ricordare che, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, ove con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella decisione impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso. Invero, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio a quo, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, nè rilevabili d’ufficio (cfr. Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 15430 del 2018; Cass. n. 23675 del 2013; Cass. n. 16632 del 2010).

2.2.1. Al contempo, deve rimarcarsi che il credito al compenso azionato dal M. rappresenta il corrispettivo di una prestazione di facere professionale, il cui giudizio circa il suo adempimento, o meno, riflette naturalmente due distinte direttrici: il concreto compimento dell’attività in sè stessa e l’averla compiuta secondo il canone della diligenza professionale prescritta. Nella specie, la censura di inadempimento formulata (rectius: chiaramente specificata solo in sede di opposizione) dalla curatela fallimentare ha riguardato, come è palese, il secondo di tali profili, non già il primo.

2.2.2. Orbene, è noto che, secondo l’ormai consolidatasi giurisprudenza di legittimità (cfr. da Cass., SU, n. 13533 del 2001 alla più recente, tra le tantissime, Cass.,. n. 13685 del 2019), in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso – concretamente verificatosi nella fattispecie di cui oggi si discute – in cui il debitore convenuto per l’adempimento si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poichè il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento (eventualmente anche sub specie di inesattezza dell’adempimento per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza), ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio corretto adempimento.

2.2.3. Alla stregua dei suddetti principi, dunque, il decreto impugnato ha fatto corretta applicazione della regola della ripartizione dell’onere probatorio, con conseguente infondatezza del primo motivo di ricorso e della residua parte del secondo.

3. E’ fondato, invece, il terzo motivo.

3.1. Invero, rileva il Collegio che, come si è già riferito, la curatela fallimentare solo costituendosi nel giudizio di opposizione aveva concretamente esplicitato in cosa fosse consistito l’inadempimento precedentemente ascritto, affatto genericamente, al M., in sede di approvazione dello stato passivo, dal giudice delegato. In altri termini, benchè già innanzi a quest’ultimo fosse stato eccepito dal curatore, solo genericamente, l’inadempimento dell’odierno ricorrente, esclusivamente nel successivo giudizio ex art. 98 L. Fall., il primo aveva inteso puntualizzare che quell’inadempimento era consistito, in concreto, nella violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero dell’inosservanza dell’obbligo di diligenza: era chiaro, quindi, che ciò che si era ascritto al suddetto professionista concerneva, in realtà, un inesatto adempimento della sua prestazione piuttosto che un inadempimento tout court.

3.1.1. La curatela (debitrice), quindi, gravata del corrispondente onere, sebbene sotto il profilo della sua mera allegazione (fr. la citata Cass., SU n. 13533 del 2001 e la giurisprudenza di legittimità ad essa successiva), lo aveva assolto, ma ciò era avvenuto esplicitamente, giova ribadirlo, sono con la memoria di costituzione nel giudizio di opposizione allo stato passivo intrapreso dal M., il quale, pertanto, nel suo ricorso introduttivo di quel procedimento, ancora non era in condizione (stando all’assoluta genericità del provvedimento del giudice delegato ivi impugnato ed alle rassegnate conclusioni del curatore sulla relativa domanda ex art. 92 L. Fall.) di organizzare adeguatamente la propria strategia difensiva, soprattutto sotto il profilo dei mezzi istruttori da articolare, a pena di decadenza, nel ricorso medesimo (cfr. art. 99 L. Fall., comma 2, n. 4).

3.2. E’ noto che il giudizio di opposizione allo stato passivo, malgrado la sua natura impugnatoria, non è caratterizzato dalla preclusione di cui all’art. 345 c.p.c., in materia di ius novorum, con riguardo alle nuove eccezioni proponibili dal curatore, in quanto il riesame, a cognizione piena, del risultato della cognizione sommaria proprio della verifica, demandato al giudice dell’opposizione, se esclude l’immutazione del thema disputandum e non ammette l’introduzione di domande riconvenzionali della curatela, non ne comprime tuttavia il diritto di difesa, consentendo, quindi, la formulazione di eccezioni non sottoposte all’esame del giudice delegato (cfr. Cass. n. 21490 del 2020). Ed altrettanto è a dirsi, ovviamente, posto che il più contiene il meno, anche quanto alla specificazione di eccezioni già solo genericamente proposte. In queste ipotesi, e solo in relazione ai contenuti e termini dell’eccezione nuova o – come nella concreta fattispecie – di quella (originariamente generica e solo dopo) adeguatamente specificata, il rispetto del principio del contraddittorio esige che sia concesso termine all’opponente per dispiegare le proprie difese e produrre la documentazione probatoria idonea a supportarle Cass. n. 22386 del 2019). E’ evidente, in altri termini, che il diritto dell’opponente al pieno svolgimento del contraddittorio trova non solo la sua ragione d’essere, ma pure il suo limite nella novità della eccezione e/o della specificazione di quella solo genericamente formulata nella fase precedente che è stata sollevata/specificata dal curatore. E’ solo in relazione ai contenuti e termini dell’eccezione proposta o specificata in sede di memoria di costituzione, dunque, che si giustifica la necessaria concessione di un termine a difesa. Allargare (anche) ad altro l’orizzonte della difesa così concessa significherebbe, in realtà, eliminare dal tessuto normativo vigente la preclusione disposta nell’art. 99 L. Fall., comma 2, n. 4.

3.3. I principi appena sopra richiamati non sono stati correttamente osservati dal tribunale veronese. Quest’ultimo, infatti, dando legittimamente ingresso, seppure definendola “mera allegazione difensiva”, alla specificazione (nei termini suddetti) dell’eccezione di inadempimento precedentemente sollevata, in modo, però, affatto generico, dal curatore in sede di approvazione dello stato passivo, erroneamente non ha poi assegnato al M., benchè ripetutamente richiestone, il termine per dispiegare, puntualmente sul corrispondente specifico profilo, le proprie difese e, se del caso, indicare (ulteriori) mezzi di prova idonei a supportarle.

4. L’odierno ricorso, dunque, va accolto in relazione al terzo, motivo, respinti i primi due, ed il decreto impugnato deve essere cassato con rinvio della causa al Tribunale di Verona, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso e ne accoglie il terzo. Cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Verona, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2021

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