Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16322 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/07/2020, (ud. 06/03/2020, dep. 30/07/2020), n.16322

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9174 – 2019 R.G. proposto da:

B.F. – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliata, con

indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Caltanissetta, alla via Piave,

n. 14/B, presso lo studio dell’avvocato Fausto Curatolo che la

rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

ricorso.

– ricorrente –

contro

C.M.V. – c.f. (OMISSIS) – elettivamente

domiciliato, con indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Palermo, alla

via L. Ariosto, n. 34, presso lo studio dell’avvocato Diego Ferraro

che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce

al controricorso.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 71/2018 della Corte d’Appello di

Caltanissetta,

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 marzo 2020

dal consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con atto notificato in data 6.11.2008 B.F., proprietaria di un terreno in Caltanissetta, alla contrada Decano, citava a comparire dinanzi al locale tribunale C.M.V..

Esponeva che il convenuto aveva collocato un macchinario che fungeva da filtro per i fumi ed i gas emessi dalla autocarrozzeria di cui era titolare, sul terreno di proprietà dell’attrice.

Chiedeva che controparte fosse condannata a rimuoverlo.

2. C.M.V. si costituiva.

Deduceva che era titolare, per destinazione del padre di famiglia ovvero dell’originario unico titolare del fondo di sua proprietà e del fondo di proprietà dell’attrice, della servitù di mantenere sul terreno di parte avversa l’impianto per lo smaltimento dei fumi provenienti dalla “cabina di verniciatura” della sua autocarrozzeria; che segnatamente il depuratore e la sovrastante canna fumaria costituivano adminicula servitutis, la cui collocazione si era resa necessaria onde conformare l’impianto alla normativa antinquinamento; che in ogni caso aveva acquistato per usucapione la servitù, giacchè la realizzazione nel terreno dell’attrice del cunicolo e del pozzetto di uscita dei fumi risaliva agli anni ‘84 – ‘85.

Instava per il rigetto dell’avversa domanda.

3. All’esito dell’istruzione probatoria, con sentenza n. 361/2011 il Tribunale di Caltanissetta accertava e dichiarava la sussistenza a vantaggio del locale di proprietà del convenuto del diritto di scaricare i gas e i fumi derivanti dalle lavorazioni che vi erano svolte attraverso la buca esistente nel terreno di proprietà dell’attrice; condannava tuttavia il convenuto a rimuovere dal fondo dell’attrice il macchinario per la depurazione dei gas e dei fumi e a posizionarlo all’esterno; compensava in toto le spese di lite.

4. Proponeva appello C.M.V..

Resisteva B.F..

5. Con sentenza n. 71/2018 la Corte d’Appello di Caltanissetta accoglieva parzialmente il gravame e dichiarava il diritto dell’appellante di mantenere sulla buca esistente nel fondo dell’appellata sia il depuratore per l’abbattimento degli scarichi provenienti dal proprio locale – autocarrozzeria sia la relativa canna fumaria; condannava l’appellata a rimborsare all’appellante le spese del grado.

Evidenziava la corte che gli esiti istruttori inducevano ad escludere che il depuratore, realizzato ex novo nel 2006 ed avente all’incirca la dimensione di m. 2,00 per m. 2,00, ovvero una dimensione di poco superiore a quella dell’originario manufatto di sversamento, importasse aggravio della servitù.

Evidenziava inoltre che la collocazione del depuratore in altro luogo lasciava di fatto inutilizzato il pozzetto esistente sin dal 1984 sul fondo dell’attrice, così vanificando il contenuto della servitù definitivamente acclarata con sentenza passata, sul punto, in giudicato.

6. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso B.F.; ne ha chiesto sulla scorta di un unico motivo la cassazione con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese.

C.M.V. ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso con vittoria delle spese.

7. Il relatore ha formulato proposta di manifesta infondatezza del ricorso ex art. 375 c.p.c., n. 5); il presidente ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, ha fissato l’adunanza in camera di consiglio.

8. La ricorrente ha depositato memoria.

9. Con l’unico motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1067 c.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio.

Deduce che il passaggio dei fumi avveniva attraverso un buco di circa m. 1,20 per m. 1,00; che viceversa, siccome si evince dalle fotografie allegate, il depuratore realizzato ex novo ha dimensioni di m. 2,00 per m. 2,00 ed altezza di circa m. 4,00, altezza che comporta occupazione dello spazio aereo di proprietà di ella ricorrente e limitazione del suo diritto di costruire.

Deduce altresì che dalla documentazione prodotta risulta che il depuratore funziona con un ventilatore ed un motore che hanno imposto “l’installazione ed il passaggio di una conduttura elettrica” (così ricorso, pag. 7).

Deduce quindi che il riscontro di tali circostanze avrebbe dovuto senz’altro indurre la corte di merito a dar atto dell’aggravamento della servitù.

10. Il motivo di ricorso è inammissibile.

11. Evidentemente la res litigiosa involge il thema dell’individuazione dell’esatto discrimine tra la previsione dell’art. 1064 c.c., comma 1 (“il diritto di servitù comprende tutto ciò che è necessario per usarne”) e la previsione dell’art. 1067 c.c., comma 1 (“il proprietario del fondo dominante non può fare innovazioni che rendano più gravosa la condizione del fondo servente”).

Del resto questa Corte da tempo spiega che, a norma dell’art. 1064 c.c., il diritto di servitù comprende tutto ciò che è necessario per usarne e comprende pur quelle facoltà accessorie (adminicula servitutis) che sono indispensabili per l’esercizio del diritto e senza le quali l’utilitas della servitù non potrebbe ricevere attuazione (cfr. Cass. 17.11.1979, n. 5983); che la modifica degli adminicula non si ripercuote nè sul vincolo nè sulle modalità di attuazione della servitù, cosicchè in nessun modo è riconducibile alla disciplina dell’art. 1067 c.c. (cfr. Cass. 28.5.1979, n. 3097); che il proprietario del fondo dominante può apportare, alle cose ed opere destinate all’esercizio della servitù, quelle modifiche che ne rendano più agevole o comodo l’esercizio medesimo, ove ciò non si traduca in un apprezzabile aggravio dell’onere che pesa sul fondo servente (cfr. Cass. 15.11.1977, n. 4982).

12. Il riscontro nondimeno delle evenienze in cui si è al cospetto della mera esplicazione di facoltà accessorie e delle evenienze in cui, viceversa, si è al cospetto di innovazioni aggravanti la condizione del fondo servente, non può che postulare e risolversi, seppur nel quadro delle indicazioni “di principio”, in un giudizio “di fatto”.

In questi termini, da un lato, l’esperito motivo di ricorso è da qualificare in via esclusiva alla stregua della previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (d’altronde è propriamente la previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia: cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054); dall’altro, il sindacato di questa Corte, nel solco dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, può esplicarsi solo in ipotesi di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

13. Nel solco quindi della (novella) formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e nel segno della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte si osserva quanto segue.

Per un verso, è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla luce della pronuncia delle sezioni unite testè menzionata, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte nissena ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento all'”anomalia” della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte d’appello ha – siccome si è premesso – compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo, id est le ragioni per le quali fosse da escludere che si versasse al cospetto di innovazioni atte a render più gravosa la condizione del fondo servente.

Per altro verso, la corte distrettuale ha sicuramente disaminato il fatto storico dalle parti discusso, a carattere decisivo, connotante la res litigiosa, ossia le caratteristiche strutturali e funzionali del depuratore realizzato ex novo nel 2006.

Per altro verso ancora, il ricorrente si duole per l’asserita erronea valutazione delle prove documentali (cfr. ricorso, pag. 7 e pag. 10).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

14. In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte territoriale risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica.

15. La corte siciliana ha dato atto (cfr. pagg. 11 – 12) che la realizzazione del nuovo manufatto da parte del proprietario del fondo dominante si è imposta onde adeguare l’impianto alle nuove norme antinquinamento (cfr. Cass. 10.2.2016, n. 2643, secondo cui, in tema di servitù di scarico, l’adeguamento delle modalità di sversamento delle acque alle sopravvenute esigenze igienico -sanitarie, cui consegua la necessità di accesso periodico al fondo servente per provvedere alle operazioni di spurgo del pozzetto a tenuta stagna all’uopo realizzato, non determina un aggravamento della servitù medesima, ex art. 1067 c.c., giacchè gli “adminicula servitutis”, quali facoltà accessorie al diritto cui ineriscono, hanno funzione strumentale derivata rispetto ad esso e possono variare nel tempo in rapporto alle esigenze concrete del suo esercizio, senza ripercuotersi sul vincolo o sulle modalità di attuazione della servitù).

Il che appieno si legittima nel quadro della cosiddetta “funzione sociale dei diritti reali”.

16. A nulla vale dedurre che il depuratore ha comportato la creazione di una servitù di passaggio per il cambio dei filtri di carbone nonchè il passaggio di una conduttura elettrica.

Gli “adminicula servitutis” comprendono sia le facoltà che condizionano l’esercizio della servitù sia le facoltà che condizionano il normale esercizio della servitù (cfr. Cass. 12.11.1996, n. 9891, secondo cui la servitù di fognatura – che va equiparata al generico scarico coattivo di cui all’art. 1043 c.c. – attribuisce al proprietario del fondo dominante il diritto di provvedere all’installazione delle opere idonee allo scarico e di accedere al fondo servente per la periodica manutenzione di dette opere, salvo che il titolo preveda più ampi poteri).

17. La limitazione che il diritto di proprietà della ricorrente soffre con specifico riferimento allo ius aedificandi, è naturale conseguenza della servitù che grava sul suo fondo.

18. L’esperito motivo di ricorso è dunque inammissibile perchè, per le doglianze che veicola, propriamente fuoriesce dalla “griglia” delle ragioni di censura che a norma del (novello) disposto dell’art. 360 c.p.c. fondano il diritto soggettivo alla sollecitazione di questo Giudice della legittimità.

19. In dipendenza della declaratoria di inammissibilità del ricorso la ricorrente va condannata a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

20. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. cit., art. 13, comma 1 bis, se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315, secondo cui la debenza dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione è normativamente condizionata a due presupposti: il primo, di natura processuale, costituito dall’adozione di una pronuncia di integrale rigetto o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, la cui sussistenza è oggetto dell’attestazione resa dal giudice dell’impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater; il secondo, di diritto sostanziale tributario, consistente nell’obbligo della parte impugnante di versare il contributo unificato iniziale, il cui accertamento spetta invece all’amministrazione giudiziaria).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente, B.F., a rimborsare al controricorrente, C.M.V., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 3.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. cit., art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2020

 

 

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