Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16322 del 12/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 12/07/2010, (ud. 10/06/2010, dep. 12/07/2010), n.16322

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3914/2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona dei legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI Roberto, che la rappresenta e difende,

giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.M.R., T.T., elettivamente domiciliate in

ROMA, PIAZZA DEL FANTE 2, presso lo studio dell’avvocato ACCIAI

Costanza, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CERRAI UMBERTO, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 117/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 02/02/2006 R.G.N. 541/04;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

10/06/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato MARIO MICELI per delega ROBERTO PESSI;

udito l’Avvocato GIUSEPPA CANNIZZARJ? per delega COSTANZA ACCIAI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

per la conciliata, accoglimento per il resto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Giudice del lavoro del Tribunale di Lucca respingeva le domande proposte da T.T. e da D.M.R., dirette ad ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto ai contratti di lavoro stipulati con la s.p.a. Poste Italiane rispettivamente con decorrenza 5-3-1998 (per “esigenze eccezionali” ex art. 8 ccnl 1994 come integrato dall’acc. 25-9-97 e succ.) e 4/6/2001 (ai sensi dell’art. 25 del ccnl 2001), con il riconoscimento della sussistenza di rapporti di lavoro a tempo determinato e con la condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate.

Le lavoratrici proponevano appello chiedendo la riforma dell’impugnata sentenza con l’accoglimento della domanda.

La società si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza depositata il 2-2-2006, in accoglimento dell’appello dichiarava la nullità del termine apposto ai contratti de quibus e la sussistenza del rapporto a tempo indeterminato tra la società e le appellanti a decorrere dal 5/3/1998 per la T. e dal 4-6-2001 per la D.M.. Condannava inoltre la società a corrispondere alle appellanti a titolo di risarcimento del danno le retribuzioni spettanti a decorrere dal 16-1-2001, data del tentativo obbligatorio di conciliazione, e tino alla riammissione in servizio, con rivalutazione e interessi, i tutto oltre le spese.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con due motivi.

La T. e la D.M. hanno resistito con controricorso.

Infine la società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c., nonchè copia di verbale di conciliazione in sede sindacale concluso con la T. in data 25-9-2008.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso nei confronti della T. va dichiarato inammissibile.

Dal verbale di conciliazione prodotto in copia risulta che le parti hanno raggiunto un accordo transattivo concernente la controversia de qua, dandosi atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge e dichiarando che – in caso di fasi giudiziali ancora aperte – le stesse saranno definite in coerenza con il presente verbale.

Osserva il Collegio che il suddetto verbale di conciliazione si palesa idoneo a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo; alla cessazione della materia del contendere consegue pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass. S.U. 29 novembre 2006 n. 25278, Cass. 13-7-2009 n. 16341).

Ricorrono, inoltre, giusti motivi, considerato raccordo intervenuto, per compensare le spese del giudizio di cassazione tra la società e la T..

Il ricorso va invece accolto nei confronti della D.M. (contratto del 4-6-2001 concluso ex art. 25 ccnl del 2001 per “esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione…” e “per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie”).

Con il primo motivo la società, denunciando viola/ione della L. n. 56 del 1987, art. 23, dell’art. 1362 c.c., e segg., e vizi di motivazione, lamenta che erroneamente e contraddittoriamente la Corte territoriale ha ritenuto la “necessità di concretizzare la clausola collettiva in un’altra causale, diversa per ogni singolo contratto di lavoro, che rechi l’indicazione della particolare situazione dell’ufficio ove il lavoratore è stato destinato e delle mansioni in concreto assegnate”.

La ricorrente, in sostanza deduce che “nel momento in cui la Corte d’Appello richiede la specificazione della causale collettiva in una causale individuale, si pone in netto contrasto con la ratio della L. n. 56 del 1987, art. 23, ed opera una indebita integrazione della volontà contrattuale espressa dalle parti sociali”, sovvertendo l’equilibrio stabilito dall’autonomia collettiva nell’accordo del 25 settembre 1997, integrando di fatto la causale collettiva con un ulteriore requisito, consistente nelle modalità di applicazione della stessa, dalle parti non previste e non volute”.

Il motivo è fondato e va accolto, in conformità con l’indirizzo costantemente dettato da questa Corte, in relazione ai contratti stipulati ai sensi dell’art. 25 del ccnl 2001 (nel regime anteriore al D.Lgs. n. 368 del 2001).

In particolare questa Corte Suprema (v., fra le altre, Cass. 26 settembre 2007 n. 20162, Cass. 1-10-2007 n. 20608) decidendo in casi analoghi, ha cassato la sentenza del giudice di merito che ha dichiarato illegittimo il termine apposto ad un contratto stipulato in base alla previsione della norma contrattuale sopra citata, osservando, in linea generale, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588), e che in forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, quella di cui al citalo art. 25, comma 2, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001.

In specie, quale conseguenza della suddetta delega in bianco conferita dal citato art. 23, questa Corte ha precisato che i sindacati, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere oggettivo ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente “soggettivo”, costituendo l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato idonea garanzia per i lavoratori e per un’efficace salvaguardia dei loro diritti.

Premesso, poi, che l’art. 25, secondo comma, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001 prevede, come si è visto, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi, questa Corte ha ritenuto viziata l’interpretazione dei giudici del merito che, sull’assunto della assoluta genericità della disposizione in esame, aveva affermato che la stessa non conteneva alcuna autorizzazione ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra i singoli contratti e le esigenze aziendali cui gli stessi sono strumentali.

Tale orientamento va confermato in questa sede, essendo, del resto, la tesi accolta dalla Corte di Appello (circa la definizione in termini assolutamente generali della clausola collettiva) fondata sull’erroneo presupposto che il legislatore non avrebbe conferito una “delega in bianco” ai soggetti collettivi ed avrebbe imposto al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962.

Del pari, nel quadro delineato, neppure era necessario che il contratto individuale contenesse specificazioni ulteriori rispetto a quelle menzionate nella norma collettiva (v. fra le altre Cass. 14/3/2008 n. 6988).

Lo stesso dicasi con riferimento alla seconda causale, concernente la “concomitanza di assenze per ferie”, che parimenti va inquadrata nella “delega in bianco” conferita alla contrattazione collettiva (v., seppure con riferimento alla analoga ipotesi già prevista dall’art. 8 del ccnl del 1994, fra le altre Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678, Cass. 7-3-2008 n. 6204, Cass. 28-3-2008 n. 8122) e che ugualmente non richiede alcuna ulteriore specifica allegazione (e prova) non prevista dalla norma collettiva.

Così accolto il primo motivo, resta assorbito il secondo (riguardante l’aliunde perceptum) ed il ricorso va accolto nei confronti della D.M., con la cassazione della impugnata sentenza in relazione alla stessa, per la quale, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto della domanda.

Infine la netta alternanza dell’esito dei giudizi di merito costituisce giusto motivo per la compensazione delle spese dell’intero giudizio tra la D.M. e la società.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti della T. e compensa le spese di cassazione tra la società e la detta lavoratrice; accoglie il ricorso nei confronti della D.M., cassa la impugnata sentenza in relazione alla stessa e, decidendo nel merito, rigetta la domanda della D.M.; compensa le spese dell’intero processo tra quest’ultima e la società.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2010

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