Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16320 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/07/2020, (ud. 06/03/2020, dep. 30/07/2020), n.16320

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8823 – 2019 R.G. proposto da:

T.M. – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliata, con

indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Messina, alla via Luciano

Manara, n. 129, presso lo studio dell’avvocato Alessandra Ioppolo,

che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale su foglio

separato allegato in calce al ricorso.

– ricorrente –

contro

PREFETTURA di MESSINA, in persona del Prefetto pro tempore.

– intimato –

avverso la sentenza n. 221/28.2.2018 – Tribunale di Barcellona Pozzo

di Gotto, udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6

marzo 2020 dal consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con ordinanza in data 4.2.2008 la Prefettura di Messina ingiungeva a T.M. ai sensi della L. n. 386 del 1990, art. 2, il pagamento della somma di Euro 3.667,76 a titolo di sanzione amministrativa per l’emissione di assegni senza provvista.

2. Con ricorso in data 22.3.2008 al Giudice di Pace di Milazzo T.M. proponeva opposizione.

Adduceva tra l’altro l’intervenuta estinzione dell’illecito amministrativo contestatole, atteso che aveva provveduto, come da quietanze liberatorie depositate, al pagamento dell’importo degli assegni con la maggiorazione del 10% a titolo di penale.

Chiedeva annullarsi l’ordinanza – ingiunzione.

3. Resisteva la Prefettura di Messina.

4. Con sentenza n. 213/2009 l’adito giudice di pace rigettava l’opposizione.

5. Proponeva appello T.M..

Non si costituiva e veniva dichiarata contumace la Prefettura di Messina.

6. Con sentenza n. 221/2018 il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, tra l’altro, accoglieva parzialmente il gravame, annullava l’ordinanza – ingiunzione con riferimento agli assegni n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS), determinava nel minor importo di Euro 2.716,73 il quantum della sanzione pecuniaria e regolava le spese di lite.

Evidenziava il tribunale che si giustificava la riduzione dell’ammontare della sanzione pecuniaria irrogata; che invero l’appellante, in esplicazione della facoltà di cui alla L. n. 386 del 1990, art. 8, comma 1, aveva provveduto al pagamento degli assegni n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS) nonchè al pagamento della penale del 10%, degli interessi e delle spese di protesto.

Evidenziava altresì che non era stato acquisito riscontro dell’avvenuto pagamento degli altri assegni; al contempo che non risultava per l’asserito “smarrimento” proposta denuncia alle autorità competenti.

7. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso T.M.; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese.

La Prefettura di Messina non ha svolto difese.

8. Il relatore ha formulato proposta di manifesta infondatezza del ricorso ex art. 375 c.p.c., n. 5); il presidente ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, ha fissato l’adunanza in camera di consiglio.

9. La ricorrente ha depositato memoria.

10. Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 74 e 77 disp. att. c.p.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio, la contraddittorietà della motivazione.

Deduce che il tribunale non ha tenuto conto che, sin dall’atto della costituzione in primo grado, aveva depositato le quietanze liberatorie con riferimento a ciascuno degli assegni emessi senza provvista.

Deduce che nè il primo giudice aveva rilevato nè la Prefettura, costituitasi in prime cure, aveva eccepito la mancanza delle ulteriori quietanze di pagamento.

Deduce che il tribunale avrebbe dovuto disporre le opportune ricerche per il tramite della cancelleria ed, in caso di esito infruttuoso, concederle termine per la ricostruzione del proprio fascicolo.

11. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 11; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il difetto assoluto di motivazione.

Deduce che il tribunale non ha motivato in ordine al motivo di appello, con cui aveva censurato il primo dictum a cagione dell’eccessività della sanzione.

Deduce che per nulla risultano i criteri alla cui stregua il tribunale ha ridotto la sanzione nè risulta se il tribunale ha tenuto conto dei parametri di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 11.

12. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

13. Propriamente il primo mezzo difetta di specificità e di “autosufficienza” ovvero non si conforma alle prefigurazioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6.

La ricorrente si è limitata ad addurre che “erano state depositate agli atti le quietanze liberatorie per ciascuno degli assegni protestati” (così ricorso, pag. 6); che nell’indice del proprio fascicolo, munito del timbro di deposito – con data 22.3.2008 – della cancelleria, risultavano allegate, al n. 4), “copie dichiarazioni liberatorie rif. agli assegni” (cfr. ricorso, pag. 7).

Viceversa la ricorrente avrebbe dovuto dedurre specificamente ed in forma “autosufficiente”, onde aprir il varco allo scrutinio del suo motivo di impugnazione, che nell’indice del suo fascicolo di primo grado risultavano elencate analiticamente le quietanze liberatorie per ciascun degli otto assegni, ossia che le quietanze nello stesso indice risultavano elencate con precisa enunciazione del numero di serie dell’assegno ad ognuna corrispondente.

Del resto la ricorrente a pagina 1 del ricorso a questa Corte ha indicato il numero di serie di ciascuno degli otto assegni emessi senza provvista, sicchè non avrebbe avuto nessuna difficoltà a fare altrettanto nell’indice del suo fascicolo di primo grado e a dare, in questa sede, rappresentazione specifica e riscontro “autosufficiente” che, appunto, l’indice del fascicolo di primo grado recava elencazione delle otto quietanze liberatorie con indicazione, ciascuna, dell’esatto numero di serie del corrispondente assegno.

14. Il giudice di seconde cure ha espressamente affermato che l’appellante aveva dato conto nell’atto di gravame della mancanza delle quietanze relative agli altri assegni (cfr. sentenza impugnata, pag. 4). D’altronde la ricorrente ha dedotto di aver “tempestivamente sollevato la questione dello smarrimento della documentazione con i motivi di impugnazione” (così ricorso, pag. 8).

In tal guisa la ricorrente avrebbe dovuto addurre di aver domandato espressamente al tribunale la concessione di un termine per ricostruire il proprio fascicolo (cfr. Cass. sez. lav. 8.2.2013, n. 3055, secondo cui, nell’ipotesi di perdita del fascicolo d’ufficio e dei fascicoli di parte in esso contenuti, la parte ha l’onere di richiedere al giudice il termine per ricostruire il proprio fascicolo e, disposte infruttuosamente le opportune ricerche tramite la cancelleria, può – entro il termine assegnato – depositare nuovamente atti e documenti, a condizione che dimostri di averli già ritualmente prodotti; Cass. 11.5.2010, n. 11352).

15. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile propriamente ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1.

16. Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto ha in ogni caso quantificato la sanzione in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte di legittimità.

Più esattamente questa Corte spiega che, in materia di sanzioni amministrative, l’istituto della continuazione è applicabile solo nel caso in cui, con più azioni od omissioni, risultino violate le norme sanzionatorie in materia di assistenza e previdenza obbligatoria; sicchè deve escludersi l’applicabilità dell’istituto della continuazione in caso di emissione di assegni bancari senza provvista e di emissione di assegni bancari senza autorizzazione (cfr. Cass. 7.3.2007, n. 5204; Cass. 11.6.2007, n. 13672, secondo cui, in materia di sanzioni amministrative non si applica l’istituto della continuazione così come disciplinato dall’art. 81 c.p., ma, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 8, è consentita l’irrogazione di un’unica sanzione per più violazioni solo se consumate con un’unica condotta (cosiddetto “concorso formale”), mentre in caso di pluralità di violazioni amministrative poste in essere dallo stesso soggetto con attività distinte (è il caso di specie), tale unificazione non è prevista nè consentita; Cass. 16.12.2005, n. 27799, secondo cui, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 8, l’istituto della continuazione in materia di violazioni amministrative si applica, in via generale, alla sola ipotesi in cui la pluralità di violazioni sia commessa con una sola azione od omissione, mentre nel caso esse siano commesse con più azioni od omissioni, detto istituto trova applicazione soltanto se si tratta di violazioni in materia di previdenza e di assistenza obbligatoria).

Non merita seguito pertanto l’assunto della ricorrente secondo cui la sanzione irrogata è eccessiva “anche in considerazione della continuazione interna ai fatti” (così ricorso, pag. 8).

17. La ricorrente riferisce – correttamente – che la sanzione pecuniaria comminata dalla L. n. 386 del 1990, art. 2, comma 1, è pari, nel minimo, ad Euro 516,46.

Evidentemente la sanzione di Euro 2.716,73 irrogata a T.M. è inferiore al “cumulo materiale” delle sanzioni minime irrogabili per ciascuno dei residui sei illeciti amministrativi ad ella ascritti.

In questi termini, siccome, appunto, la sanzione irrogata è inferiore al complessivo limite edittale minimo, la ricorrente non ha interesse alcuno e, prima ancora, non ha diritto a dedurre che non sono state valutate ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 11, “la gravità della violazione, la personalità dell’agente e le sue condizioni economiche” (così ricorso, pag. 9).

L’art. 11 cit., infatti, stabilisce che “nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo (…), si ha riguardo alla gravità della violazione (…), nonchè alla personalità (dell’agente) e alle sue condizioni economiche”.

18. La Prefettura di Messina non ha svolto difese. Nonostante la declaratoria di inammissibilità del ricorso nessuna statuizione in tema di spese va perciò assunta.

19. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. cit., art. 13, comma 1 bis, se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. cit., art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2020

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