Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16320 del 12/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 12/07/2010, (ud. 09/06/2010, dep. 12/07/2010), n.16320

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. DE RENZIS Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MIBES S.r.l., in persona de legale rappresentante pro tempore

E.L., B.E. elettivamente domiciliati in

Roma, Via Pisciano n. 43, presso lo studio dell’Avv. TUFANI Giuseppe,

che li rappresenta e difende, congiuntamente e disgiuntamente, con

l’Avv. Giovanni Cattani del foro di Lucca come da per procura a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

DIREZIONE PROVINCIALE DEL LAVORO DI LUCCA, in persona del Direttore

legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma,

Via dei Portoghesi n. 12, domicilia per legge;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Lucca n. 1491/05

del 3.1 1.2005/6.12.2005 nelle causa iscritta al n. 1543 R.G. 2003.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

9/06/2010 da Cons. Dott. Alessandro De Renzis;

udito l’Avv. Giuseppe Tufani per i ricorrenti;

sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. PATRONE

Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso, depositato il 3.04.2003, la MIBES S.r.l. ed B. E. in proprio proponevano opposizione contro l’ordinanza- ingiunzione n. 51/2003, con la quale la Direzione Provinciale del Lavoro di Lucca aveva ingiunto in solido all’anzidetta società e al suo legale rappresentante in proprio il pagamento di sanzioni amministrative per violazione di norme sul collocamento (L. n. 608 del 1996, art. 9 bis, commi 1, 2 e 3) e per omessa comunicazione all’INPS del codice fiscale dei lavoratori assunti (D.Lgs n. 38 del 2000, art. 14, comma 2).

Gli opponenti eccepivano in via preliminare l’abolizione delle sanzioni per effetto della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 12; in punto di merito, deducevano l’insussistenza delle violazioni loro contestate e della normativa di cui alla L. n. 1369 del 1960, sostenendo di avere fatto legittimo ricorso all’operato della EFFEBI di Fabio Bonifazi in momenti in cui avevano necessità di compiere lavoro che richiedevano il temporaneo utilizzo di un maggior numero di operai specializzati. Aggiungevano che la EFFEBI era regolarmente iscritta nel registro delle imprese, aveva regolarmente assunto i propri dipendenti e disponeva di una propria ed autonoma organizzazione.

Si costituiva la Direzione Provinciale del Lavoro di Lucca contestando le avverse deduzioni e chiedendo il duetto dell’opposizione anzidetta.

All’esito dell’istruttoria il Tribunale di Lucca con sentenza n. 1491 del 2005 ha rigettato l’opposizione, ritenendo non applicabile la L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 12, non trattandosi di violazione formali in materia di collocamento, Lo stesso Tribunale di Lucca ha ritenuto provato l’utilizzo di manodopera in violazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1, per avere fatto ricorso la MIBES s.r.l., a manodopera della ditta EFFEBI di Fabio Bonifazi fornendo le attrezzature e il materiale e dando le direttive sul lavoro.

La Mibes S.r.l ed B.E. ricorrono per cassazione con quattro motivi.

La DPL di Lucca resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono nullità del procedimento mediante il quale sono state accertate e inflitte le sanzioni di cui ALL’impugnata ordinanza-ingiunzione (art. 360 c.p.c., n. 5).

Al riguardo sostengono che l’ordinanza impugnata e i verbali che ne stanno alla base sono assolutamente illegittimi ed erronei, perchè mancanti di qualsiasi motivazione, in pieno contrasto quindi con ogni principio logico- giuridico e con quanto affermato dalla giurisprudenza.

Il motivo è infondato.

Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale nell’ordinanza- ingiunzione di una sanzione amministrativa l’autorità pubblica non è tenuta a rispondere analiticamente e diffusamente alle censure avanzate dall’intimato, potendo semplicemente richiamare (motivazione c.d. per relationem) il verbale di accertamento, a meno che le difese dell’intimato non contengano circostanze o fatti nuovi non indicati nel verbale o rilevanti per la configurabilità della contravvenzione o la sua gravità, nel qual caso la motivazione del provvedimento autoritativo deve, sia pur sinteticamente, tener conto delle ulteriori prospettazioni difensive, affinchè, in applicazione del giusto processo, il giudice dell’opposizione possa compiere una valutazione esaustiva dei fatti posti a fondamento della pretesa sanzionatola (Cass. n. 3128 dell’11 febbraio 2010; Cass. n. 17104 del 22 luglio 2009; Cass. n. 2.0189 del 22 luglio 2008 ed altre conformi).

Orbene in aderenza a tale orientamento può dirsi che nel caso di specie non sussiste il lamentato vizio di motivazione, giacchè nel provvedimento impugnato sono stati richiamati “per relationem” gli atti presupposti, come il verbale di accertamento, contenente le risultanze ispettive e le infrazioni contestate, nei cui confronti gli intimati hanno potuto apprestare le opportune difese.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano carente, errata e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, relativamente alla natura e disciplina giuridica dei rapporti in questione (art. 360 cod. proc. civ., n. 5).

I ricorrenti censurano l’assunto del giudice di primo grado circa l’esistenza di un mero appalto di manodopera, richiamandosi alle risultanze testimoniali, dalle quali si evincerebbe la presenza di tutti i requisiti previsti dalla legge per considerare pienamente lecito il rapporto di lavoro instaurato con la EFFEBI dagli stessi intimati.

Le censure così formulate sono prive di pregio e vanno disattese.

L’impugnata sentenza ha ritenuto provata, sulla base del materiale probatorio acquisito, l’intermediazione di manodopera, essendo emerso che i lavoratori interessati venivano inviati dalla Efebi di Fabio Bonifazi a lavorare presso la Mibes, la quale li comandava a svolgere l’attività in cantieri esterni fornendo le macchine e le attrezzature di lavoro e dando le direttive sul lavoro.

Coerenti e logiche sono quindi le conclusioni dell’impugnata sentenza circa la stringente organizzazione per il tramite di un responsabile della Mibes, proprietaria esclusiva dei macchinari ed attrezzature, come già detto, e circa la mancata presenza sul luogo di lavoro di un responsabile della EFFEBI. A tale valutazione delle risultanze istruttorie, sostenuta, come già detto, da congrua e logica motivazione, i ricorrenti si sono limitati ad opporre un diverso apprezzamento, non ammissibile in sede di legittimità.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano erronea applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 12, in relazione all’art. 2 c.p., comma 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 23, in relazione all’art. 2697 cod. civ. (art. 360 c.p.c., n. 3).

Le censure attengono a due profili: secondo il primo profilo la richiamata disposizione abolitiva delle sanzioni amministrative è immediatamente applicabile a tutte le omissioni contributive in materia di previdenza e assistenza obbligatorie, anche se verificatesi prima della sua entrata in vigore, e ciò in conformità al disposto dell’art. 2 cod. pen.; in base al secondo profilo si assume l’erroneità dell’affermazione, contenuta nell’impugnata sentenza, circa il carattere sostanziale e non formale delle violazioni in questione, che sarebbe di ostacolo all’applicazione della norma abolitiva delle sanzioni amministrative.

Il primo profilo evidenziato non merita di essere condiviso in base alle considerazioni che seguono.

Al riguardo va ricordato che la L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 12, ha abolito le sanzioni amministrative relative a violazioni di disposizioni sul collocamento di carattere formale a decorrere dalla sua entrata in vigore, avvenuta il 1 gennaio 2001.

La sentenza impugnata ha ritenuto non applicabile alle sanzioni amministrative il principio di retroattività come si desume dall’art. 2 cod. pen., per le sanzioni penali, stante la diversità dei due tipi di sanzioni, che non consente l’applicazione analogica della norma penalistica.

Tale assunto è condivisibile, avendo questa Corte, superando un precedente difforme orientamento, affermato che l’art. 116, comma 12, anzidetto è applicabile solo a violazioni di carattere amministrativo commesse dopo la sua entrata in vigore ed è esclusa qualsiasi forma di retroattività della legge successiva anche se più favorevole, dovendo aversi riguardo alla legge vigente al momento della commissione delle infrazioni, restando irrilevante la data di notifica dell’ordinanza-ingiunzione (Cass. n. 16422 del 2005 e n. 18761 del 2005 ed altre successive conformi).

Nel caso di specie è indubbio che le violazioni contestate sono state commesse prima del 1.01.2001, dal che la corretta ritenuta legittimità dell’ordinanza-ingiunzione, anche se emessa nell’anno 2003.

Il rigetto del primo profilo sulla base delle svolte argomentazioni fa ritenere assorbito il secondo.

4. Con il quarto motivo i ricorrenti sostengono che la violazione del divieto di interposizione di manodopera non era imputabile ad essi intimati ai sensi della L. n. 689 del 1981, per la mancanza della coscienza e volontarietà della violazione, che sarebbe avvenuta in buona fede senza alcun intento elusivo della L. n. 1369 del 1960, tanto più che la EFFEBI era iscritta regolarmente nel registro delle imprese ed aveva una efficiente e solida organizzazione.

Il motivo è infondato.

In tema di elemento soggettivo relativo alle violazioni amministrative della L. n. 689 del 1981, ex art. 3, la consolidata giurisprudenza di questa Corte si è pronunciata nel senso che per integrare l’illecito è sufficiente la semplice colpa, per cui l’errore sulla liceità della relativa condotta , correntemente indicato come “buona fede”, può rilevare, in termini di esclusione della responsabilità amministrativa, al pari di quanto avviene per la responsabilità penale in materia di contravvenzioni, soltanto quando esso risulti inevitabile, occorrendo a tal fine un elemento positivo, estraneo all’autore dell’infrazione, idoneo a ingenerare in lui la convinzione della riferita liceità, senza che il medesimo autore sia stato negligente o imprudente ovvero che quest’ultimo abbia fatto tutto il possibile per osservare la legge e che nessun rimprovero gli possa essere mosso. In altri termini l’errore deve essere incolpevole, ossia non suscettibile di essere impedito all’interessato con l’ordinaria diligenza (ex plurimis Cass. n. 9662 del 28 aprile 2006; Cass. n. 11253 del 15 giugno 2004; Cass. n. 7603 del 5 giugno 2001 ed altre conformi).

L’esposto principio è ancor più calzante per l’ipotesi dell’intermediazione di manodopera, in relazione alla quale il divieto ha una portata puramente oggettiva e prescinde da qualsiasi intento fraudolento o simulatorio delle parti, rilevando unicamente il fatto che una intermediazione nelle prestazioni di lavoro si sia in concreto verificata (Cfr. Sez. Un. n. 2157 del 21 marzo 1997 e Cass. n. 16146 del 18 agosto 2004). Nel caso di specie il giudice di merito ha accertato, come già detto, la circostanza dell’intervenuta intermediazione vietata, dandone ragionevole e adeguata spiegazione.

5. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, che liquida in Euro 19,00, oltre Euro 2.000,00 per onorari ed oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2010

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