Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1632 del 27/01/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 1632 Anno 2014
Presidente: BURSESE GAETANO ANTONIO
Relatore: MAZZACANE VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 8041-2008 proposto da:
AZIENDA AGRICOLA CESARE PAVESI, c.f. 00989370341, in
persona del legale rappresentante signor CESARE
PAVESI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A.
DEPRETIS 86, presso lo studio dell’avvocato CAVASOLA
PIETRO, che lo rappresenta e difende unitamente
2013

all’avvocato PAGLIA PAOLO;
– ricorrente –

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contro

POLIPLAST S.R.L., P.Iva 0311123015, in persona del
proprio socio e Legale Rappresentante quale Presidente

Data pubblicazione: 27/01/2014

del Consiglio di Amministrazione, Sig. Giancarlo
Brambilla, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
MERULANA 141, presso lo studio dell’avvocato VENTURINI
ANTONFRANCESCO, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato BASSETTA STEFANO;

avverso la sentenza n. 186/2007 della CORTE D’APPELLO
di BOLOGNA, depositata il 07/02/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/12/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO
MAZZACANE;
udito l’Avvocato VINCENZO GIANGIACOMO, con delega
dell’Avvocato PIETRO CAVASOLA difensore della
ricorrente, che si riporta agli atti depositati;
udito l’Avvocato MAURIZIO ALVITI, con delega
dell’Avvocato ANTONFRANCESCO VENTURINI difensore della
resistente, che si riporta agli atti depositati;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

– controricorrente

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La s.r.l. Poliplast, allegando di aver fornito contenitori alveolati in polistirolo espanso per la messa
a dimora di piantine di pomodoro e di non essere stata pagata, otteneva dal Presidente del
Tribunale di Parma due decreti ingiuntivi, il primo per lire 31.091.904 ed il secondo per lire

Quest’ultima proponeva opposizione avverso i suddetti decreti esponendo che le forniture relative
al primo decreto erano state regolarmente effettuate, ma erano viziate in modo così grave da
risultare inutilizzabili e da creare danni per oltre lire 142.969.205; quanto alle restanti forniture,
relative ad una fattura per lire 154.484.205, affermava che esse non erano state eseguite, e che a
garanzia delle stesse erano stati versati due assegni da lire 50 milioni ciascuno, indebitamente
incassati dalla Poliplast; chiedeva quindi la restituzione della somma di lire 100 milioni.

Si costituiva in giudizio l’opposta sostenendo che la Pavesi aveva commissionato la fornitura di
244.500 contenitori da 228 fori e di 26.190 contenitori da 260 fori, e che solamente una parte di
essa era stata contestualmente fatturata, mentre la restante sarebbe stata contabilizzata e pagata
in unica soluzione solo successivamente per consentire all’acquirente di incassare nel frattempo il
corrispettivo; per tale ragione erano stati consegnati i due assegni; aggiungeva che la fornitura era
stata eseguita tra il 18 marzo ed il 7 maggio 1999, mentre solamente il 9-8-1999 era pervenuta la
prima lettera di generica contestazione; eccepiva quindi sia l’inesistenza dei vizi sia la tardività
della denuncia, insistendo per il rigetto della opposizione.

Con sentenza del 7-8-2003 il Tribunale di Parma revocava i decreti ingiuntivi e condannava la
Poliplast a restituire la somma di lire 100 milioni ed a corrispondere, a titolo di risarcimento del
danno, la somma di euro 20.658.28, parzialmente compensati con il residuo credito di euro
10.705,04.
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54.484.205 nei confronti della Azienda Agricola Cesare Pavesi.

Proposta impugnazione da parte della Poliplast cui resisteva l’Azienda Agricola Cesare Pavesi la
Corte di Appello di Bologna con sentenza del 7-2-2007, in riforma della sentenza di primo grado,
ha respinto le opposizioni proposte dalla Azienda Agricola Cesare Pavesi, ha confermato i due
menzionati decreti ingiuntivi ed ha respinto le domande proposte da quest’ultima.

articolato in cinque motivi cui la società Poliplast ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e
643 c.p.c., censura la sentenza impugnata per aver posto a carico dell’esponente la prova di non
aver ricevuto la seconda fornitura della merce in questione, ed in particolare di aver rinunciato alla
consegna di tale seconda fornitura.

La ricorrente rileva che anche nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo trova piena
applicazione il disposto di cui all’art. 2697 c.c. per il quale la parte che si assume creditrice deve
provare la sussistenza della propria pretesa; pertanto, avendo la ditta Pavesi sostenuto di non aver
mai ricevuto la seconda fornitura, era onere della controparte provare, tramite idonea
documentazione fiscale e contabile, il proprio credito.

La censura è infondata.

La Corte territoriale ha ritenuto che già nel giudizio di primo grado erano stati acquisiti indizi
sufficienti per affermare che tutte le consegne pattuite erano state effettuate.

Premesso che, secondo la stessa prospettazione della Azienda Agricola Cesare Pavesi, la mancata
consegna della seconda fornitura era connessa ad una pretesa rinuncia da parte dell’acquirente, il
giudice di appello ha anzitutto rilevato che. a fronte di un ordine complessivo per tutte le quantità
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Per la cassazione di tale sentenza l’Azienda Agricola Cesare Pavesi ha proposto un ricorso

fatturate che era stato contestuale, appariva del tutto verosimile che effettivamente le consegne
dovessero avvenire a distanza ravvicinata per consentire l’utilizzo dei contenitori in tempi utili alla
produzione dei pomodori; inoltre dalla stessa relazione del consulente della Pavesi era emerso che
i vizi lamentati si erano manifestati non immediatamente, ma al momento in cui le piantine erano

cosicché risultava difficilmente ipotizzabile che l’attuale ricorrente avesse rinunciato alle consegne
prima ancora che queste fossero state effettuate, in quanto appariva del tutto plausibile che esse
si fossero esaurite nella quantità pattuita prima che si fossero manifestati con una certa
consistenza i vizi imputati ai prodotti venduti dalla Poliplast; comunque di tale pretesa rinuncia o
del rifiuto a ricevere le consegne successive alle prime non vi era alcun indizio.

La sentenza impugnata ha poi evidenziato la sussistenza di ulteriori indizi nel senso della effettiva
consegna di tutti i contenitori di cui la Poliplast aveva chiesto il pagamento; invero la stessa Pavesi,
avendo dedotto di aver venduto partite di piantine ad almeno 120 o 130 aziende agricole, aveva
avvalorato il ricevimento di quantitativi ben superiori a quelli riconosciuti, non essendo
seriamente ipotizzabile che la quantità delle forniture fosse mediamente così modesta come
indicato, poiché il riferimento soltanto alla prima fornitura (ovvero 350 contenitori per una semina
di meno di 80.000 piantine) era in contrasto con le deposizioni dei testi escussi sul punto, che
avevano dichiarato di aver acquistato quantitativi nettamente superiori (dalle 90.000 al milione
per ciascun acquirente sentito come teste); il giudice di appello ha poi richiamato la deposizione
della teste Maria Grazia Comotti sul fatto che tutta la merce era stata consegnata, avendo
quest’ultima assistito ad una telefonata in tal senso da parte del legale rappresentante della
Poliplast alla signora Pavesi; infine la Corte territoriale ha fatto riferimento alla fattura predisposta
dalla S. P. M. che, pur essendo stata resa a distanza di molto tempo rispetto all’epoca dei fatti e
pur risultando generica, attestava comunque un numero considerevole di consegne (39) tutte
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state cedute per l’impianto definitivo “in pieno campo”, nel periodo tra il 30 aprile ed il 30 maggio,

effettuate a Sissa Pavesi per un importo complessivo di lire 16.380.000, che per la sua stessa entità
attestava un trasporto di quantitativi ingenti di contenitori.

La Corte territoriale poi richiamato il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite di questa
Corte con la sentenza n. 13533 del 2001, osservando che nella fattispecie, accertata la conclusone

era onere della Pavesi provare che fosse intervenuta una causa estintiva della sua obbligazione.

Alla luce di tali esaustive e logiche argomentazioni del giudice di appello si deve ritenere che,
essendo risultato dai diversi elementi sopra enunciati e valutati congiuntamente che la Poliplast
aveva provato il fatto costitutivo del diritto fatto valere in giudizio, owero l’esecuzione della
fornitura nella quantità allegata per la quale pretendeva il pagamento del relativo prezzo, era
onere della Pavesi, in conformità del principio di diritto affermato dalla pronuncia di questa Corte
sopra richiamata, provare la dedotta estinzione dell’obbligo di pagamento del prezzo per quella
parte della fornitura alla quale, secondo le sue allegazioni, avrebbe rinunciato; pertanto i
denunciati vizi di violazione e falsa applicazione di legge sono insussistenti.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 2710
c.c., 116 c.p.c., D.P.R. 633/1972 art. 21 e D.P.R. 472/1996, sostiene che la Corte territoriale non ha
considerato, quanto alla prova della consegna della merce della seconda fornitura, che era stata
emessa soltanto una fattura tardiva o posticipata, ovvero la n. 820/1999, senza l’emissione dei
regolari documenti di trasporto prescritti dal D.P.R. 14-8-1996 n. 472, come invece era avvenuto
relativamente alla prima fornitura; inoltre l’art. 21 del D.P.R. 633/1972 prevede l’obbligo di
indicare nelle fatture differite la data ed il numero dei documenti di trasporto, mentre nella
fattispecie ciò non era avvenuto; pertanto esistevano indizi gravi in ordine alla mancata consegna
della merce di cui era stato chiesto il pagamento.
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del contratto per l’intero quantitativo in ordine al quale la Poliplast aveva chiesto il pagamento,

Il motivo è infondato.

La Corte territoriale, avendo ritenuto provato il diritto invocato dalla Poliplast al pagamento del
prezzo della forniture di cui ad entrambi i decreti ingiuntivi opposti dalla Pavesi sulla base dei
diversi elementi acquisiti e richiamati in occasione dell’esame del primo motivo di ricorso, ha

convincimento deve essere condiviso, posto che le sopra richiamate irregolarità, se comportano
conseguenze di natura fiscale a carico di colui che le ha commesse, non riguardano la prova
dell’adempimento delle obbligazioni contrattuali assunte dalle parti, e non possono quindi avere
influenza nell’ambito del rapporto di diritto privato oggetto del presente giudizio.

Con il terzo motivo la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 180 c.p.c.,
assume che erroneamente il giudice di appello ha ritenuto che l’argomentazione della Poliplast
secondo cui i contenitori oggetto di contestazione e sottoposti alla CTU non erano stati forniti
dalla venditrice e non erano comunque riferibili alla sua produzione configurava una mera difesa e
non già una eccezione in senso stretto; in realtà la contestazione della riferibilità di un bene
difettoso ad un determinato produttore costituisce una eccezione di merito da sollevare nei
termini di decadenza previsti dal codice di rito e non all’esito della fase istruttoria, in quanto
altrimenti ciò limiterebbe la possibilità di difesa e di replica della controparte che si troverebbe
disarmata di fronte a questa nuova circostanza dedotta; inoltre tale eccezione, contrariamente
all’assunto della Corte territoriale, non era stata formulata dalla controparte nella comparsa di
costituzione e risposta, essendosi in tale sede la Poliplast limitata a contestare l’esistenza di vizi.

La censura è infondata.

Il giudice di appello sotto un primo profilo ha affermato che la Poliplast fin dalla comparsa di
risposta nel primo grado di giudizio aveva contestato la riferibilità dei vizi al proprio prodotto,
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considerato evidentemente irrilevanti le irregolarità connesse alla seconda fornitura; tale

assumendo che competeva alla Pavesi offrire la prova della riconducibilità dei vizi alla merce
fornita, cosicché la questione era entrata a far parte della materia del contendere attraverso una
formale contestazione; ha poi aggiunto che tali argomentazioni della Poliplast non configuravano
una eccezione vera e propria ma delle mere difese, essendo pacifico che l’effettiva esistenza dei

della pretesa risarcitoria.

Il Collegio rileva che la riferibilità dei vizi ai contenitori forniti dalla Poliplast atteneva alla stessa
fondatezza della allegazione della Pavesi riguardante la sussistenza dei vizi stessi della merce
consegnatale dalla controparte in ordine ai quali aveva avanzato una domanda di risarcimento
danni, e dunque avrebbe dovuto essere adeguatamente provata; d’altra parte solo all’esito della
consegna da parte della Pavesi al CTU di sei contenitori era stato possibile verificare la veridicità o
meno dell’assunto della attuale ricorrente, ed in proposito la sentenza impugnata ha dato atto che
il CTU aveva escluso di poter far risalire con ragionevole certezza la provenienza dei vassoi
acquisiti alla Poliplast o ad altro fornitore; pertanto correttamente la sentenza impugnata ha
ritenuto che le contestazioni in proposito sollevate dalla Poliplast configuravano delle mere difese,
essendo dirette soltanto a negare l’esistenza dei fatti posti a fondamento della domanda
risarcitoria avanzata dalla Pavesi.

Con il quarto motivo la ricorrente, denunciando insufficiente e contraddittoria motivazione,
censura la sentenza impugnata per aver ritenuto provata l’effettiva esecuzione della seconda
fornitura della merce per cui è causa sulla base di semplici indizi senza dare alcun peso all’assenza
dei documenti di trasporto, pur avendo riconosciuto la sussistenza al riguardo di

“illegittimità

fiscali”; tali indizi (il numero presumibile e non certo delle sementiere utilizzate in base al numero
di piantine di pomodoro vendute, la fattura del vettore SPM, peraltro generica e di molto
successiva alla presunte consegne, e la testimonianza
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“de relato” della teste Comotti) non

vizi o la loro riferibilità al prodotto fornito dalla controparte integravano gli elementi costitutivi

potevano legittimare le conclusioni raggiunte dalla Corte territoriale, posto che le presunzioni
semplici sulla effettiva consegna della merce derivavano non da fatti noti, ma da ulteriori
presunzioni tratte dalla fattura SPM (se il vettore aveva fatto trasporti verso Sissa — Pavesi, si
presumeva che essi fossero stati fatti per portare le sementiere di cui alla seconda fornitura) e

titolare Pavesi dichiarava che avrebbero pagato, allora si doveva presumere l’avvenuta consegna
anche della seconda fornitura).

Con il quinto motivo la ricorrente, denunciando insufficienza e contraddittorietà della
motivazione, sostiene che erroneamente il giudice di appello non ha considerato come valida
eccezione la deduzione mossa dalla ditta Pavesi di non aver mai ricevuto la merce perché ad essa
aveva rinunciato espressamente; invero la prova di tale rinuncia stava nel fatto che nessuna
consegna era stata effettuata, come si evinceva dalla mancanza assoluta dei prescritti e necessari
documenti di trasporto della merce.

Gli enunciati motivi sono entrambi inammissibili.

Invero nella fattispecie, in presenza di una sentenza impugnata depositata il 7-2-2007, trova
applicazione “ratione temporis” l’art. 366 “bis” c.p.c. che prescrive a pena di inammissibilità per
ciascun motivo, nel caso previsto dall’art. 360 primo comma numero 5 c.p.c., una esposizione
chiara e sintetica del fatto controverso — in relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria — ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la
motivazione a giustificare la decisione.

Orbene tutti gli enunciati motivi con i quali, come sopra esposto, sono stati denunciati vizi di
motivazione, sono del tutto privi di un momento di sintesi del fatto controverso, cosicché essi
sono inammissibili ai sensi dell’art. 366 “bis”c.p.c.
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dalla dichiarazione della teste Comotti (se la Comotti riferiva di una telefonata in cui la moglie del

In definitiva il ricorso deve essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate
come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte

7.000,00 per compensi.

Così deciso in Roma il 13-12-2013

Il Consigliere estensore

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento di euro 200,00 per esborsi e di euro

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