Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16318 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/07/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 30/07/2020), n.16318

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8471-2019 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LIMA 35,

presso lo studio dell’avvocato MICHELE LICITA, rappresentato e

difeso dall’avvocato PERICLE CALVARESI;

– ricorrente –

contro

PE.AN.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5674/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA

FALASCHI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 11363/2017, in parziale accoglimento della domanda proposta da Pe.An. – in qualità di promissaria acquirente – nei confronti di P.G. – quale promittente venditore-, dichiarava risolto il contratto preliminare del 7 agosto 2009 per inadempimento del convenuto e, per l’effetto, lo condannava alla restituzione della somma di Euro 40.000,00, respinta la domanda riconvenzionale di restituzione delle somme sostenute dal convenuto per avviare le procedure amministrative necessarie ad ottenere titolo autorizzativo per la edificazione. In virtù di gravame interposto da P.G., la Corte di appello di Roma, nella resistenza dell’appellata, con sentenza n. 5674/2018, rigettava l’appello condividendo le argomentazioni del primo giudice secondo cui l’inadempimento che rilevava al fine della richiesta risoluzione del preliminare era da riferire al promittente venditore che alla data di introduzione del giudizio non aveva ancora realizzato l’immobile oggetto di vendita.

Avverso la sentenza della Corte di appello di Roma il P. propone ricorso per Cassazione, fondato su due motivi.

Pe.An. è rimasta intimata.

Ritenuto che il ricorso potesse essere respinto, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata alla parte ricorrente, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Atteso che:

– con il primo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 1218 e 1460 c.c.. In particolare, ad avviso del ricorrente, la corte territoriale avrebbe erroneamente accertato il solo inadempimento del P., senza considerare il ritardo nell’esecuzione delle obbligazioni assunte dalla Pe., finendo per imputare la responsabilità contrattuale in capo al solo promittente venditore. La censura è priva di pregio e pertanto non può trovare ingresso.

Ai fini dell’esame del motivo, è preliminare ricostruire la vicenda come accertata dai giudici di merito, secondo i tipici poteri di fatto, non sindacabili in questa sede.

Parte venditrice, in virtù del contratto preliminare stipulato il 7 agosto 2009, si impegnava a vendere alla Pe. la proprietà di un magazzino con porzione di terreno circostante, previa demolizione e ricostruzione del manufatto, verso il corrispettivo di Euro 200.000,00.

In particolare, il giudice territoriale ha ritenuto provato il versamento da parte della Pe. di un importo pari ad Euro 40.000,00, di cui Euro 5.000,00 a titolo di caparra (e acconto prezzo), Euro 23.000,00 all’atto della sottoscrizione del contratto ed Euro 12.000,00 con tre assegni bancari tratti il 22 marzo 2010.

Nonostante il suddetto versamento, il P. non procedeva all’esecuzione dei lavori eccependo la scadenza del termine, stabilito in contratto al 30.09.2009, per l’indicazione delle modalità di pagamento del saldo del prezzo, da parte della promissaria acquirente. L’odierno ricorrente provvedeva ad inoltrare la richiesta del titolo autorizzativo solo dopo la messa in mora da parte della Pe. avvenuta con comunicazione del 10.01.2011.

Orbene, premesso che l’accertamento in ordine all’essenzialità del termine per l’adempimento, a norma dell’art. 1457 c.c., va condotto alla stregua della natura e dell’oggetto del contratto, non potendo l’essenzialità essere desunta solo dall’uso dell’espressione “entro e non oltre”, riferita al tempo di esecuzione della prestazione, per cui laddove non emerga inequivocabilmente dall’oggetto del negozio o da specifiche indicazioni delle parti, non può essere considerato tale (Cass. 10 dicembre 2019 n. 32238; Cass. 15 luglio 2016, n. 14426; Cass. 6 dicembre 2007 n. 25549; Cass. 17 marzo 2005 n. 5797), il giudice di merito, ponendo l’attenzione sull’interesse dei contraenti, ha rilevato che l’accettazione degli acconti versati dalla promissaria acquirente dopo la scadenza del termine pattuito in contratto (30.09.2009) costituisse manifestazione di volontà di dare attuazione alle ulteriori previsioni negoziali. Il giudice d’appello ha poi accertato che il P. aveva accettato detti versamenti, avvenuti fino al 22 marzo 2010, senza procedere all’esecuzione dei lavori: ulteriore circostanza considerata indizio della non essenzialità del termine, evidenziando l’interesse del promittente venditore ad attendere oltre il 30 settembre 2009, pur di stipulare il definitivo e riscuotere il saldo di prezzo.

Infine, il giudice ha valutato, sulla base di un bilanciamento delle corrispettive prestazioni, che il P., decorsi 17 mesi dalla stipula del preliminare, nonostante la corresponsione della somma di Euro 40.000,00, pari al 20% del prezzo, non adempiva ancora l’obbligo di attivarsi per le vie amministrative onde dare inizio lavori. A nulla vale, dunque, l’eccezione di inadempimento sollevata dal ricorrente ovvero la decorrenza di un nuovo termine a far data dal 10 gennaio 2011, stante l’attivazione di quest’ultimo, peraltro solo per la procedura amministrativa, solo dopo la messa in mora da parte della promissaria acquirente, quasi un anno dopo il versamento dell’ultimo acconto del prezzo.

E’ inoltre necessario considerare che, nei contratti a prestazioni corrispettive ed in caso di denuncia di inadempienze reciproche, è necessario far luogo ad un giudizio di comparazione in ordine al comportamento di ambedue le parti per stabilire quale di esse, con riferimento ai rispettivi interessi ed all’oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle trasgressioni maggiormente rilevanti e costituenti causa del comportamento della controparte, nonchè della conseguente alterazione del sinallagnia. Tale accertamento, fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove, rientra nei poteri del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se logicamente motivato (Cass. 22 maggio 2019 n. 13827; Cass. 30 maggio 2017 n. 13627; Cass. 3 febbraio 2000 n. 1168).

Il giudice distrettuale non si è discostato da tali principi e, senza contraddizioni logiche nella motivazione, ha concluso che l’inadempimento del P., concretatosi nell’omessa esecuzione dell’opera, doveva ritenersi assai più grave di quello della promissaria acquirente consistito semplicemente nell’omettere di dichiarare le modalità di pagamento, la quale comunque aveva continuato a corrispondere quote di prezzo;

– con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 5, l’omessa valutazione di un fatto decisivo risultante dagli atti di causa. In particolare, ad avviso del P., la corte territoriale avrebbe erroneamente ricostruito la vicenda, omettendo di considerare che alla scadenza del termine previsto nel contratto per la comunicazione delle date di pagamento, ciascuna obbligazione avrebbe avuto un nuovo termine di adempimento, con la conseguenza che la scadenza della sua obbligazione sarebbe decorso dal momento in cui la Pe. aveva offerto la propria prestazione.

La seconda censura è inammissibile.

E’ preliminare osservare che, nel caso di specie, viene denunciato un vizio di motivazione, in ordine al quale trova applicazione la disposizione di cui all’art. 348 ter c.p.c., u.c., (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012) applicabile al procedimento per essere stato il giudizio introdotto dopo l’11.9.2012 (atto di citazione in appello notificato in data 11.07.2014).

Invero, tale disposizione – in base alla quale non sono impugnabili per omesso esame di fatti storici le sentenze di secondo grado che confermano la decisione di primo grado (c.d. “doppia conforme”) – presuppone che nei due gradi di merito le “questioni di fatto” siano state decise in base alle “stesse ragioni”.

Dalla sentenza impugnata emerge che i giudici di appello hanno recepito integralmente le argomentazioni poste a base della decisione di primo grado, quanto alla riferibilità al prominente venditore dell’inadempimento posto a base della dichiarata risoluzione e, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.(Cass. 22 dicembre 2016 n. 26774).

Di tutto ciò il ricorrente non deduce alcunchè e, pertanto, la circostanza non può essere esaminata in questa sede.

In definitiva il ricorso per cassazione va disatteso in relazione ad entrambi i motivi in cui esso si articola.

Nessuna pronuncia sulle spese del giudizio in mancanza di difese da parte della promissaria acquirente, rimasta intimata.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2020

 

 

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