Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16315 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/07/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 30/07/2020), n.16315

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33552-2018 proposto da:

E.R. & F.LLI SNC, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ORIANI 91, presso lo studio dell’avvocato RANUCCI ROBERTO,

rappresentata e difesa dall’avvocato MARIO CRETELLA;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO AUTONOMO PER LE CASE POPOLARI DELLA PROVINCIA DI SALERNO, in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARIA GRAZIA DELLA BELLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1012/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 29/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA

FALASCHI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Salerno, con sentenza n. 3467/2000, rigettava la domanda proposta dalla ditta E.R. & F.lli s.n.c., volta ad ottenere la risoluzione del contratto di appalto stipulato il 30.03.1999 con l’Istituto Autonomo per le Case Popolari della Provincia di Salerno per colpa e negligenza del convenuto, nonchè quella di risarcimento dei danni per il mancato guadagno e per le spese tecniche preliminari affrontate e, in accoglimento della riconvenzionale proposta dal committente, dichiarava risolto il contratto per inadempimento dell’appaltatrice, con conseguente condanna della stessa al risarcimento dei danni.

In virtù di gravame interposto dalla ditta E.R. & F.lli s.n.c., la Corte di appello di Salerno, nella resistenza dell’appellato, con sentenza n. 1012/2018, rigettava l’appello condividendo le argomentazioni svolte dal primo giudice, insistendo per l’inidoneità solo relativa del sito scelto per la realizzazione degli alloggi, superabile con una serie di interventi, alcuni dei quali già considerati in contratto.

Avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno, E.R. & F.lli s.n.c. propone ricorso per Cassazione, fondato su due motivi, cui IACP resiste con controricorso.

Ritenuto che il ricorso potesse essere respinto, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata alle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

In prossimità dell’adunanza camerale parte ricorrente ha curato il deposito di memoria illustrativa.

Atteso che:

– va pregiudizialmente dichiarata l’inammissibilità della memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c. della ricorrente, in quanto pervenuta alla Cancelleria di questa Corte solo in data 21/02/2020, e pertanto in violazione del termine di cui all’art. 380 bis 1 c.p.c., ossia oltre il termine ultimo di dieci giorni dalla data dell’adunanza in camera di consiglio fissata ex dell’art. 380 bis 1 c.p.c. (introdotto dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 bis, comma 1, lett. f, conv., con modif., nella L. n. 197 del 2016) (v. Cass. 27 novembre 2018 n. 30592);

– tanto chiarito, osserva il Collegio che tutti i motivi di ricorso sono inammissibili per una pluralità di profili e con essi il ricorso;

– con il primo motivo la ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 1664 c.p.c., comma 2, agli artt. 1341 e 1342 c.c., nonchè alla L. n. 109 del 1994, art. 25. In particolare, ad avviso della ricorrente, la corte territoriale avrebbe erroneamente accertato l’inidoneità relativa e non assoluta del suolo scelto a ricevere la costruzione edilizia, senza considerazione che il terreno, al contrario, imponeva la predisposizione di una variante in corso d’opera da parte dell’Istituto appaltante.

La censura è inammissibile poichè non coglie la ratio decidendi.

I giudici di merito hanno respinto la domanda di risoluzione del contratto di appalto proposta dalla ricorrente sull’essenziale rilievo che l’esistenza di problematiche relative alla stabilità geologica dell’area destinata all’insediamento, non determinava l’impossibilità assoluta dell’intervento edilizio, ma imponeva solo opere di sistemazione, peraltro, già previste “almeno in parte ed in grandi linee” in fase progettuale.

Il motivo, di converso, è volto a ridiscutere la ricostruzione della responsabilità contrattuale in capo all’appaltatrice fatta propria dal giudice di appello, e mira a richiedere a questa Corte di effettuare una nuova rivalutazione di tutte le risultanze istruttorie – già esaminate dal Giudice di appello – secondo una diversa prospettazione e ricostruzione dei fatti operata dalla parte ricorrente.

La censura si pone, pertanto, al di fuori dei limiti imposti al sindacato di legittimità, vincolato al controllo della conformità a diritto della decisione secondo il parametro individuato dai tassativi vizi deducibili con il ricorso ex art. 360 c.p.c., tentando di sovrapporre una propria diversa valutazione ed un proprio convincimento a quello raggiunto dal giudice del merito (Cass., Sez. Un., 23 settembre 2013 n. 21672).

Nel caso di specie, la corte territoriale ha rettamente fatto discendere, dalla circostanza che l’area oggetto di causa fosse edificabile – previa realizzazione di interventi di bonifica già preventivati e concordati in fase progettuale -, l’ingiustificato rifiuto della ditta all’esecuzione dei lavori.

Dalle suddette premesse i giudici territoriali, condividendo le argomentazioni dei giudici di prime cure, hanno concluso per l’accertamento in capo alla ditta appaltatrice dell’inadempimento per la mancata esecuzione dei lavori; solo laddove avessero comportato l’insorgere di difficoltà per cause geologiche o idriche, c.d. sorpresa geologica, avrebbero potuto comportare il diritto per l’appaltatore ad un equo compenso;

– con il secondo motivo viene denunciata, ex art. 360 c.p.c., n. 5, la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 115 c.p.c.. In particolare, ad avviso della società ricorrente, il giudice di appello avrebbe completamente omesso di considerare che la CTU elaborata in primo grado, evidenziava che gli interventi idraulici o di bonifica, avrebbero dovuto essere eseguiti al di fuori dell’area in questione e quindi in territorio competenza dell’impresa appaltatrice.

Anche la seconda censura è inammissibile sotto plurimi profili.

preliminare osservare che, nel caso di specie, viene denunciata sia una violazione di legge sia un vizio di motivazione.

Quanto a quest’ultimo trova applicazione la disposizione di cui all’art. 348 ter c.p.c., u.c., (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012) applicabile al procedimento per essere stato il giudizio introdotto dopo l’11.9.2012.

Invero, tale disposizione – in base alla quale non sono impugnabili per omesso esame di fatti storici le sentenze di secondo grado che confermano la decisione di primo grado (c.d. “doppia conforme”) – presuppone che nei due gradi di merito le “questioni di fatto” siano state decise in base alle “stesse ragioni”.

Dalla sentenza impugnata emerge che i giudici di appello hanno recepito integralmente le argomentazioni poste a base della decisione di primo grado, quanto alla riferibilità al contratto di opere di bonifica del suolo e, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.(Cass. 22 dicembre 2016 n. 26774).

L’odierno ricorrente, al contrario, non ha adempiuto tale onere, omettendo di dimostrare la diversità delle ragioni di fatto poste a base delle due decisioni, da cui discende l’inammissibilità del motivo.

Quanto alla violazione di legge è altrettanto inammissibile in quanto il ricorrente avrebbe dovuto far valere le osservazioni nel corso del giudizio di merito (Cass. 21 agosto 2018 n. 20829) e, se eccezione, nei termini di cui all’art. 157 c.p.c., comma 2 (Cass. 3 agosto 2017 n. 19427).

Di tutto ciò la ricorrente non deduce alcunchè e, pertanto, la circostanza non può essere esaminata in questa sede.

In definitiva il ricorso per cassazione va disatteso in relazione ad entrambi i motivi in cui esso si articola.

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in favore dell’Istituto controricorrente in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro, 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2020

 

 

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