Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16315 del 03/07/2017


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Cassazione civile, sez. I, 03/07/2017, (ud. 27/04/2017, dep.03/07/2017),  n. 16315

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6837/2011 R.G. proposto da:

Ministero dello Sviluppo Economico (C.F. (OMISSIS)), in persona del

ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocatura

generale dello Stato, elettivamente domiciliato in Roma, via dei

Portoghesi 12, presso gli uffici dell’avvocatura;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) s.p.a. (C.F.), in persona del curatore pro

tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Simone Veneziano,

elettivamente domiciliata nel suo studio in Roma, via della Mercede

33;

– controricorrente ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 4262/2010 della Corte d’appello di Roma,

depositata il giorno 20 ottobre 2011.

Sentita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 27 aprile

2017 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fichera.

Lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale

Alberto Cardino, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso

principale e infondato quello incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 20 ottobre 2011, ha respinto l’impugnazione del lodo arbitrale reso tra il Ministero dello Sviluppo Economico e il fallimento della (OMISSIS) s.p.a., sulla lite insorta in relazione alla revoca del contributo pubblico concesso alla società poi fallita per la realizzazione di uno stabilimento industriale, nonchè all’indennizzo spettante per le opere effettivamente realizzate sul suolo pubblico.

Ha ritenuto la corte d’appello che i motivi di impugnazione formulati dal Ministero dello Sviluppo Economico fossero tutti inammissibili, in quanto, il mezzo concernente la violazione della disciplina in materia di clausole vessatorie, non coglieva l’altra ratio decidendi posta a fondamento della decisione del collegio arbitrale il quale, sull’assunto che la clausola contenuta nel disciplinare di concessione sottoscritto dalle parti fosse efficace, aveva ritenuto comunque avverata la condizione ivi dedotta -, mentre quello riferito all’illegittimo indebito arricchimento della controparte, non teneva conto che, in realtà, era stata già accolta la domanda principale avanzata dal fallimento.

Quanto all’impugnazione incidentale del fallimento della (OMISSIS) s.p.a., il giudice del gravame ha ritenuto che gli arbitri avessero applicato correttamente la regola della parziale compensazione, L. Fall., ex art. 56, tra i crediti reciprocamente vantati dalle parti.

Il Ministero dello Sviluppo Economico ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi; il fallimento della (OMISSIS) s.p.a., ha depositato controricorso con ricorso incidentale illustrato da un motivo.

Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il Ministero dello Sviluppo Economico deduce violazione dell’art. 829 c.p.c., in relazione agli artt. 936, 1341, 1469-bis e 1469-quinquies c.c., per avere la corte d’appello erroneamente ritenuto non contestata la vessatorietà della clausola contenuta nell’art. 7 del disciplina di concessione sottoscritto dalle parti.

Con il secondo motivo lamenta violazione dell’art. 2041 c.c., avendo il giudice di merito ritenuto legittimo l’indebito arricchimento del fallimento, attraverso il riconoscimento dell’indennità ex art. 936 c.p.c..

Con il terzo motivo eccepisce il difetto di giurisdizione degli arbitri, trattandosi di rapporto di natura amministrativa.

1.2. Con l’unico motivo del ricorso incidentale il fallimento della (OMISSIS) s.p.a. deduce violazione dell’art. 936 c.c. e della L. Fall., art. 56, nonchè vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), avendo la corte d’appello errato nel ritenere esatta la quantificazione dell’indennizzo spettante, nella misura pari alla differenza tra le spese sostenute e il contributo erogato.

2. Il terzo motivo, il cui è esame è chiaramente pregiudiziale, è infondato.

Invero, secondo il consolidato orientamento delle sezioni unite di questa Corte in tema di regolamento di giurisdizione, in materia di sovvenzioni da parte della P.A., la controversia insorta a seguito delle determinazioni dell’amministrazione di sospendere l’erogazione, una volta riconosciuta la debenza del beneficio, in ragione del sopravvenuto difetto dei presupposti per la detta corresponsione (in dipendenza, nella specie, dello stato di insolvenza in cui era venuto a trovarsi il beneficiario), spetta alla giurisdizione del giudice ordinario, giacchè quelle determinazioni non si pongono come esercizio del potere di autotutela per vizi di legittimità del provvedimento attributivo ovvero per il suo contrasto, sin dall’origine, con il pubblico interesse, e non sono pertanto idonee a degradare il diritto soggettivo del beneficiario a interesse legittimo (Cass. s.u. 15/04/2003, n. 5991).

3. Il primo motivo è inammissibile.

Il ministero ricorrente, invero, lamentando che la corte d’appello abbia respinto ogni doglianza concernente la ritenuta vessatorietà della clausola contenuta nell’art. 7, u.c., del disciplinare di concessione, non coglie la ratio decidendi della decisione impugnata, che – a sua volta – ha ritenuto inammissibile l’impugnazione del lodo, osservando come il collegio arbitrale aveva ritenuto che, anche a ritenere efficace detta clausola, la condizione ivi apposta (l’avvenuta restituzione del contributo erogato all’Amministrazione) doveva comunque ritenersi verificata e, siffatta statuizione, non era stata affatto impugnata dal ministero medesimo innanzi al giudice del gravame.

4. Il secondo motivo è parimenti inammissibile.

Ancora una volta il ministero ricorrente non coglie le ragioni della decisione assunta dalla corte d’appello, avendo quest’ultima respinto il secondo motivo di impugnazione del lodo, osservando semplicemente che non l’azione residuale ex art. 2041 c.c.. era stata accolta dagli arbitri, bensì quella, formulata dal fallimento in via principale, tesa al riconoscimento dell’indennizzo ex art. 936 c.c..

Limitandosi a riproporre una generica violazione dell’art. 2041 c.c., insomma, il ricorrente non muove alcuna censura alla suddetta motivazione, rendendo il motivo privo di interesse per la parte.

5. L’unico motivo di ricorso incidentale è infondato.

E’ noto che la compensazione nel fallimento è ammessa anche quando il controcredito del debitore del fallimento divenga liquido e esigibile dopo il fallimento, purchè il fatto genetico della obbligazione sia anteriore alla relativa dichiarazione, mentre è irrilevante che la sentenza di accertamento del controcredito intervenga successivamente alla dichiarazione di fallimento (Cass. 27/10/2015, n. 21784).

Facendo corretta applicazione della suddetta regola, nella vicenda all’esame, la corte d’appello ha respinto l’impugnazione incidentale del fallimento, non potendosi nutrire soverchi dubbi sulla circostanza che, sia il credito vantato dall’Amministrazione per la restituzione del contributo erogato, sia il credito del fallimento, ex art. 936 c.c., per il rimborso dei costi sostenuti per le opere eseguite dalla società in bonis, fossero sorti prima della dichiarazione di fallimento, operando la compensazione prevista dalla cennata norma della legge fallimentare.

6. Avuto riguardo alla reciproca soccombenza, le spese del giudizio vanno compensate integralmente.

PQM

 

Rigetta il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale.

Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2017

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