Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16313 del 03/07/2017


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Cassazione civile, sez. I, 03/07/2017, (ud. 11/04/2017, dep.03/07/2017),  n. 16313

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18204/2012 proposto da:

Fondazione Morelli, in persona del Presidente legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Oslavia n.7,

presso l’avvocato Bianco Rocco, che la rappresenta e difende, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Fideuram S.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Corso Trieste n. 95,

presso l’avvocato Garone Gianfrancesco, che la rappresenta e

difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1909/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/04/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/04/2017 dal cons. ACIERNO MARIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Roma, confermando la sentenza di primo grado, ha respinto la domanda risarcitoria proposta in primo grado da A.A., vedova Morelli, ed in secondo grado dalla Fondazione Morelli, avente ad oggetto la condanna al pagamento della somma di Lire 749.775.953 per risarcimento del danno a titolo di responsabilità contrattuale o extracontrattuale derivante dalla sorte di un investimento denominato Fonditalia di cui la dante causa era intestataria unitamente al nipote L.L. e che con firma apocrifa era stato in parte disinvestito e successivamente interamente reintestato al L. e a sua moglie. Si contestava, pertanto, alla banca di non aver verificato le sottoscrizioni apposte sugli ordini di disinvestimento con la firma dello specimen depositato, trattandosi di sottoscrizioni difformi rispetto all’autentica effettuata dal promotore M.G.. Nel 1999, il L. era stato condannato con sentenza di patteggiamento per essersi appropriato di valori di proprietà dell’attrice dei quali aveva la disponibilità presso la banca Fideuram s.p.a..

Nel corso del giudizio di secondo grado è stato integrato il contraddittorio nei confronti del M. e disposta l’esibizione degli originali di alcuni documenti a carico di Fideuram. L’ordine non era adempiuto per quanto riguarda il documento con cui la somma relativa al saldo di liquidazione dell’investimento Fonditalia era stata corrisposta al L..

A sostegno della decisione di rigetto la Corte territoriale ha affermato:

– Non rilevano le dichiarazioni del L. rese nel giudizio penale in ordine all’autenticità delle firme apposte all’ordine di disinvestimento e di reintestazione dal momento che il L. non è parte del presente giudizio e comunque nel giudizio penale non era tenuto a dire il vero.

– Del pari prive di rilievo sono le osservazioni del consulente del pubblico ministero e di quello di Morelli nel giudizio penale nel quale la banca non era parte;

Deve rilevarsi la contraddittorietà delle tesi prospettate dalla parte appellante nel presente giudizio, fondate sull’apocrifia della sottoscrizione apposta dal L. rispetto a quelle sostenute nel giudizio instaurato a (OMISSIS) dalla A. nei confronti del nipote ed avente ad oggetto domande restitutorie nei confronti del nipote L. nel quale è stata sostenuta l’autenticità delle sottoscrizioni in questione.

– Nel presente giudizio viene dedotta la responsabilità della banca per non aver agito con la diligenza necessaria a verificare l’autenticità delle firme apposte dal L. nel disinvestimento e nella reintestazione ma si deve rilevare che il L. è secondo intestatario del conto e la sua firma è apposta in calce all’apertura di deposito amministrato sottoscritto dalla A. e dal nipote nel 1994. La difesa A.-Morelli non ha mai richiesto l’esibizione dello specimen rispetto al quale si sarebbe dovuta operare la comparazione delle firme. Il L. era dotato del potere anche disgiunto di compiere le operazioni contestate, avendo, anche in precedenza, proceduto a compiere soltanto lui le operazioni su tale investimento.

– La responsabilità della banca per negligenza si deve fondare sulla riconducibilità delle sottoscrizione al cd. “falso grossolano” secondo il canone elaborato dalla giurisprudenza in relazione alla responsabilità del banchiere per il pagamento di assegni con firma di traenza falsa o altre alterazioni del titolo, tenuto anche conto che una consulenza tecnica d’ufficio grafica dopo così tanto tempo sarebbe di difficile risolutività e dovrebbe essere disposta nei confronti di un soggetto che non è parte.

– La comparazione può peraltro essere effettuata confrontando visivamente le firme in contestazione con quelle in calce al modulo di sottoscrizione dell’investimento e con quelle contenute nella consulenza di parte attorea. L’esame conduce a ritenere che non si ravvisa prima facie un’immediata e chiaramente percepibile dissomiglianza nella redazione delle singole lettere componenti nome e cognome del L..

– Il grado di diligenza richiesto al promotore finanziario cui sono stati trasmessi gli ordini è da equiparare a quello dell’operatore bancario che opera in cassa. Deve, pertanto, escludersi la responsabilità contrattuale della banca per non aver rilevato la natura apocrifa delle sottoscrizioni apposte dal L. sugli ordini contestati.

Va infine esclusa anche la responsabilità extracontrattuale con riferimento al fatto del dipendente promotore M. perchè la condotta illecita di quest’ultimo è rimasta priva di riscontro probatorio, non essendo stata raggiunta la prova del fatto storico principale consistente nella falsità della firma del cliente. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la Fondazione Morelli affidandosi a sei motivi. Ha resistito con controricorso la Fideuram.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Nel primo motivo viene dedotto il vizio di motivazione sul profilo relativo all’errata equiparazione del regime probatorio da applicare per l’ordine di modificazione del nominativo del primo mandante e per l’ordine di disinvestimento, con quello riguardanti gli assegni con firma di traenza falsa.

L’equiparazione è errata rispetto ai tempi, avendo l’intermediario una disponibilità temporale molto maggiore per verificare l’autenticità della sottoscrizione rispetto all’assegno. Inoltre quest’ultimo può essere negoziato presso qualsiasi sportello mentre l’ordine d’investimento e disinvestimento viene eseguito sempre nella stessa banca e con lo stesso funzionario con il quale vi è un rapporto fiduciario preciso. Le operazioni contestate sono state monitorate e seguite proprio dal promotore finanziario titolare del rapporto che conosceva il cointestatario L.. Dunque la diligenza contrattuale richiesta non può essere quella del bonus argentarius.

Nel secondo motivo il vizio di motivazione viene sollevato in considerazione della patente difformità delle sottoscrizioni.

Nel terzo motivo viene dedotta ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del principio dell’onere della prova applicabile al rapporto dedotto in giudizio di natura contrattuale. Era a carico della banca l’onere di dimostrare che la sottoscrizione era autentica anche in applicazione dei principi sanciti dalle S.U. con la pronuncia n. 13533 del 2001.

I primi tre motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto logicamente connessi.

La Corte d’Appello di Roma, nell’esame della responsabilità contrattuale della banca per inadempimento dell’obbligo di diligenza su di essa incombente ha in primo luogo, svolto un’indagine fattuale delle complessive risultanze probatorie in atti, fondata in particolare sulla valutazione delle sottoscrizioni contestate, escludendo che l’alterazione e l’inautenticità fossero visivamente percepibili. Non è questa, tuttavia, l’unica ratio decidendi riscontrabile nella sentenza, dal momento che la sufficienza dell’indagine visiva è stata giustificata dalla circostanza, incontestata, che il L. aveva pieno potere di agire, anche disgiuntamente sul fondo d’investimento del quale era cointestatario, non avendo alcun bisogno di ricorrere all’apposizione della sottoscrizione (propria non di terzi) falsa sull’ordine di disinvestimento. Infine ciò che induce la Corte d’Appello ad escludere ogni ulteriore approfondimento istruttorio è l’argomento logico fondato sulla contraddittorietà tra i fatti allegati in altro giudizio rivolto direttamente dalla A. contro il nipote e quelli posti a base del presente giudizio proprio in ordine all’autenticità/inautenticità della sottoscrizione.

Non ha, pertanto, alcun fondamento il rilievo relativo al mancato rispetto della regola di giudizio nella responsabilità contrattuale in quanto la Corte d’Appello, sulla base delle tre rationes sopra evidenziate ha escluso l’esistenza del fatto (inautenticità sottoscrizione del L. sull’ordine di disinvestimento) posto a base dell’inadempimento contrattuale allegato. La valutazione dei fatti accertati e quella negativa sulle istanze istruttorie ulteriori sono del tutto insindacabili in sede di giudizio di legittimità, in quanto esaurientemente argomentare dal giudice del merito.

In conclusione, pur condividendosi in astratto la considerazione svolta nel primo motivo del ricorso, secondo la quale la diligenza destinata alla verifica dell’autenticità della sottoscrizione può avere un’intensità diversa se riferita ad un assegno bancario o ad un ordine d’investimento o disinvestimento, deve osservarsi che l’insussistenza dell’inadempimento della banca all’obbligo contrattuale di diligenza su di essa incombente non è fondato soltanto sull’esame visivo delle sottoscrizioni, peraltro svolto in concreto dalla Corte, ma sul convergente doppio rilievo della contraddittorietà delle allegazioni dei fatti in relazione ad altro giudizio e, soprattutto, sull’inutilità del ricorso alla firma apocrifa da parte di uno dei cointestatari dell’investimento Quest’ultima ratio non risulta censurata specificamente in alcun motivo.

Nel quarto motivo viene dedotta la violazione dell’art. 116 c.p.c., per avere la Corte d’Appello tratto dalla condotta difensiva della parte ricorrente in altro giudizio argomenti di prova contraria all’accoglimento della domanda. La valutazione di contraddittorietà formulata dalla Corte territoriale non è corretta perchè nel giudizio contro il L. non era rilevante l’apocrifia delle sottoscrizioni, da ritenersi invece centrale nel presente giudizio nel quale si deduce l’inadempimento del mandatario per non aver svolto le necessarie verifiche sull’autenticità della firma.

Nel quinto motivo viene dedotta la contraddittorietà della motivazione in ordine all’esclusione della responsabilità extracontrattuale per ritenuto difetto di prova. Il deficit probatorio, secondo la parte ricorrente, è stato dettato esclusivamente dall’ingiustificato rigetto delle istanze istruttorie formulate ed in particolare di quella relativa alla consulenza tecnica grafologica. Inoltre non è stato dato rilievo all’omesso adempimento da parte della banca all’ordine di esibizione su un documento rilevante da comparare.

Il quarto e il quinto motivo sono da ritenere inammissibili perchè non colpiscono la ratio decidendi relativa al potere di disporre dell’investimento da parte del L. e alla conseguente inutilità della firma apocrifa del cointestatario. Essi peraltro sono diretti a richiedere un inammissibile riesame e valutazione dei fatti e dei mezzi di prova alternativo a quella svolto con ampia ed esauriente motivazione dal giudice del merito.

Nel sesto motivo viene censurata la statuizione sulle spese processuali, sotto il profilo della violazione dell’art. 91 cod. proc. civ., in quanto estesa anche al promotore M. che era stato chiamato in garanzia dalla banca e non poteva ritenersi litisconsorte necessario tenuto conto che la Fondazione Morelli non aveva svolto domande nei suoi confronti. La censura è inammissibile per difetto di specificità dal momento che non è riprodotta nel motivo la domanda svolta dall’istituto bancario nei confronti del promotore nè essa può trarsi aliunde nel corpus del ricorso anche per relationem. La parte ricorrente ne dà un’interpretazione non esaminabile in concreto in mancanza dell’esatta formulazione della stessa. La statuizione sulle spese pertanto è conseguente all’integrazione del contraddittorio disposta dalla Corte d’Appello in virtù della ritenuta inscindibilità della domanda rivolta al terzo chiamato.

Al rigetto del ricorso consegue l’applicazione del principio della soccombenza.

PQM

 

Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a pagare in favore della parte controricorrente le spese processuali del presente giudizio da liquidarsi in Euro 8.000,00, per compensi; Euro 200,00, per esborsi oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 11 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2017

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