Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16312 del 12/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 12/07/2010, (ud. 27/05/2010, dep. 12/07/2010), n.16312

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TOSCANA 1,

presso lo studio dell’avvocato CERULLI IRELLI GIUSEPPE, rappresentato

e difeso dall’avvocato CAVALLUCCI EUGENIO, giusta mandato a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1739/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 22/12/2005 r.g.n. 1221/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/05/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI per delega PESSI ROBERTO;

udito l’Avvocato IRELLI CERULLI GIUSEPPE per delega CAVALLUCCI

EUGENIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Firenze, regolarmente notificato, P.F., assunto dalla societa’ Poste Italiane s.p.a. con contratto a tempo determinato dal 25 maggio al 24 agosto 2002 “per far fronte agli incrementi di attivita’ o esigenze produttive particolari e di carattere temporaneo, connesse alla gestione degli adempimenti ICI, che non possono essere soddisfatte con il personale in servizio”, rilevava la illegittimita’ del termine apposto al contratto in questione in quanto stipulato per un periodo di tempo superiore rispetto alla effettiva gestione dei menzionati adempimenti ICI. Chiedeva pertanto che, previa dichiarazione di illegittimita’ del termine apposto al predetto rapporto di lavoro, fosse dichiarata l’avvenuta trasformazione dello stesso in contratto a tempo indeterminato, con condanna della societa’ alla riassunzione in servizio ed alla corresponsione delle retribuzioni non corrisposte.

Il Tribunale adito rigettava la domanda.

Avverso tale sentenza proponeva appello il P. lamentandone la erroneita’ sotto diversi profili e chiedendo l’accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo del giudizio.

La Corte di Appello di Firenze, con sentenza in data 13.12.2005, in accoglimento del gravame, dichiarava la natura a tempo indeterminato del rapporto in questione, condannando la societa’ convenuta al ripristino del rapporto ed al pagamento in favore del ricorrente della retribuzione, con accessori, detratto l’aliunde perceptum.

In particolare la Corte territoriale rilevava che il contratto in questione, sebbene fornisse una circostanziata specificazione delle concrete ragioni poste a fondamento della stipulazione del predetto contratto a termine, era stato peraltro stipulato per un periodo superiore rispetto alla effettiva e concreta gestione degli adempimenti ICI, circostanza che rendeva insussistente il nesso causale richiesto dal D.Lgs. n. 368 del 2001 tra le esigenze dedotte e l’assunzione del lavoratore.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la societa’ Poste Italiane s.p.a. con due motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso il lavoratore intimato.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

Col primo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001 art. 1 (art. 360 c.p.c., n. 3); omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5).

Rileva in particolare che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto, in base ad una non corretta interpretazione della disposizione di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e ad una non corretta valutazione delle prove assunte, che nella fattispecie in esame mancasse la prova del nesso causale tra la disposta assunzione e le necessita’ aziendali, argomentando dalla circostanza che gli adempimenti ICI, posti a base della assunzione temporanea, si erano esauriti nel mese di giugno, mentre il relativo contratto a termine aveva una durata sino al mese di agosto.

Osserva la ricorrente che gli effetti riflessi di incremento del lavoro ordinario degli uffici postali, a causa del pagamento a fine giugno dei versamenti d’imposta, si erano prolungati per un cospicuo lasso di tempo, siccome emerso dalla compiuta istruttoria, di talche’ l’assunto della Corte territoriale si appalesava infondato in diritto e sorretto da motivazione contraddittoria ed insufficiente.

Col secondo motivo di gravame la ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5); violazione e falsa applicazione dell’art. 12 disp. gen., dell’art. 1419 c.c. e dell’art. 115 c.p.c.. (art. 360 c.p.c., n. 3).

In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva negato l’applicabilita’ nel caso di specie dell’art. 1419 c.c., comma 2, sotto il profilo che la essenzialita’ del termine non sarebbe risultata dalla volonta’ manifestata dalle parti nonche’ dalla natura e dall’oggetto del contratto, non dando in tal modo rilevanza alcuna ai fatti allegati dalla societa’ al fine di dimostrare l’essenzialita’ del termine in questione, con conseguente violazione del principio di cui all’art. 115 c.p.c. Il primo motivo del gravame non e’ fondato.

Deve premettersi che il D.Lgs. n. 368 del 2001, recante l’attuazione della Direttiva 1999/70 CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEP e dal CES, costituisce la nuova ed esclusiva fonte regolatrice del contratto di lavoro a tempo determinato, in sostituzione della L. n. 230 del 1962 e della successiva legislazione integrativa. Il preambolo della citata Direttiva 1999/70, premesso che con la risoluzione del 9 febbraio 1999 il Consiglio dell’Unione europea ha invitato le parti sociali a tutti i livelli a negoziare accordi per modernizzare l’organizzazione del lavoro, comprese forme flessibili di lavoro, al fine di rendere le imprese produttive e competitive e di realizzare il necessario equilibrio tra la flessibilita’ e la sicurezza, evidenzia che l’accordo quadro in questione stabilisce principi generali e requisiti minimi con l’obiettivo di migliorare la qualita’ del lavoro a tempo determinato garantendo l’applicazione del principio di non discriminazione, nonche’ di creare un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato. Per tale ragione, accogliendo la richiesta delle parti sociali stipulanti e su proposta della Commissione europea, il Consiglio a norma dell’art. 4 dell’accordo sulla politica sociale -ora inserito nel trattato istitutivo della Comunita’ europea – ha emanato la direttiva in questione, imponendo agli Stati membri di conformarsi ad essa, adottando tutte le prescrizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti (art. 2).

Il legislatore nazionale, nell’adempiere al suo obbligo comunitario, ha emanato il D.Lgs. n. 368 del 2001, il quale nel testo originario, vigente all’epoca del contratto ora in questione, all’art. 1, prevede, al comma 1, che e’ consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo e, al comma 2, che l’apposizione del termine e’ priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1.

E’ stata altresi’ prevista, contestualmente all’entrata in vigore del citato D.Lgs. (24 ottobre 2001), l’abrogazione della L. n. 230 del 1962, della L. n. 79 del 1983, art. 8 bis della L. n. 56 del 1987, art. 23 e di tutte le disposizioni di legge incompatibili (art. 11, comma 1).

Il quadro normativo che emerge e’, dunque, caratterizzato dall’abbandono del sistema rigido previsto dalla L. n. 230 del 1962 – che prevedeva la tipizzazione delle fattispecie legittimanti, sistema peraltro gia’ oggetto di ripensamento come si evince dalle disposizioni di cui alla L. n. 79 del 1983 e alla L. n. 56 del 1987, art. 23 – e dall’introduzione di un sistema articolato per clausole generali, in cui l’apposizione del termine e’ consentita a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.

Tale sistema, al fine di non cadere nella genericita’, impone al suo interno un fondamentale criterio di razionalizzazione costituito dal gia’ rilevato obbligo per il datore di lavoro di adottare l’atto scritto e di specificare in esso le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo adottate.

Devesi peraltro rilevare che il D.Lgs. n. 368 del 2001, abbandonando il precedente sistema di rigida tipicizzazione delle causali che consentono l’apposizione di un termine finale al rapporto di lavoro, in favore di un sistema ancorato alla indicazione di clausole generali cui ricondurre le singole situazioni legittimanti come individuate nel contratto, si e’ infatti posto il problema del possibile abuso insito nell’adozione di una tale tecnica.

Per evitare siffatto rischio di un uso indiscriminato dell’istituto, il legislatore ha imposto la trasparenza, la riconoscibilita’ e la verificabilita’ della causale assunta a giustificazione del termine, gia’ a partire dal momento della stipulazione del contratto di lavoro, attraverso la previsione dell’onere di specificazione, vale a dire di una indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti identificative essenziali, sia quanto al contento che con riguardo alla sua portata spazio – temporale e piu’ in generale circostanziale.

In altri termini, per le finalita’ indicate, tali ragioni giustificatrici devono essere sufficientemente particolareggiate, in maniera da rendere possibile la conoscenza dell’effettiva portata delle stesse (in relazione anche alla relativa estensione spaziale e temporale) e quindi il controllo di effettivita’ delle stesse.

Non e’ dubbio che e’ questo il significato del termine “specificate” usato dall’art. 1, 2 comma del D.Lgs., con riferimento alle predette ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, siccome del resto confermato dalla interpretazione della relativa disciplina anche alla luce della direttiva comunitaria a cui il decreto medesimo da attuazione.

Ritenuta pertanto la necessita’ di tale indicazione particolareggiata, osserva il Collegio che correttamente la Corte territoriale, dopo aver rilevato che il contratto in questione aveva avuto una decorrenza certamente ulteriore rispetto alla effettiva e concreta “gestione” degli adempimenti ICI, ha ritenuto la carenza di prova del nesso causale tra assunzione e necessita’ aziendale.

Ed in proposito ha rilevato, in maniera assolutamente coerente e logica, che sebbene fosse ragionevole e verosimile ritenere che i riflessi di incremento del lavoro ordinario degli uffici postali, a causa del pagamento a fine giugno dei versamenti d’imposta, si fossero prolungati – siccome rilevato dalla societa’ datoriale – per alcune settimane successivamente alla scadenza, doveva peraltro escludersi, e comunque la circostanza non era suffragata da alcun riscontro probatorio, che tali effetti riflessi, in termini di “maggior traffico di lavoro”, si fossero protratti sino a tutto il mese di agosto, ossia per un lasso di tempo protrattosi per circa due mesi successivamente al compimento dei suddetti adempimenti ICI, e comunque per oltre un mese successivamente al periodo di “emergenza” ICI che poteva ritenersi esaurito nel periodo di alcune settimane dopo la scadenza dei pagamenti ovvero tutt’al piu’ entro il mese di luglio.

In ordine alla rilevata non corretta interpretazione da parte della Corte territoriale delle risultanze probatorie, dalle quali sarebbe per contro emersa la perdurante sussistenza della causale dei contratti in questione, il Collegio rileva innanzi tutto la genericita’ della deduzione difensiva, senza alcun riferimento agli specifici elementi probatori ed alle specifiche deposizioni testimoniali di cui si assume l’erronea interpretazione.

A cio’ deve aggiungersi che, per consolidato indirizzo giurisprudenziale, la valutazione delle risultanze probatorie involge apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale sul punto non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (Cass. sez. lav., 20.3.2008 n. 7600; Cass. sez. lav., 8.3.2007 n. 5286; Cass. sez. lav., 15.4.2004 n. 7201; Cass. sez. lav., 7.8.2003 n. 11933; Cass. sez. lav., 9.4.2001 n. 5231).

E pertanto, dal momento che il giudice di merito ha illustrato le ragioni che rendevano pienamente contezza delle ragioni del proprio convincimento e dell’iter motivazionale attraverso cui lo stesso era pervenuto alla valutazione delle risultanze probatorie poste a fondamento della propria decisione (facendo espresso riferimento agli esiti della prova testimoniale assunta), resta escluso il controllo sollecitato in questa sede di legittimita’. Il vizio non puo’ invero consistere nella difformita’ dell’apprezzamento dei fatti e delle prove rispetto a quello dato dal giudice di merito, cui spetta in via esclusiva individuare le fonti del suo convincimento e a tal fine valutare le prove e controllarne la concludenza.

In conclusione, il motivo si risolve in parte qua in un’inammissibile istanza di riesame della valutazione del giudice d’appello, fondata su tesi contrapposta al convincimento da esso espresso, e pertanto non puo’ trovare ingresso (Cass. sez. lav., 28.1.2008 n. 1759).

Il detto motivo non puo’ pertanto trovare accoglimento.

Del pari infondato e’ il secondo motivo di gravame concernente la mancata valutazione della essenzialita’ del termine.

Sul punto osserva il Collegio, premesso che la essenzialita’ di tale termine deve essere comune ad entrambi i contraenti, che la valutazione in ordine alla circostanza se i contraenti avrebbero o no concluso il contratto senza la parte affetta da nullita’ costituisce una indagine di fatto che e’ rimessa al giudice del merito ed e’ insindacabile in sede di legittimita’, se correttamente motivata. E nel caso di specie la Corte territoriale, riportandosi ai principi giurisprudenziali secondo cui l’essenzialita’ del termine deve essere comune ad entrambi i contraenti e deve risultare in maniera inequivoca dal contratto, non potendo essere desunta da formule di stile, ha rilevato come fosse ben arduo rinvenire nel lavoratore un peculiare interesse alla clausola in questione, e che la formulazione di tale clausola nel contratto in parola evidenziava la natura della stessa di mera clausola di stile all’interno di un contratto predisposto interamente dal datore di lavoro e sottoscritto per accettazione (adesione) dall’altro contraente.

Alla stregua di quanto sopra, avendo la Corte territoriale dato piena ed esauriente contezza della argomentazioni poste a fondamento della propria determinazione, il suddetto motivo di gravame non puo’ trovare accoglimento.

Il ricorso va pertanto rigettato ed a tale pronuncia segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 32,00 oltre Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 27 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2010

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