Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16311 del 28/06/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 16311 Anno 2013
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: COSENTINO ANTONELLO

ORDINANZA
sul ricorso 21626-2011 proposto da:
MORGESE CATERINA MRGCRN58T57A669Q, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA CALABRIA 56, presso lo studio
dell’avvocato COVIELLO PIETRO MARIO, che la rappresenta e
difende, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE 06363391001 in persona del
Direttore Centrale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope
legis;

– controrkorrente –

Data pubblicazione: 28/06/2013

avverso la sentenza n. 29/13/2011 della Commissione Tributaria
Regionale di BARI del 25.11.2010, depositata il 13/05/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
09/05/2013 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLO

udito per la ricorrente l’Avvocato Pietro Mario Coviello che si riporta
agli scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. TOMMASO
BASILE che si riporta alla relazione scritta.
rilevato che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in
cancelleria la relazione di seguito integralmente trascritta:
<< La sig.ra Caterina Morgese ricorre contro l'Agenzia delle entrate per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale della Puglia, riformando la decisione di primo grado, ha negato il diritto della contribuente - già esercente di un'attività di commercio di biancheria - al rimborso del credito IVA esposto nella dichiarazione annuale per il 1999, anno di cessazione dell'attività imprenditoriale, e, conseguentemente, ha rigettato il ricorso della contribuente avverso la cartella esattoriale con la quale l'Ufficio, avendo erogato detto rimborso, ne pretendeva la restituzione. La ricorrente, con due motivi che possono essere trattati congiuntamente, lamenta la violazione e falsa interpretazione degli articoli 30, secondo comma, e 38 bis DPR 633/72, degli articoli 21 e 2 D.Lgs. 546/92, dell'articolo 2946 cc, nonché il vizio di insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia; in sostanza la difesa della contribuente censura la sentenza gravata per aver ritenuto che anche nel caso di cessazione dell'attività il diritto del contribuente al rimborso del credito IVA (non richiesto attraverso la presentazione del modello VR) soggiaccia al termine decadenziale di cui all'articolo 21 D.Lgs. 546/92. COSENTINO; L'Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso, eccependo l'inammissibilità del ricorso. Preliminarmente appare da disattendere l'eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla contro ricorrente, in quanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa erariale, la contribuente svolge una censura in diritto e non chiede alcun diverso apprezzamento dei fatti di causa; questi ultimi, peraltro, sono del tutto pacifici, giacché nello stesso controricorso dell'Agenzia delle entrate, a pag. 1, si dà atto che il credito IVA di cui si discute fu esposto nella "dichiarazione dei redditi presentata per l'anno 1999 in cui (la contribuente, n.d.r.) ha cessato l'esercizio dell'attività", così come si dà atto, a pag. 5, che la contribuente compilò il quadro RX del Modello Unico 2000. Ric. 2011 n. 21626 sez. MT - ud. 09-05-2013 -2- pf Nel merito il ricorso va accolto, in quanto il persuasivo indirizzo espresso da questa Corte con la n. sentenza 9794/10 ("In tema di IVA, la richiesta di rimborso relativa all'eccedenza d'imposta, risultata alla cessazione dell'attività, essendo regolata dal comma 2 dell'art. 30 del d.P.R. n. 633 del 1972, è soggetta al termine di prescrizione ordinario decennale e non a quello biennale di cui all'art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992, applicabile in via sussidiaria e residuale, in mancanza di disposizione specifiche; proprio perché l'attività non prosegue, non pur contrastato dalla successiva difforme sentenza n. 18920/11 - è stato di recente riaffermato con la sentenza 23580/12, che richiama le sentenze 13920/11 e 14070/12 ed alla quale si ritiene di prestare adesione. Si propone quindi l'accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza gravata e, non apparendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la decisione di merito ex art. 384 cpc di annullamento della cartella impugnata.>>

che l’Agenzia delle entrate è costituita con controricorso;
che la relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti;
che non sono state depositate memorie difensive.
Considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio,
condivide la proposta del relatore.
Che quindi, riaffermati i principi sopra richiamati, il ricorso va accolto, la
sentenza gravata va cassata e – non essendo necessari ulteriori accertamenti di
fatto – la causa va decisa nel merito ai sensi dell’articolo 384 c.p.c. con
l’annullamento dell’impugnata cartella di pagamento.
Le spese si compensano per le fasi di merito e seguono la soccombenza per il
giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza gravata e, decidendo nel
merito, annulla l’impugnata cartella di pagamento.
Compensa le spese di lite per le fasi di merito e condanna l’Agenzia delle
entrate a rifondere al ricorrente quelle per il giudizio di legittimità, che liquida
in € 700 per onorari, oltre € 100 per esborsi.
Così deciso in Roma il 9 maggio 2013.

sarebbe infatti possibile portare l’eccedenza in detrazione l’anno successivo.”) –

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