Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16311 del 26/07/2011

Cassazione civile sez. II, 26/07/2011, (ud. 08/06/2011, dep. 26/07/2011), n.16311

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31441/2005 proposto da:

ERG PETROLI SPA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in POMA, VIALE GORIZIA 25-C,

presso lo studio dell’avvocato RAPTUS Rodolfo, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato FALINI GIORGIO;

– ricorrente –

contro

P.L., T.M., D.A. e per esso gli eredi

D.D., DA.DE., C.B., P.P.

in proprio e nella qualità di erede di D.A., P.A.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE G. MAZZINI 11, presso lo

studio dell’avvocato TOBIA Gianfranco, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato BOSSI MARCELLO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1380/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 21/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

08/06/2011 dal Consigliere Dotti. LUIGI PICCIALLI;

udito l’Avvocato FALINI Giorgio, difensore del ricorrente che ha

chiesto accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato TOBIA Gianfranco, difensore dei resistenti che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per i rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 30.9.97 la società Erg Petroli s.p.a., proprietaria in (OMISSIS) di un terreno destinato a impianto (F. 6, mapp. 152), che assumeva delimitato dalla linea di mezzeria di un fossato, chiese regolarsi in tal senso il confine con i vicini fondi, appartenenti ad D.A. e P.P. (mapp. 169 sub 1 e 2), T.M. e P.L. (mapp. 170 sub 1 e 2), C.B. e P.A. (mapp. 171), con i quali erano insorte controversie, citandoli al giudizio del Pretore di Chieri, subordinatamente proponendo domanda di usucapione.

Costituitisi i convenuti, chiesero il rigetto della domanda, richiamando le risultanze, contrarie alla tesi dell’attrice, di un giudizio possessorio precedentemente svoltosi con la medesima.

All’esito dell’istruttoria orale e documentale e della disposta consulenza tecnica, il Tribunale di Torino, sez. dist. di Moncalieri, cui la controversia era transitata, con sentenza del 10.1.03 regolava il confine secondo l’elaborato peritale e rigettava la domanda di usucapione.

Tale decisione veniva confermata,rigettandosi l’appello della soccombente, con il carico delle spese, con sentenza 10.11.04-21.9.05 della Corte di Torino, che ribadiva la maggiore attendibilità, rispetto alla diversa ipotesi prospettata nel supplemento di indagine, dell’originaria individuazione del confine, peraltro conforme a quella acquisita in sede possessoria, nonchè l’insufficienza delle risultanze testimoniali (riferenti della pulizia della metà del fossato da parte dell’appellante attrice, pur essendo risultato provato che per tale manutenzione era stato costituito tra tutti i proprietari un consorzio) a comprovare un protratto possesso esclusivo sulla striscia di terreno in contestazione.

Contro la suddetta sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi,cui hanno resistito gli intimati con controricorso, costituendosi, in luogo del deceduto D. A., gli eredi D. e Da.De.).

Sono state infine depositate memorie illustrative da ambo le parti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si lamenta che la Corte d’Appello, in violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 116 c.p.c., e con motivazione erronea,insufficiente e contraddittoria, non avrebbe compiuto un esame completo di tutte le deduzioni dell’appellante, segnatamente di quelle con le quali si era evidenziato la non rispondenza dell’originario parere del c.t.u. poi recepito dal giudice, alle risultanze dei titoli e catastali, con particolare riguardo all’individuazione dei punti fissi di riferimento, che sarebbe stata frutto di personali congetture, non verificate in contraddittorio, mentre una serie di altri obiettivi elementi, anche testimoniali e presuntivi, connessi alla situazione dei luoghi, pur nell’incertezza delle diverse conclusioni fornite dal c.t.u. all’esito del supplemento di indagini, avrebbero dovuto indurre a ritenere che il confine fosse segnato dalla mezzeria del fossato.

Con il secondo motivo, deducente, violazione e falsa applicazione dell’art. 950 c.c. e art. 116 c.p.c., e motivazione erronea ed insufficiente, vengono esposte censure del tutto analoghe, se non ripetitive, rispetto a quelle contenute nel precedente, denunciandosi malgoverno dell’art. 950 c.c., per non essersi i giudici di merito attenuti alla regola secondo cui, in difetto di precise risultanze dei titoli e nell’incertezza, risultata dalle “perizie integrative”, derivante dall'”assenza materiale di punti di individuazione”, il confine avrebbe dovuto essere ricostruito in base a tutti gli altri obiettivi elementi emersi dall’indagine ed evidenziati dall’appellante, che sarebbero stati convergenti nell’individuare nella mezzeria del fossato il “fondamentale punto di riferimento”.

I due motivi, per la rilevata sostanziale identità delle censure esposte, vanno esaminati congiuntamente e respinti, risolvendosi in una serie di doglianze di merito, non evidenzianti alcuna violazione delle norme processuali e sostanziali citate, nè omissioni o illogicità della motivazione, che viene attaccata soltanto perchè i giudici di merito non hanno aderito alla tesi dell’appellante, che peraltro neppure all’esito della relazione suppletiva depositata dal c.t.u., aveva trovato riscontro.

La corte di merito ha adeguatamente motivato il proprio giudizio, confermativo di quello del primo giudice, che, superati i dubbi che avevano determinato l’espletamento del supplemento di indagini, aveva recepito le originarie conclusioni dell’ausiliare, a loro volta confermative di quelle di una precedente consulenza espletata in sede possessoria.

Le ragioni del convincimento dei giudici di appello risultano chiare e conformi al dettato dell’art. 950 c.c., che autorizza, in mancanza di precise indicazioni desumibili dai titoli, il ricorso ad “ogni mezzo di prova” e, solo quale extrema ratio, alle risultanze delle “mappe catastali” (tra le altre, v. Cass. nn. 27251/09, 8814/03).

A tali canoni direttivi si sono nella specie attenuti i giudici di merito, spiegando chiaramente le ragioni di ordine tecnico – topografico, riconducibili al novero di quelle per le quali il secondo comma del sopra citato articolo conferisce ampio potere valutativo, per le quali hanno ritenuto più attendibile, per l’obiettività dei punti di riferimento assunti, la soluzione adottata negli originari elaborati, conseguenti ad indagini in loco sulla cui regolarità procedurale non risultano essere stati formulati tempestivi rilievi, rispetto a quella, sostanzialmente equitativa, ma sfornita di obiettivi riscontri tecnici, suggerita all’esito del supplemento di indagini.

L’adottato modulo argomentativo, oltre che rispettoso dei canoni normativi citati,in un contesto nel quale anche le risultanze catastali erano incerte e quelle della prova orale controverse, risulta del tutto esente da vizi logici testualmente rilevabili, e non può essere censurato per violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c..

Al riguardo è sufficiente richiamare e ribadire il principio più volte enunciato da questa Corte, secondo cui il giudice, nel motivare la propria decisione, è tenuto soltanto ad esprimere in termini concisi, purchè comprensibili e giuridicamente corretti, gli elementi di fatto e di diritto posti a base della stessa e dunque anche le ragioni del “prudente apprezzamento” del materiale probatorio acquisito,senza essere anche tenuto ad esaminare espressamente tutte le argomentazioni difensive esposte dalle parti,che risultino,anche per implicito, incompatibili – e tanto deve ritenersi nel caso di specie, con riferimento a quelle esposte – con le ragioni della decisione adottata (v., tra le altre, Cass. nn. 24542/09, 22801/09, 10569/01).

La reiezione dei due motivi, in definitiva, discende dalla considerazione che con gli stessi, enza evidenziare violazioni di legge, insufficienze o illogicità di sorta, si tenta di accreditare una diversa valutazione delle risultanze istruttorie, proponendo un raffronto con quella adottata dai giudizi, operazione non consentita nella presente sede di legittimità, nella quale il compito di questa Corte è limitato al controllo della tenuta logico-giuridica della soluzione adottata dal giudice di merito in sè considerata, a prescindere dalla plausibilità o meno di quelle alternative sostenute dalle parti.

Il terzo motivo, deducente violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e difetto di motivazione, perchè non sarebbe stata acquisita “la prova della proprietà della odierna resistente, nella consistenza affermata dalla Corte di Appello”, è manifestamente infondato.

Va premesso che nel giudizio di cui all’art. 950 c.c., presupponente il ed “conflitto di fondi”, per l’obiettiva incertezza del confine, e non “di titoli” (la cui sussistenza,rilevante sui piano della legittimazione,nel caso di specie non è stata mai, dall’una o dall’altra parte, contestata nei gradi di meritoria prova della effettiva consistenza spaziale della proprietà di una parte in relazione a quella dell’altra, non rappresenta un punto di partenza dell’azione, bensì proprio il risultato cui la stessa tende;

consegue da quanto precede che, soltanto dopo l’espletamento dell’indagine di merito, condotta secondo i dettami normativi in precedenza menzionati e nella specie osservati, tale specifica prova può ritenersi acquisibile.

Con il quarto motivo vengono dedotte violazione e falsa applicazione degli artt. 1158, 1144 c.c., e motivazione erronea, insufficiente e contraddittoria, censurandosi la conferma del mancato accoglimento della subordinata domanda di usucapione, per omessa indicazione delle ragioni fondanti tale decisione, per malgoverno delle risultanze di prova e mancato esame delle specifiche doglianze esposte nell’atto di appello, segnatamente per avere ascritto a tolleranza, e non ad esercizio di possesso esclusivo, il compimento di attività di tipo dominicale esercitate dalla odierna ricorrente, in particolare la pulitura del fossato, che, essendo posto oltre il muro di recinzione, ove non anche appartenente alla medesima, non avrebbe trovato alcuna plausibile spiegazione.

Anche tale mezzo d’impugnazione è privo di fondamento, risolvendosi nella deduzione di censure di mero fatto, non evidenzianti violazione delle citate norme civilistiche, nè carenze o illogicità della motivazione, fondata su ricostruzione dei fatti adeguatamente argomentata.

Richiamato il principio in precedenza ribadito, circa la non necessità da parte del giudice di merito di rispondere a tutte le argomentazioni esposte dalle parti a sostegno delle proprie domande o eccezion, deve rilevarsi che nel caso di specie i giudici di appello hanno compiutamente esaminato nel loro complesso, motivatamente disattendendole, le ragioni dedotte a sostegno del secondo motivo di appello, relativo alla reiezione di tale subordinata domanda.

E’ stato, in particolare, evidenziato come la dedotta circostanza, che la società Erg di fatto si prendesse cura di provvedere alla pulitura della riva di fossato antistante la sua proprietà, non fosse significativa di esercizio di un possesso esclusivo, risultando questo incompatibile con la costituzione di un consorzio, i cui regolari interventi manutentivi finalizzati ad assicurare il regolare deflusso delle acque e, tra l’altro, consistiti anche nel piantamento di alberi di alto fusto segnatamente sulla parte in questione, non avrebbero potuto che interessare l’intero alveo ed entrambe le sponde. Tale ragionamento risulta del tutto convincente e logico, prospettando una ricostruzione dei fatti, nell’ambito della quale le attività di pulizia, compiute anche dalla società odierna ricorrente, sulla sponda posta nelle immediate vicinanze del muro recingente la sua proprietà, avrebbero potuto al più essere significative del perseguimento di esigenze di più accurata igiene e assidua manutenzione dei luoghi, in ragione di interessi di fatto derivanti dalla prossimità alla suddetta proprietà, come tali tollerate, e non anche denotanti l’animus rem sibi habendi, compatibile con il contemporaneo esercizio dei più radicali interventi manutentivi compiuti dal consorzio per conto della collettività dei proprietari frontisti.

Il motivo va pertanto respinto.

Non miglior sorte, infine, merita il sesto ed ultimo mezzo d’impugnazione, con il quale si lamenta violazione dell’art. 91 c.p.c., quale conseguenza dell’asseritamente ingiusto rigetto dell’appello, avendo i giudici di appello correttamente applicato al riguardo il principio della soccombenza (nella specie totale per l’appellante attrice).

Il ricorso va conclusivamente respinto, con conseguente condanna della soccombente alle spese anche del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrente società al rimborso, in favore dei resistenti, della spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2011

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