Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16311 del 12/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 12/07/2010, (ud. 27/05/2010, dep. 12/07/2010), n.16311

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TOSI PAOLO, giusta mandato a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

C.B., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUCREZIO

CARO 63, presso lo studio dell’avvocato ZOPPI GIOVANNI E PESELLI

ANTONIO, rappresentata e difesa dall’avvocato RIMMAUDO GIOVANNI,

giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 869/2005 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 20/12/2005 r.g.n. 86/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/05/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Massa, depositato il 14.3.2003, C.B., assunta dalla societa’ Poste Italiane s.p.a. con contratto a tempo determinato dal 2.5.2002 al 29.6.2002, ai sensi dell’all. 25 del ccnl 11.1.2001, per “per esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un piu’ funzionale riposizionamento di risorse sul territorio anche derivanti da innovazioni tecnologiche, prodotti o servizi”, rilevava la illegittimita’ dell’apposizione del termine al contratto in questione di talche’, essendo stata l’assunzione illegittima, il contratto si era convenuto in contratto a tempo indeterminato. Chiedeva pertanto che, previa dichiarazione di illegittimita’ del termine apposto al predetto rapporto di lavoro, fosse dichiarata l’avvenuta trasformazione dello stesso in contratto a tempo indeterminato, con condanna della societa’ al risarcimento del danno.

Con sentenza depositata in data 4.2.2002 il Tribunale adito accoglieva la domanda e dichiarava la natura a tempo indeterminato del rapporto in questione condannando la societa’ convenuta al ripristino del rapporto ed al pagamento in favore della ricorrente della retribuzione, con accessori.

Avverso tale sentenza proponeva appello la societa’ Poste Italiane s.p.a lamentandone la erroneita’ sotto diversi profili e chiedendo il rigetto delle domande proposte da controparte con il ricorso introduttivo.

La Corte di Appello di Genova, con sentenza in data 2.12.2005, rigettava il gravame.

In particolare la Corte territoriale rilevava che il contratto in questione, stipulato per esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, non conteneva alcuna indicazione in ordine alla effettiva esistenza di siffatte esigenze concretamente riferibili alla assunzione operata.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la Poste Italiane s.p.a con tre motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso la lavoratrice intimata.

La societa’ ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Col primo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11 ed omessa pronuncia in ordine ad un punto decisivo della controversia.

In particolare la ricorrente rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva omesso di esaminare la questione relativa alla disciplina applicabile al contratto in questione, posto che all’epoca della stipula della stesso (maggio 2002) la persistente efficacia delle causali di assunzione a termine di origine contrattuale, ed in particolare quella contemplata dall’art. 25 del CCNL 11.1.2001, era venuta meno essendo scaduto il predetto contratto collettivo il 31.12.2001.

Col secondo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 99, 112, 115, 414, 420 c.p.c., e art. 437 c.p.c., comma 2; L. n. 230 del 1962, art. 3), nonche’ omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

In particolare osserva che la Corte territoriale, nell’evidenziare che la societa’ datoriale non aveva dimostrato la obiettiva esistenza delle condizioni che giustificavano la stipulazione del contratto a termine e cioe’ la sussistenza di un collegamento funzionale tra l’assunzione della lavoratrice ed il processo di riorganizzazione e di riallocazione delle risorse di cui all’art. 25 del contratto collettivo del 2001, aveva posto a fondamento della propria decisione fatti e profili giuridici non dedotti nel ricorso introduttivo del giudizio, sostituendo cosi’ la causa petendi con altra basata su fatti diversi da quelli ritualmente affermati.

Col terzo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione alla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23; violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e segg. (art. 360 c.p.c., n. 3), nonche’ contraddittoria ed omessa pronuncia in ordine ad un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5).

In particolare rileva che la Corte territoriale aveva ritenuto l’illegittimita’ del contratto in questione sotto il profilo che lo stesso non conteneva alcuna concreta indicazione delle ragioni di stipulazione del termine, sottese alla previsione, astratta e programmatica, dell’accordo collettivo; in tal modo incorrendo in un evidente vizio di violazione e falsa applicazione della normativa legale (L. n. 56 del 1997, art. 23), avuto riguardo alla pienezza della delega conferita dalla legge predetta, ed alla autonomia delle parti sociali in ordine alla individuazione di ipotesi ulteriori rispetto a quelle legislativamente previste.

Il ricorso non e’ fondato.

Ed invero, in relazione al primo motivo di gravame, osserva il Collegio che se pur corretto e’ il rilievo che la Corte territoriale aveva omesso di esaminare la questione relativa alla disciplina applicabile al contratto in questione, avuto riguardo alla circostanza che all’epoca della stipula della stesso, e segnatamente nel maggio 2002, era venuta meno la persistente efficacia delle causali di assunzione a termine di origine contrattuale, ed in particolare quella contemplata dall’art. 25 del CCNL 11.1.2001, essendo scaduto il predetto contratto collettivo il 31.12.2001, tuttavia tale rilievo non appare idoneo ad inficiare la correttezza delle conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito.

Rileva il Collegio che il D.Lgs. n. 368 del 2001, recante l’attuazione della Direttiva 1999/70 CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEP e dal CES, e chiaramente applicabile alla fattispecie in esame avendo la stessa societa’ ricorrente riconosciuto che all’atto della stipula del contratto individuale di lavoro era cessata l’efficacia del regime transitorio del CCNL 11.1.2001, costituisce la nuova ed esclusiva fonte regolatrice del contratto di lavoro a tempo determinato, in sostituzione della L. n. 230 del 1962 e della successiva legislazione integrativa. Il preambolo della citata Direttiva 1999/70, premesso che con la risoluzione del 9 febbraio 1999 il Consiglio dell’Unione europea ha invitato le parti sociali a tutti i livelli a negoziare accordi per modernizzare l’organizzazione del lavoro, comprese forme flessibili di lavoro, al fine di rendere le imprese produttive e competitive e di realizzare il necessario equilibrio tra la flessibilita’ e la sicurezza, evidenzia che l’accordo quadro in questione stabilisce principi generali e requisiti minimi con l’obiettivo di migliorare la qualita’ del lavoro a tempo determinato garantendo l’applicazione del principio di non discriminazione, nonche’ di creare un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato. Per tale ragione, accogliendo la richiesta delle parti sociali stipulanti e su proposta della Commissione europea, il Consiglio a norma dell’art. 4 dell’accordo sulla politica sociale – ora inserito nel trattato istitutivo della Comunita’ europea – ha emanato la direttiva in questione, imponendo agli Stati membri di conformarsi ad essa, adottando tutte le prescrizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti (art. 2).

Il legislatore nazionale, nell’adempiere al suo obbligo comunitario, ha emanato il D.Lgs. n. 368 del 2001, il quale nel testo originario, vigente all’epoca del contratto ora in questione, all’art. 1, prevede, al comma 1, che e’ consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo e, al comma 2, che l’apposizione del termine e’ priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1.

E stata altresi’ prevista, contestualmente all’entrata in vigore del citato D.Lgs. (24 ottobre 2001), l’abrogazione della L. n. 230 del 1962, della L. n. 79 del 1983, art. 8 bis della L. n. 56 del 1987, art. 23 e di tutte le disposizioni di legge incompatibili (art. 11, comma 1).

Il quadro normativo che emerge e’, dunque, caratterizzato dall’abbandono del sistema rigido dettato dalla L. n. 230 del 1962 – che prevedeva la tipizzazione delle fattispecie legittimanti, sistema peraltro gia’ oggetto di ripensamento come si evince dalle disposizioni di cui alla L. n. 79 del 1983 e alla L. n. 56 del 1987, art. 23 – e dall’introduzione di un sistema articolato per clausole generali, in cui l’apposizione del termine e’ consentita a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.

Tale sistema, al fine di non cadere nella genericita’, impone al suo interno un fondamentale criterio di razionalizzazione costituito dal gia’ rilevato obbligo per il datore di lavoro di adottare l’atto scritto e di specificare in esso le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo adottate.

Infatti il decreto legislativo n. 368 del 2001, nell’abbandonare il precedente sistema di rigida tipizzazione delle causali di apposizione del termine, si e’ posto il problema del possibile abuso insito nell’adozione di una tale tecnica.

Per evitare siffatto rischio di un uso indiscriminato dell’istituto, il legislatore ha imposto la trasparenza, la riconoscibilita’ e la verificabilita’ della causale assunta a giustificazione del termine, gia’ a partire dal momento della stipulazione del contratto di lavoro, attraverso la previsione dell’onere di specificazione, vale a dire di una indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti identificative essenziali, sia quanto al contento che con riguardo alla sua portata spazio – temporale e piu’ in generale circostanziale.

In altri termini, per le finalita’ indicate, tali ragioni giustificatrici devono essere sufficientemente particolareggiate, in maniera da rendere possibile la conoscenza dell’effettiva portata delle stesse (in relazione anche alla relativa estensione spaziale e temporale) e quindi il controllo di effettivita’ delle stesse.

Non e’ dubbio che e’ questo il significato del termine “specificate” usato dall’art. 1, 2 comma del decreto legislativo, con riferimento alle predette ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, siccome del resto confermato dalla interpretazione della relativa disciplina anche alla luce della direttiva comunitaria a cui il decreto medesimo da attuazione.

Orbene, nella fattispecie in esame e’ pacifico, in punto di fatto, siccome correttamente e compiutamente evidenziato dalla Corte territoriale nell’impugnata sentenza, che non sono state ne’ dedotte ne’ provate le circostanze – individuate nell’esistenza in atto di un processo di ristrutturazione o rimodulazione degli assetti occupazionali nell’ufficio cui la lavoratrice era addetta – che hanno determinato e giustificato l’apposizione di un termine finale ai rapporto di lavoro in questione.

Deve ritenersi pertanto, alla stregua di quanto sopra, che la dedotta applicabilita’ del D.Lgs. n. 368 del 2001, collegata all’accertamento di fatto, di cui si e’ detto, concernente la mancata determinazione delle ragioni giustificative dell’apposizione del termine, comporta comunque il rigetto del ricorso.

A tal fine deve evidenziarsi che non si ravvisa alcuna violazione, siccome eccepito con il secondo motivo di gravame, dell’ari 112 c.p.c. sotto il profilo che la Corte di merito avrebbe posto a fondamento della propria decisione fatti e profili giuridici non dedotti nel ricorso introduttivo del giudizio; ed invero, per come evidenziato nell’impugnata sentenza se pur con riferimento alle previsioni di cui all’art. 25 del contratto collettivo dell’11.1.2001, la ricorrente aveva specificamente contestato che presso l’ufficio cui era addetta fosse in atto un processo di ristrutturazione o rimodulazione degli assetti occupazionali, e la societa’ datoriale non aveva dedotto, e tanto meno provato, l’esistenza delle circostanze che giustificavano l’apposizione del termine.

Per le considerazioni suddette, in esse assorbiti i rilievi di cui al terzo motivo di gravame concernenti la dedotta violazione della normativa di cui alla L. n. 56 del 1997, art. 23 (in relazione alla pienezza della delega conferita dalla legge predetta ed alla autonomia delle parti sociali in ordine alla individuazione di ipotesi ulteriori rispetto a quelle legislativamente previste), trattandosi di norma non applicabile nella fattispecie in esame, il proposto gravame non puo’ trovare accoglimento.

A tale pronuncia segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 12,00 oltre Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 27 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2010

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