Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16310 del 12/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 12/07/2010, (ud. 26/05/2010, dep. 12/07/2010), n.16310

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Z.M.P., gia’ elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAN

DAMASO 15, presso lo studio dell’avvocato AUGUSTO VINCENZO, che la

rappresenta e difende, giusta mandato a margine del ricorso e da

ultimo domiciliata d’ufficio presso la CANCELLERIA DELLA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati FABIANI

GIUSEPPE, TADRIS PATRIZIA, giusta mandato in calce alla copia

notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 37/2007 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 05/02/2007 r.g.n. 260/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2010 dal Consigliere Dott. ULPIANO MORCAVALLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 25 novembre 2004 il Tribunale di Bari, in funzione di giudice del lavoro, respingeva l’opposizione proposta dall’INPS avverso il decreto con cui era stato ingiunto il pagamento in favore di Z.M.P., dipendente della societa’ CIPAS s.r.l. di (OMISSIS), di somme inerenti all’indennita’ di cassa integrazione ordinaria relativamente ai mesi di ottobre, novembre e dicembre 2001, oltre interessi e spese legali. In particolare, il Tribunale disattendeva la tesi dell’Istituto secondo cui il pagamento diretto dell’integrazione salariale era dovuto solo nei casi di cassa integrazione speciale, e non in quelli di integrazione ordinaria come quello in esame, nei quali era necessaria una specifica istanza dei lavoratori interessati.

2. Questa decisione veniva parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Bari, che, con sentenza del 5 febbraio 2007, nel confermare la debenza del pagamento ingiunto (con la precisazione che gli interessi decorrevano dalla data di ammissione della datrice di lavoro alla cassa integrazione), compensava fra le parti le spese del giudizio di opposizione, come anche quelle del grado d’appello, in ragione delle obiettive difficolta’ incontrate dall’Istituto nella liquidazione di somme richieste contemporaneamente, mediante ricorsi per ingiunzione non preceduti da preventive richieste, da numerosi dipendenti della stessa societa’.

3. Di questa sentenza la lavoratrice domanda la cassazione deducendo sei motivi di impugnazione. L’Istituto ha depositato procura ai difensori.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso si articola in sei motivi.

1.1. Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. Si lamenta che la Corte territoriale abbia operato la compensazione delle spese di giudizio in ragione di una asserita difficolta’ dell’INPS – nella individuazione degli aventi diritto e nella conseguente liquidazione dell’integrazione salariale – che l’Istituto non aveva minimanente dedotto ne’ prospettato.

1.2. Il secondo motivo denuncia vizio di motivazione in ordine alla medesima ragione addotta per la disposta compensazione delle spese.

Si deduce che nel provvedimento di ammissione alla c.i.g. l’Istituto aveva esattamente individuato i lavoratori aventi diritto all’integrazione, indicando per ciascuno mensilita’ di intervento e importi dovuti, si’ che non poteva ravvisarsi alcuna difficolta’ operativa idonea a giustificare la condotta inadempiente dell’Istituto e, quindi, la compensazione delle spese del giudizio.

1.3. Anche il terzo motivo denuncia vizio di motivazione, lamentandosi che la sentenza impugnata abbia, in maniera contraddittoria, fondato la compensazione delle spese sulla mancanza di istanze pregiudiziali dei lavoratori, avendo invece escluso — con il rigetto dell’opposizione dell’INPS – la necessita’ di tali istanze ai fini del riconoscimento del diritto, in quanto derivante – secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale -esclusivamente dal provvedimento di ammissione alla c.i.g..

1.4. Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. e vizio di motivazione. Si lamenta che la sentenza impugnato abbia pronunciato sulla decorrenza degli interessi legali – dovuti sugli importi di integrazione salariale -, fissandone la decorrenza alla data del provvedimento di ammissione alla c.i.g., in assenza di alcuna domanda svolta al riguardo dall’Istituto e abbia considerato, conseguentemente, tale statuizione ai fini della operata compensazione delle spese.

1.5. La violazione dell’art. 112 c.p.c. e’ altresi’ denunciata con il quinto motivo, sostenendosi che la compensazione delle spese di primo grado sia stata disposta in assenza di specifico gravame dell’INPS riguardo al regolamento delle spese e che il rigetto integrale, nel merito, dell’appello proposto dall’Istituto non giustificava alcuna compensazione delle spese di secondo grado.

1.6. Il sesto motivo denuncia violazione dell’art. 91 c.p.c. e segg.

e vizio di motivazione. Si ribadisce che l’esito del giudizio di primo grado e di quello di appello non poteva che comportare la condanna dell’Istituto al pagamento delle spese, secondo i generali principi che governano il regolamento delle spese.

2. Il ricorso e’ fondato nei limiti delle seguenti considerazioni.

2.1. Occorre premettere che la riforma della decisione di primo grado, come risulta dalla motivazione e dal dispositivo della sentenza della Corte d’appello, ha riguardato, esclusivamente, la statuizione della condanna dell’Istituto al pagamento delle spese del giudizio, essendosi invece confermata, per il resto, la decisione del Tribunale; in particolare, la precisazione riguardante la decorrenza degli interessi legali (dalla data di ammissione della datrice di lavoro alla c.i.g.) non configura alcuna modifica della corrispondente statuizione della sentenza appellata, ne’ costituisce una ragione giustificativa del provvedimento di compensazione delle spese, conseguendone, in tale profilo, la inammissibilita’ della censura ex art. 112 c.p.c. perche’ non pertinente rispetto al decisum.

2.2. La sentenza qui impugnata, cosi’ esattamente individuata, non si sottrae nondimeno alla censura di violazione dell’art. 112 c.p.c. per la diversa ragione — puntualmente evidenziata in ricorso — che la statuizione di primo grado in ordine alle spese di quel giudizio non era stata investita dall’impugnazione proposta dall’Istituto. Ed invero, come emerge dalle conclusioni dell’atto di appello, come anche riferite nella sentenza della Corte territoriale, il gravame aveva riguardato il merito della controversia, con la conclusiva richiesta di revoca del decreto ingiuntivo opposto e di “condanna del lavoratore a pagare le spese processuali”; ne’ la configurazione di un’impugnazione sulle spese potrebbe conseguire al riferimento, contenuto nel medesimo atto di gravame, alla eventuale rilevanza, “ai fini… delle spese di giudizio”, delle prospettate difficolta’ concernenti la liquidazione degli importi dovuti ai lavoratori, che la genericita’ di siffatto riferimento e’ inidoneo alla individuazione di specifiche censure, finalizzate ad inficiare il fondamento logico – giuridico della statuizione del giudice di primo grado ed a fissare con certezza i limiti della controversia in sede di gravame.

3.3. Ne deriva che il ricorso va accolto per l’indicato profilo, con assorbimento delle restanti censure relative alle ragioni della operata compensazione ex art. 92 c.p.c..

4. La sentenza impugnata va dunque cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., essendosi formato il giudicato interno sulla statuizione relativa alle spese adottata dal Tribunale.

5. Dovendosi pronunciare, conseguentemente, sulle spese del giudizio d’appello, nonche’ su quelle del giudizio di legittimita’, le stesse vengono poste a carico dell’Istituto, secondo soccombenza, con liquidazione come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione e cassa senza rinvio la sentenza impugnata. Condanna l’INPS a rimborsare alla ricorrente le spese del giudizio d’appello, liquidate in Euro cinquecento/00, di cui Euro centocinquanta/00 per diritti, nonche’ quelle del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 40,00 per esborsi e in Euro settecento/00 per onorari, oltre a spese generali, IVA e CPA come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 26 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2010

 

 

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