Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1631 del 23/01/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 23/01/2018, (ud. 13/09/2017, dep.23/01/2018),  n. 1631

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Potenza respingeva la domanda di impugnazione del licenziamento di M.S., intimatogli dalla società S.A.T.A. in data 22.12.2010 per aver fruito indebitamente di un riposo compensativo, conseguente a dedotti impegni elettorali (dal 10 al 12 aprile), segnatamente nella giornata del 14 aprile 2010, pur essendo emerso che egli nella giornata del 10.4.10 non svolse alcuna attività elettorale, essendosi piuttosto presentato regolarmente al lavoro.

Avverso tale pronuncia proponeva appello il M.; resisteva la società. Con sentenza depositata il 7.5.15, la Corte d’appello di Potenza accoglieva il gravame dichiarando illegittimo il licenziamento in questione, sostanzialmente per violazione del principio di proporzionalità, condannando la società alla reintegra del M. nel suo posto di lavoro, con le pronunce consequenziali L. n. 300 del 1970, ex art. 18. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società FCA Melfi (succeduta alla SATA), affidato a quattro (pur numerati come tre) motivi, poi illustrati con memoria.

Resiste il M. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, e cioè che il M. in data 9.4.10 si rese disponibile a prestare attività lavorativa per il giorno 10.4.10, come poi in effetti prestò, avvertendo solo che sarebbe stato impegnato, quale rappresentante di lista nei giorni 11 e 12 aprile, consegnando tuttavia successivamente un falso attestato di partecipazione alle attività elettorali per il giorno 10 aprile (ciò che gli avrebbe teoricamente consentito di godere del riposo compensativo, che in effetti indebitamente godette il giorno 14 aprile).

2.-Con il secondo motivo la ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, e cioè la considerevole diminuzione dell’attività produttiva dell’azienda nei giorni dal 10 al 14 aprile, proprio in conseguenze delle molteplici assenze per incarichi elettorali dei suoi dipendenti.

3.- Con il terzo motivo la società ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1175,1375,2104,2105 e 2119 c.c., lamentando che la pronuncia d’appello, in dispregio delle norme citate, ritenne il comportamento in questione pur riprovevole ma non tale da concretare una giusta causa di recesso.

4.- Con il quarto motivo la società ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2119 c.c. e 10 del c.c.n.l. di categoria, lamentando che la sentenza impugnata ritenne erroneamente di poter qualificare il comportamento del M. quale mera giornata di assenza ingiustificata, senza considerare l’obiettiva riconducibilità di esso ad un fatto così grave, anche per il suo rilievo penale, da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto, così come del resto ritenuto in primo grado, sia in sede cautelare che di cognizione piena.

5.- I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati.

Ed invero nella specie è pacifico che il M., pur non avendo svolto alcuna attività elettorale, consentita dall’ordinamento (D.P.R. n. 361 del 1957), il giorno 10.4.10, consegnò all’azienda un certificato (o attestato) da cui risultava invece falsamente, falsità di cui non poteva evidentemente non rendersi conto, tale attività per il giorno 10.4.10, chiedendo ed usufruendo pertanto illegittimamente di un giorno di riposo compensativo nella giornata del 14.10.10.

Tale comportamento non può ricondursi ad un mero disguido o confusione sulla data di rientro al lavoro, come ritiene la sentenza impugnata, nè ad una mera assenza ingiustificata, ma al consapevole uso di un attestato falso al fine di usufruire di un riposo compensativo non spettante, ipotesi certamente ricomprensibile nel concetto di giusta causa previsto dalla legge, e non contraddetto dalla contrattazione collettiva che non disciplina affatto con minore sanzione (conservativa) simile fattispecie, tanto meno l’art. 10 del c.c.n.l. disciplinante solo le assenze ingiustificate.

La sentenza impugnata va dunque cassata per aver considerato unicamente il dato fenomenico dell’assenza ingiustificata, senza valutare affatto il principio che il consapevole utilizzo di un falso certificato al fine di poter godere, peraltro in un momento di dedotto maggior bisogno lavorativo per l’azienda, di un giorno di riposo non spettante, può concretare il concetto di giusta causa previsto dall’art. 2119 c.c., derogabile in melius solo ove una specifica norma contrattuale collettiva preveda espressamente simile caso come foriero di meno grave sanzione.

La causa deve essere dunque rinviata ad altro giudice, in dispositivo indicato, per l’ulteriore esame della controversia, oltre che per la regolamentazione delle spese, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Salerno.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2018

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