Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16309 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/07/2020, (ud. 02/07/2020, dep. 30/07/2020), n.16309

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17561/2019 R.G. proposto da:

O.D., rappresentato e difeso dall’Avv. Schera Luca, con

domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della

Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Torino depositato il 10 maggio

2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 2 luglio 2020

dal Consigliere Mercolino Guido.

 

Fatto

RILEVATO

che O.D., cittadino della Nigeria, ha proposto ricorso per cassazione, per un solo motivo, avverso il decreto del 10 maggio 2019, con cui il Tribunale di Torino ha rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o del permesso di soggiorno per motivi umanitari da lui proposta; che il Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva.

Considerato che con l’unico motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la nullità del decreto impugnato per manifesta illogicità e carenza di motivazione, osservando che il Tribunale si è limitato a confermare la decisione della Commissione territoriale, senza tener conto della situazione attuale della Nigeria, caratterizzata dall’incapacità dello Stato di proteggere i propri cittadini dagli attacchi terroristici, nonchè da violazioni sistematiche dei diritti fondamentali commesse dallo stesso Stato;

che, ad avviso del ricorrente, un eventuale rimpatrio comporterebbe il repentino abbandono di una stabile condizione di vita e la sua esposizione ad un danno grave ed irreparabile alla sua vita, nonchè ad una situazione di vulnerabilità, lesiva della dignità della sua persona;

che il motivo è infondato;

che il rigetto della domanda di riconoscimento della protezione internazionale trova infatti giustificazione, oltre che nella ritenuta inattendibilità della vicenda personale allegata dal ricorrente, nell’esclusione dell’esposizione di quest’ultimo, in caso di rimpatrio, ad atti di persecuzione o al rischio di condanna a morte, tortura o trattamenti inumani o degradanti, nonchè nell’accertamento dell’insussistenza di una situazione di conflitto armato nell’area di origine o di una condizione soggettiva di vulnerabilità;

che, in particolare, nell’escludere la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, il decreto impugnato ha richiamato informazioni fornite da fonti internazionali autorevoli ed aggiornate, dalle quali ha desunto che la situazione di pericolo derivante dagli attacchi terroristici di matrice islamica è circoscritta ad alcune aree della Nigeria, situate nel Nord-Est del Paese, e non si estende alla regione di provenienza del ricorrente (Benin City), situata nella zona meridionale, la quale risulta dunque immune da violenze e scontri armati;

che tale accertamento si pone perfettamente in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la protezione sussidiaria, pur postulando un grado di personalizzazione del rischio inferiore a quello richiesto per il riconoscimento dello status di rifugiato, non prescinde del tutto dalla necessità di un nesso causale tra la vicenda individuale ed il rischio rappresentato, il quale deve ritenersi soltanto attenuato, soprattutto in riferimento all’ipotesi di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), nel senso che, in presenza di una situazione di conflitto armato interno

o internazionale, pur non essendo necessario un coinvolgimento diretto del richiedente negli scontri, occorre almeno che il grado di violenza indiscriminata abbia raggiunto un livello così elevato da far ritenere fondatamente che chiunque si trovi nell’area interessata sia esposto, per la sola presenza nel territorio, al rischio effettivo di subire un danno grave (cfr. Cass., Sez. VI, 23/10/2017, n. 25083; 21/07/2017, n. 18130);

che, in applicazione del predetto principio, mutuato dalla giurisprudenza comunitaria (cfr. Corte di Giustizia UE, sent. 17/02/2009, in causa C465/07, Elgafaji), si è affermata la necessità di una contestualizzazione del rischio in relazione alla situazione soggettiva del richiedente, nel senso che quest’ultimo non può ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria allorquando, come nella specie, la regione o l’area da cui proviene risulti immune dal rischio di atti di persecuzione o dalla minaccia di un danno grave, anche se nello stesso Paese vi siano altre aree

o regioni insicure (cfr. Cass., Sez. I, 15/05/2019, n. 13088; 7/11/2018, n. 28433; 31/05/2018, n. 14006);

che, nell’escludere la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, il decreto impugnato ha invece rilevato che il ricorrente si era limitato a far valere la situazione d’instabilità politica del suo Paese di origine e la sua partecipazione in Italia a corsi di italiano e ad attività di volontariato, affermando l’inidoneità di quest’ultima a comprovare uno stabile radicamento nel territorio nazionale;

che, anche sotto tale profilo, l’accertamento compiuto dal Tribunale risulta conforme all’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il riconoscimento della protezione umanitaria postula una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (cfr. Cass., Sez. Un., 13/11/2019, n. 29459; Cass., Sez. I, 23/02/ 2018, n. 4455);

che, nell’ambito della predetta valutazione, la situazione generale del Paese di origine può assumere peraltro rilievo esclusivamente in relazione alla sua incidenza sulla vita privata e familiare del richiedente, quale riflesso di una condizione di vulnerabilità personale da lui vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe nuovamente esposto in caso di rimpatrio, prendendosi altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (cfr. Cass., Sez. I, 3/04/ 2019, n. 9304; Cass., Sez. VI, 7/02/2019, n. 3681);

che, in definitiva, attraverso l’apparente deduzione del vizio di cui allo art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., il ricorrente mira in realtà a sollecitare un nuovo apprezzamento dei fatti, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica del provvedimento impugnato, nonchè la coerenza logica dello stesso, nei limiti in cui le relative anomalie motivazionali sono ancora deducibili come motivo di ricorso per cassazione, a seguito della sostituzione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053 e 8054; Cass., Sez. VI, 8/10/2014, n. 21257);

che il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione dell’intimato.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2020

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