Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16309 del 26/07/2011

Cassazione civile sez. II, 26/07/2011, (ud. 03/05/2011, dep. 26/07/2011), n.16309

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. BIANCHI Luisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12674/2007 proposto da:

C.S. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, CNE CLODIA 29, presso lo studio dell’avvocato

CASAMASSIMA GIULIA, rappresentato e difeso dall’avvocato CASAMASSIMA

ANGELA;

– ricorrente –

contro

A.S. (OMISSIS) elettivamente domiciliata in

ROMA, CORSO TRIESTE 150, presso lo studio dell’avvocato ARMANDOLA

ROBERTO, che La rappresenta e difende;

C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA CATTARO 28, presso lo studio dell’avvocato PAOLA

ANGOTTI, rappresentato e difeso dall’avvocato RUSSO TRATTASI

GIANCARLO;

– controricorrenti –

avverse la sentenza n. 802/2006 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 13/09/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/05/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per l’inammissibilità o il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 28-11-1997 C. S., premesso che in data (OMISSIS) era deceduto in (OMISSIS) “ab intestato” il proprio genitore C.T. lasciando a sè superstiti, oltre all’esponente, gli altri figli An., Fi., L. e F., assumeva che il “de cuius” aveva disposto in vita di tutto il proprio patrimonio immobiliare in favore dei figli mediante diversi atti di liberalità.

L’attore, premesso che per effetto di tali atti dispositivi si era determinata una evidente e grave sproporzione del valore dei beni attribuiti da C.T. ai figli in danno dell’istante, intendendo conseguire la quota di legittima spettategli, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Bari il solo germano C. F. ritenendo che la riduzione della quota a questi attribuita fosse sufficiente a ristabilire la proporzione della quota prevista dall’art. 537 c.c., comma 2; chiedeva quindi l’attribuzione della proprietà dei beni donati dal “de cuius” al convenuto con atto per notaio Della Ratta del 9-6-1965 fino alla concorrenza della quota dovutagli e la condanna di quest’ultimo al rilascio di tali beni in proprio favore, nonchè alla restituzione dei relativi frutti percetti e percipiendi maggiorati di interessi e rivalutazione monetaria.

Costituendosi in giudizio C.F. non si opponeva alle domande attrici rimettendosi agli accertamenti giudiziali.

All’udienza delle precisazione delle conclusioni interveniva in giudizio A.S., subentrata alla madre Ca.

A. nei diritti della eredità di C.T., chiedendo dichiararsi la simulazione dell’atto di acquisto operato dall’attore per notaio D’Abbicco del 22-5-1996, trattandosi in realtà di una donazione in suo favore da parte del “de cuius” per cui il bene oggetto di essa doveva essere acquisito alla massa, e ridursi la menzionata donazione del 9-6-1965 con redistribuzione delle quote.

Con sentenza del 26-11-2003 il Tribunale di Bari accoglieva la domanda di riduzione, reintegrava l’attore nei diritti ereditari con l’attribuzione in suo favore del locale sito in (OMISSIS), condannandolo al pagamento in favore di C.F. di un conguaglio di Euro 33.110,05 oltre interessi legali, dichiarava inammissibili le domande della A. e condannava quest’ultima e C.F. al pagamento delle spese legali.

Proposto gravame da parte di C.F. cui resistevano C.S. e la A. spiegando entrambi appello incidentale la Corte di Appello di Bari con sentenza del 13-9-2006 ha dichiarato la nullità della sentenza impugnata, ha accolto la domanda proposta da C.S. nei confronti di C.F. in relazione alla donazione fatta dal “de cuius” con atto per notaio Della Fratta del 9-6-1995, per l’effetto ha reintegrato C.S. nei suoi diritti ereditari attribuendogli l’appartamento al secondo piano del fabbricato sito in (OMISSIS), ha condannato C. F. a versare in favore di C.S. la somma di Euro 25.327,05 a titolo di conguaglio oltre interessi legali dal giugno 2001, ha rigettato l’appello incidentale di C. S., ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale della A. ed ha compensato interamente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Avverso tale sentenza C.S. ha proposto un ricorso articolato in sei motivi cui C.F. e A. S. hanno resistito con separati controricorsi; tutte le parti hanno depositato successivamente delle memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione sollevata dal ricorrente nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c., di inammissibilità del controricorso della A. per assoluta irriferibilità della procura apposta a margine dell’atto tanto alla suddetta parte processuale quanto al presente procedimento; in realtà la lettura di tale procura apposta a margine del controricorso consente di verificare che essa è stata rifasciata dalla A. all’avvocato Roberto Armandola “per resistere ai ricorso innanzi aita Corte di Cassazione promosso dai Sig. C.S. e notificato il 21-4-2007”, quindi con specifico riferimento al presente giudizio di legittimità.

Venendo quindi all’esame del ricorso, si rileva che con il primo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 50 bis c.p.c., e D.Lgs. 19 dicembre 1998, n. 51, art. 135, comma 1, Lett. B, nonchè vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto nulla la sentenza di primo grado per essere stata pronunciata in composizione monocratica nonostante la sezione 6^ bis del codice di rito prevedesse espressamente la composizione collegiale del Tribunale per le cause di riduzione per lesione di legittima; invero la presente controversia era stata introdotta dinanzi al Tribunale di Bari con atto di citazione notificato il 28-11-1997, mentre la disposizione di cui all’art. 50 bis c.p.c., era stata introdotta successivamente dal D.Lgs. 19 dicembre 1998, n. 51, art. 56, che ne differiva l’entrata in vigore a far tempo dal 2-6-1999; inoltre l’art. 135, comma 1, Lett. B, del suddetto D.Lgs., stabiliva che la composizione del Tribunale restava regolata dalle disposizioni anteriormente vigenti.

La censura è inammissibile per difetto di interesse.

Invero, pur dovendosi ritenere che, all’esito dell’istituzione del giudice unico D.Lgs. n. 51 del 1998, ex art. 134 bis, introdotto con D.L. n. 145 del 1999, convertito con modifiche nella L. n. 24 del 1999, il Tribunale ha mantenuto la precedente competenza per le cause introdotte fino al 31-12-1999, posto che l’art. 135, comma 1, lett. del citato D.Lgs. ha fatto salva la composizione del Tribunale secondo le disposizioni previgenti (Cass. 5-12-2002 n. 17309), e che tale norma è applicabile nella fattispecie, dove il giudizio di primo grado è stato introdotto con atto di citazione notificato il 28-11-1997, tuttavia è rilevante osservare che il ricorrente non ha specificato quale interesse sul piano giuridico ricaverebbe dall’accoglimento del motivo in oggetto; infatti, premesso che il giudice di appello, pur ritenendo erroneamente nulla la sentenza di primo grado per le ragioni esposte, nondimeno ha esaminato e deciso tutte le questioni sollevate dalle parti sia con l’appello principale che con quello incidentale, è decisivo evidenziare che il ricorrente non ha denunciato che, in conseguenza della declaratoria di tale nullità, la Corte territoriale abbia omesso di pronunciarsi su tutte le questioni controverse ed abbia così pregiudicato le proprie ragioni.

Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione dell’art. 183 c.p.c., comma 5, e art. 556 c.c., nonchè omessa motivazione, assume che contraddittoriamente il giudice di appello, pur ritenendo inammissibili la prova per interpello e testi formulate da C.F. in ordine alla sussistenza di debiti ereditari, ha considerato astrattamente proponibili tali richieste di prova nonostante la controparte non avesse specificato le circostanze oggetto della prova stessa.

C.S. inoltre sostiene l’irrilevanza dell’eventuale esistenza di debiti ereditaria considerato che ai fini del calcolo della legittima essi debbono essere detratti soltanto dal “relictum”, e non dal “donatum”.

Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.

Invero, non avendo la Corte territoriale ammesso la prova per testi dedotta da C.F. in ordine alla esistenza di debiti del “de cuius”, non sussiste in radice alcun pregiudizio in ordine ad entrambi i motivi di censura sollevati dal ricorrente.

Con il terzo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. come modificato dalla L. n. 353 del 1990, art. 52, ed omessa motivazione, sostiene che la Corte territoriale, avendo affermato che non vi era prova in atti di un credito ereditario nei confronti del Comune di Massafra, ha indebitamente esaminato un motivo di appello formulato da C.F. riguardante una questione nuova, come tale inammissibile.

Anche tale censura è inammissibile per difetto di interesse, atteso che la sentenza impugnata ha rigettato il motivo di appello formulato da C.F. in ordine alla asserita sussistenza di un credito ereditario nei confronti del Comune di Massafra.

Con il quarto motivo C.S., deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 268 c.p.c. – artt. 557 e 2909 c.c. nonchè vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto irrilevante la circostanza della asserita rinuncia alla eredità da parte dell’esponente in data 7-10-1998, posto che l’azione di riduzione della donazione effettuata dal “de cuius” ad altro coerede integra accettazione tacita dell’eredità, e per aver aggiunto che l’accettazione della qualità di erede non è dismissibile con una successiva rinuncia.

Il ricorrente rileva sotto un primo profilo che la Corte territoriale ha in tal modo delibato una questione sollevata dalla A. nel giudizio di primo grado senza formulare in proposito alcuna specifica eccezione e senza riproporre la questione nel giudizio di appello;

inoltre assume che, contrariamente alla implicita rilevanza attribuita dalla sentenza impugnata alla qualità di erede per la proposizione dell’azione di riduzione, quest’ultima può essere proposta dal semplice legittimario leso nella quota di riserva, non essendo necessaria la qualità di erede dello stesso.

La censura è inammissibile per difetto di interesse, posto che l’enunciata questione della rinuncia alle eredità da parte di C.S., sollevata dalla A. nel giudizio di primo grado, è stata ritenuta infondata dal giudice di appello, onde in proposito non vi è alcuna statuizione che abbia arrecato un qualsiasi pregiudizio all’attuale ricorrente.

Con il quinto motivo C.S., denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 555, 559, 560 e 561 c.c. nonchè vizio di motivazione, sostiene che erroneamente la Corte territoriale ha individuato il bene da ridurre, con riferimento alle quattro donazioni di immobili previste in favore di C.F. dall’atto per notaio Della Ratta del 9-6-1965, in quello di cui aita lettera E 4) della relazione del CTU. Il ricorrente, premesso che l’art. 559 c.c. regola il solo caso di donazioni successive, rileva che nell’ipotesi di donazioni coeve la riduzione si opera proporzionalmente sulle diverse donazioni;

tuttavia tale principio non può applicarsi allorchè le donazioni contestuali siano state effettuate, come nella specie, in favore di un solo beneficiario; in tal caso, quindi, escluso che possa farsi riferimento, nella scelta dell’immobile da ridurre, all’ultimo cespite indicato in ordine numerico nell’atto di liberalità, il giudice deve scegliere ed individuare i beni occorrenti ad integrare la legittima.

C.S. poi assume che il giudice di appello non ha considerato che la soluzione adottata dal Tribunale avrebbe determinato il venir meno degli obblighi di conguaglio a carico dell’esponente, avuto riguardo ai credito di Euro 37.263,24 maturato nei confronti di C.F. per frutti percepiti in ordine all’immobile oggetto di riduzione dall’ottobre 2002 all’aprile 2005; in ogni caso il riferimento al principio del “favor debitoris” da parte della Corte territoriale è erroneo, essendo esso applicabile in ambito negoziale e/o contrattuale, non certo in tema di riduzione di donazioni.

Il ricorrente inoltre, premesso l’errore materiale in cui è incorsa la sentenza impugnata nell’indicare la via Marconi, invece che la via Benemerito 34, quale ubicazione dell’appartamento oggetto di riduzione, sostiene che, per una mera svista da parte del CTU derivante dall’inversione dei valori attribuiti ai cespiti contraddistinti con le lettere E3) ed E4) nella relazione, era stato attribuito al legittimario leso un bene non già del valore indicato di L. 112.250.000, bensì del minor valore di L. 102.925.000, con la conseguenza che all’esponente spettava a titolo di conguaglio non già l’importo di Euro 25.327,95, bensì quello maggiore di Euro 30.136,31.

Deve poi aggiungersi che il ricorrente, nell’illustrare il motivo in esame, ha formulato ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (applicabile “ratione temporis” nella fattispecie) due quesiti di diritto; con il primo di essi egli chiede a questa Corte di affermare se, ai sensi dell’art. 559 c.c., nel caso in cui il “de cuius” con l’ultima donazione abbia attribuito più beni in favore del medesimo beneficiario, la riduzione della stessa debba operarsi necessariamente avendo riguardo all’ultimo cespite indicato in ordine numerico e di elenco nell’atto di liberalità, ovvero se n tale ipotesi competa al giudice di scegliere ed individuare i beni occorrenti ad integrare la legittima; con il secondo quesito il ricorrente chiede di affermare se, ai sensi degli artt. 555, 559, 560 e 561 c.c., in caso di riduzione per lesione di legittima, la scelta e l’individuazione dei beni occorrenti ad integrare la legittima, debba avvenire nel rispetto del principio del “favor debitoris”.

La censura è inammissibile per difetto di interesse.

La Corte territoriale, nell’individuare il bene soggetto all’azione di riduzione proposta da C.S. in quello indicato sotto la lettera E4) della relazione redatta dal CTU, con la previsione di un conguaglio a favore dell’attuale ricorrente di Euro 25.327,05, ha ritenuto tale soluzione meno gravosa per C. F. ed egualmente reintegratrice della quota di riserva, e quindi senz’altro da preferire, anche nel rispetto del principio del “favor debitoris”.

Orbene con il motivo oggetto il ricorrente non ha censurato la statuizione del giudice di appello secondo cui la scelta della riduzione della donazione del suddetto immobile (invece che di quello individuato dal giudice di primo grado) realizzava ugualmente la finalità propria dell’azione da lui proposta, consistente appunto nell’ottenere la piena reintegrazione del suo diritto di legittimario;

pertanto l’omessa impugnazione di tale “ratio decidendi”, giuridicamente del tutto sufficiente a giustificare la decisione adottata, rende inammissibili per difetto di interesse i profili di censura sopra enunciati i quali, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbero produrre in nessun caso la cassazione della sentenza del giudice di appello.

E’ poi appena il caso di rilevare l’inammissibilità in questa sede del profilo di censura con il quale si prospetta un mero errore materiale da parte della sentenza impugnata in ordine alla determinazione del valore dell’immobile oggetto di riduzione e quindi alla misura del conguaglio dovuto al ricorrente.

Con il sesto motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver interamente compensato tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio nonostante l’accoglimento della domanda attrice e la proposizione, ad opera delle parti soccombenti, di numerose questioni infondate e respinte.

La censura è infondata.

La Corte territoriale, considerata la nullità della sentenza impugnata, la non opposizione sostanziale di C.F., la necessità della consulenza d’ufficio per la determinazione delle quote di riserva, la inammissibilità delle domande dell’interventrice e la parziale soccombenza delle parti, ha ritenuto di compensare interamente tra le parti stesse le spese del doppio grado di giudizio.

Orbene, premesso che la compensazione totale o parziale delle spese del giudizio costituisce una facoltà discrezionale del giudice di merito, al cui prudente apprezzamento è rimessa la valutazione della ricorrenza delle condizioni per disporla, deve rilevarsi che nella specie il giudice di appello ha sorretto la sua decisione al riguardo da ragioni logiche e sufficienti, come tale insindacabili in questa sede.

Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo in favore di ciascuno dei due controricorrenti.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 3000,00 per onorari di avvocato in favore di ciascuno dei due controricorrenti.

Così deciso in Roma, il 3 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2011

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