Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16308 del 04/08/2016


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Cassazione civile sez. III, 04/08/2016, (ud. 15/07/2016, dep. 04/08/2016), n.16308

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20253-2013 proposto da:

REPUBBLICA ITALIANA E PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in

persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore (CF

(OMISSIS)), rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui Uffici ope legis domicilia in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

T.R. (CF (OMISSIS)) E V.C. (CF (OMISSIS)),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 94, presso lo

studio dell’avvocato GIOVANNA FIORE, che, in uno all’Avvocato PAOLO

ZANARDI, li rappresenta e difende come da procura speciale a margine

del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 464 della CORTE D’APPELLO DI TRIESTE, emessa

il 04/04/2013, depositata il 14/05/2013, in causa n. 89/2012 rg

cont.;

udita la relazione sulla causa svolta nella pubblica udienza del

15/07/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito l’Avvocato FABRIZIO FEDELI;

udito l’Avvocato GIOVANNA FIORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa

DE RENZIS LUISA, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha proposto ricorso per Cassazione contro T.R. e V.C., avverso la sentenza della corte d’appello di Trieste n. 464 del 4 aprile 2013, emessa all’esito del giudizio di rinvio disposto dalla Corte di cassazione con sentenza n. 23560/2011.

2.- In sintesi, questo lo svolgimento dei fatti processuali.

Con atto di citazione notificato il 30.8.01 i dottori T.R. e V.C. avevano convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Trieste, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’Università degli Studi di Trieste, il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della ricerca ed il Ministero delle Finanze per ottenerne la condanna al pagamento dell’adeguata remunerazione prevista dalle direttive comunitarie in materia di medici specializzandi ed al risarcimento dei danni per la mancata attuazione delle medesime; ed il tribunale, con sentenza n. 1083/2005, aveva accolto le domande attoree.

3.- Proposto appello avverso tale sentenza dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, la corte d’appello di Trieste, con sentenza n. 513/2007, aveva riformato la sentenza di primo grado e respinto la domanda per intervenuta prescrizione del diritto; ma contro tale sentenza avevano proposto ricorso per cassazione gli odierni ricorrenti: e questa Corte, con sentenza n. 23560/11, aveva accolto il ricorso principale e rimesso la causa alla corte territoriale in diversa composizione, fissando come dies a quo della prescrizione decennale del diritto vantato dai medici la data dell’entrata in vigore della L. n. 370 del 1999.

4.- La corte d’appello di Trieste, adita in sede di rinvio, con la sentenza oggi impugnata respinse l’eccezione di prescrizione e per l’effetto condannò la Presidenza del Consiglio dei Ministri al risarcimento del danno in favore di ciascun attore in misura pari all’importo annuo di Lire 13.000.000, pari ad Euro 6.713,94.

5.- Avverso tale sentenza ricorrono oggi in Cassazione la Repubblica italiana e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con ricorso articolato su due motivi; gli intimati resistono con controricorso; e, per la pubblica udienza del 15.7.16, le ricorrenti depositano altresì memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

6.- Con il primo motivo le ricorrenti denunciano “violazione degli artt. 5 e 7 della Direttiva “Riconoscimento” 75/362/CEE del Consiglio, del 16 giugno 1975, degli artt. 5 e 189 del Trattato Istitutivo della Comunità Europea, dell’art. 10 del Trattato Istitutivo della Comunità Europea (Trattato di Roma) nella versione consolidata (GUCE n. C 325 del 24 dicembre 2002), dell’art. 117 Cost., comma 1, siccome diplomato in una specializzazione non compresa nell’elenco delle specializzazioni comuni a tutti gli stati membri o a due o più di essi, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3″: lamentano le ricorrenti che erroneamente la corte territoriale ha riconosciuto l’indennizzo ai medici odierni resistenti, i quali, invero, non ne avrebbero avuto diritto in quanto specializzatisi in un corso non compreso fra quelli indicati dagli artt. 5 o 7 della direttiva 75/362/CEE. 7.- Il motivo è inammissibile: si tratta infatti in piena evidenza di questioni, di natura fattuale, da considerarsi nuove e quindi precluse nel giudizio di rinvio, del quale è nota la natura chiusa e tale da impedire l’ampliamento del thema decidendum.

8.- Del resto, parte ricorrente non comprova come e quando le stesse sarebbero state poste nei precedenti gradi del giudizio, avendo oltretutto le parti intimate recisamente contestato che la Presidenza le abbia mai avanzate nei gradi di merito; nè dalla sentenza impugnata è dato evincere che parte oggi ricorrente abbia mai sollevato tali difese in precedenza.

9.- E tanto a tacere del fatto che, secondo costante giurisprudenza di questa Corte, “in ipotesi di controversia instaurata da medici specializzatisi anteriormente all’anno 1991/1992 per ottenere il risarcimento dei danni da essi causati dal tardivo recepimento di direttive comunitarie, il sorgere, per l’amministrazione convenuta, dell’obbligo di contestazione specifica è collegato alla sola precisa allegazione dei fatti addotti dagli attori a sostegno della loro pretesa, non anche alla documentazione dei relativi presupposti soggettivi, sicchè la limitazione della difesa della prima alla sola eccepita prescrizione comporta che, una volta disattesa quest’ultima, tali presupposti devono ritenersi provati” (Cass. n. 20870/2013, ribadita, da ultimo, da Cass. n. 190/2016).

10.- Nel caso concreto, come detto, non è stato provato, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, che le censure sviluppate dalla parte oggi ricorrente nei gradi di merito abbiano anche investito le questioni oggi sottoposte all’esame del Giudice di legittimità: ne consegue l’inammissibilità del motivo di ricorso.

11.- Con il secondo motivo, le ricorrenti denunciano “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, censurando l’impugnata sentenza nella parte in cui ha accolto le domande degli odierni resistenti nonostante questi ultimi si fossero diplomati in una specializzazione non prevista dagli art. 5 e 7 della Direttiva “riconoscimento”, omettendo pertanto di rilevare il fatto decisivo, che la corte territoriale avrebbe dovuto accertare anche d’ufficio, consistente nel conseguimento della specializzazione in una disciplina comune agli Stati membri.

12.- Anche tale censura è manifestamente inammissibile.

Il motivo, in primo luogo, si palesa assolutamente privo di specificità, risolvendosi in una mera ripetizione della medesima doglianza espressa nel precedente motivo di ricorso: ed è pertanto possibile affermarne l’infondatezza alla stregua delle considerazioni già svolte con riferimento alla prima censura. Ed infatti, atteso che la doglianza integra una questione nuova, mai sollevata nei precedenti gradi di giudizio, e che per pacifica giurisprudenza di questa Suprema Corte, cui si intende dare continuità, l’obbligo di contestazione specifica gravava in capo all’Amministrazione convenuta, nessun potere/dovere di rilevazione d’ufficio della questione poteva ravvisarsi in capo alla Corte d’Appello.

13.- Comunque, anche a prescindere da tale rilievo, il ricorso si rivela inammissibile in quanto privo dei requisiti e delle indicazioni necessarie a sorreggere il vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, nella nuova formulazione applicabile ratione temporis.

14.- Invero, sul punto le Sezioni Unite di questa Corte regolatrice, con sentenza n. 8053/2014, hanno stabilito che “l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

15.- Nel caso di specie, il ricorrente nulla dice su “come” e “quando” il fatto storico, di cui si denuncia l’omesso esame, avrebbe costituito oggetto di discussione tra le parti: il che è ulteriore riprova del fatto che si tratta di questione sollevata per la prima volta in sede di legittimità, ma soprattutto in sede di giudizio di rinvio.

16.- Inammissibili entrambi i motivi, il ricorso va dichiarato inammissibile e le soccombenti, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri p.t., condannate al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore delle controparti, tra loro in solido attesa l’identità dell’interesse in giudizio.

17.- Infine, il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa, ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile, dia atto della sussistenza, a carico della parte che l’abbia proposta, dei presupposti dell’obbligo di versare – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, – un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del cit. D.P.R., art. 13, comma 1 bis, non può pronunciarsi nei confronti di quelle parti della fase o del giudizio di impugnazione, come le Amministrazioni dello Stato, che siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass. 14 marzo 2014, n. 5955; Cass., ord. 5 novembre 2014, n. 23525).

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna le ricorrenti, in pers. del Presidente del Consiglio dei Ministri p.t., al pagamento, in favore dei controricorrenti e tra loro in solido, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.900,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre maggiorazione per spese generali ed accessori nella misura di legge;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. D.P.R., art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2016

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