Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16307 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/07/2020, (ud. 02/07/2020, dep. 30/07/2020), n.16307

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17058/2019 R.G. proposto da:

A.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Gilardoni Massimo,

con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile

della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in

Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Brescia depositato l’11 aprile

2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 2 luglio 2020

dal Consigliere Mercolino Guido.

 

Fatto

RILEVATO

che A.G., cittadino della Nigeria, ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, avverso il decreto dell’11 aprile 2019, con cui il Tribunale di Brescia ha rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o del permesso di soggiorno per motivi umanitari da lui proposta;

che il Ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

Considerato che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente eccepisce l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, comma 13, come modificato dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 6, comma 1, lett. g), convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46, per contrasto con l’art. 3 Cost., comma 1, art. 10 Cost., comma 3, art. 24 Cost., comma 1 e 2, e art. 111 Cost., comma 1, 2 e 7, osservando che l’abolizione dell’appello nei giudizi in materia di protezione internazionale, posta anche in relazione con l’introduzione di un procedimento camerale caratterizzato da un contraddittorio meramente eventuale e dalla riduzione dell’istruttoria ad un mero controllo sullo operato delle commissioni territoriali, si traduce irragionevolmente in una differente articolazione del diritto, riguardante i soli richiedenti asilo, che impedisce la correzione di eventuali errori commessi nell’accertamento dei fatti, nonostante l’inerenza della controversia a diritti fondamentali;

che il motivo è infondato;

che la questione di legittimità costituzionale, oltre a risultare irrilevante, non avendo il ricorrente proposto appello ma ricorso per cassazione, è stata infatti già dichiarata manifestamente infondata da questa Corte, in virtù del rilievo che il principio del doppio grado di giurisdizione di merito, oltre a risultare privo di copertura costituzionale, non trova applicazione generalizzata neppure nell’ambito del procedimento di cognizione ordinaria, in riferimento al quale è prevista una pluralità di eccezioni, e può comunque essere derogato dal legislatore per soddisfare specifiche esigenze, quale quella di celerità sottesa alla disciplina dei procedimenti in materia di protezione internazionale;

che l’inerenza di tale materia a diritti fondamentali, costituzionalmente tutelati, non consente di ritenere che la soppressione dell’appello si traduca automaticamente in una violazione del diritto di difesa, avuto riguardo alle particolari caratteristiche dei procedimenti in questione, preceduti da una fase amministrativa nell’ambito della quale il richiedente è posto in condizioni di illustrare pienamente le proprie ragioni, attraverso il colloquio dinanzi alla commissione territoriale (cfr. per tutte Cass., Sez. I, 30 ottobre 2018, n. 27700);

che con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 2, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha rigettato la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, senza tener conto del livello d’integrazione sociale e lavorativa da lui raggiunto in Italia, e della lesione della sua dignità conseguentemente ricollegabile all’ipotesi del rimpatrio, anche in relazione all’incolmabile divario con gli standards di vita esistenti nel suo Paese di origine, al limite del livello minimo di adeguatezza;

che il motivo è infondato;

che nella specie, come riconosce la stessa difesa del ricorrente, non trova applicazione la nuova disciplina introdotta dal D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito con modificazioni dalla L. 1 dicembre 2018, n. 132, che ha modificato quella preesistente di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, essendo la stessa entrata in vigore in data successiva a quella di presentazione della domanda di protezione internazionale, la quale attrae il regime normativo applicabile, avuto riguardo al momento d’insorgenza del diritto alla protezione umanitaria, coincidente con quello dell’ingresso in Italia dello straniero in condizioni di vulnerabilità per il rischio di compromissione dei diritti umani (cfr. Cass., Sez. Un., 13/11/2019, n. 29459);

che trova pertanto applicazione la disciplina previgente, alla stregua della quale deve ritenersi che correttamente il Tribunale abbia negato il riconoscimento della protezione umanitaria, avendo ritenuto insussistente sia una situazione soggettiva di vulnerabilità del richiedente, in quanto avente legami familiari nel Paese di origine e non ancora integrato socialmente in Italia, sia una situazione di oggettiva emergenza umanitaria nella regione dell’Edo State, dalla quale proviene il ricorrente, le cui condizioni politiche, sociali ed economiche, pur presentando criticità, non raggiungono un livello d’instabilità tale da recare un significativo pregiudizio agl’interessi primari delle persone che vi risiedano;

che la valutazione comparativa, effettuata nel decreto impugnato, tra il livello d’integrazione sociale raggiunto dal ricorrente in Italia e la situazione in cui verrebbe a trovarsi in caso di rimpatrio, si pone perfettamente in linea con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (cfr. Cass., Sez. I, 22/02/2019, n. 5358; 23/02/2018, n. 4455);

che infatti, come precisato da questa Corte, la predetta valutazione richiede un confronto, da condursi caso per caso, tra la vita privata e familiare del richiedente in Italia e la situazione personale che ha vissuto prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poichè, in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti (cfr. Cass., Sez. I, 3/04/2019, n. 9304; Cass., Sez. VI, 7/02/2019, n. 3681);

che il ricorso va pertanto rigettato, occorrendo provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla costituzione del Ministero controricorrente.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2020

 

 

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