Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16304 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/07/2020, (ud. 02/07/2020, dep. 30/07/2020), n.16304

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE I

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28062/2018 R.G. proposto da:

A.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Fraternale Antonio, con

domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della

Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona n. 1139/18

depositata il 28 giugno 2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 2 luglio 2020

dal Consigliere Mercolino Guido.

 

Fatto

RILEVATO

che A.M., cittadino della Nigeria, ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, avverso la sentenza del 28 giugno 2018, con cui la Corte d’appello di Ancona ha rigettato il gravame da lui interposto avverso l’ordinanza emessa il 25 novembre 2016 dal Tribunale di Ancona, che aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dal ricorrente;

che il Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva.

Considerato che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3, 5 e 14, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 111 Cost., comma 6, nonchè l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nella parte in cui esclude la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, la sentenza impugnata è sorretta da una motivazione meramente apparente, non recando alcun riferimento alla vicenda personale da lui narrata e ai documenti prodotti;

che, ad avviso del ricorrente, la Corte anconetana ha omesso di valutare la forza intimidatrice ed aggressiva del gruppo terroristico Boko Haram, attivo nella regione di provenienza di esso ricorrente, e la situazione di pericolo derivante dall’elevata conflittualità politica in atto in tutta la Nigeria;

che nella parte concernente l’omesso esame della vicenda personale del ricorrente, anche in relazione alla situazione politico-sociale della Nigeria, il motivo è infondato, avendo la sentenza impugnata correttamente valutato le dichiarazioni da lui rese in base ai criteri previsti dal D.Lgs. n. 351 del 2007, art. 3, comma 5, alla stregua dei quali ne ha escluso l’attendibilità, evidenziandone la scarsa plausibilità, l’elevato grado di genericità, la carenza di dettagli e riscontri probatori e le incongruenze, ed escludendo per tale motivo anche la possibilità di valutarne la coerenza e la plausibilità in relazione alle condizioni generali del Paese di origine;

che il predetto apprezzamento si pone perfettamente in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di protezione internazionale, secondo cui l’accertamento del giudice di merito deve avere ad oggetto innanzitutto la credibilità soggettiva della versione fornita dal richiedente in ordine alla propria esposizione al rischio di un danno grave alla vita o alla persona, con la conseguenza che, ove le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. Cass., Sez. I, 12/06/2019, n. 15794; Cass., Sez. VI, 27/06/2018, n. 16925);

che il mancato esame dei documenti prodotti non è invece deducibile come motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il quale, nel testo sostituito dal D.L. 2012, n. 83m art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 2010, n. 134, circoscrive le anomalie motivazionali deducibili in sede di legittimità alla pretermissione di un fatto storico, principale o secondario, che abbia costituito oggetto del dibattito processuale e risulti idoneo ad orientare in senso diverso la decisione, nonchè a quelle che si convertono in violazione di legge, per mancanza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, escludendo pertanto la possibilità di far valere l’omessa o inadeguata valutazione di elementi istruttori (cfr. Cass., Sez. VI, 15/05/2018, n. 11863; 10/ 02/2015, n. 2498; Cass., Sez. lav., 9/07/2015, n. 14324);

che con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, e del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, censurando la sentenza impugnata per aver escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, senza procedere ad una valutazione comparativa tra i rapporti economico-sociali da lui intrattenuti in Italia e le vicende da lui affrontate nel Paese di origine, nè alla verifica dell’attualità delle ragioni che giustificano la misura di protezione;

che il motivo è infondato, avendo la sentenza impugnata correttamente escluso la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura di protezione in virtù della mancata allegazione di una specifica situazione soggettiva di vulnerabilità e dell’impossibilità di desumerla dalla situazione del Paese di provenienza;

che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari non può essere infatti riconosciuto sulla base di una valutazione astratta ed isolata del livello d’integrazione raggiunto dal cittadino straniero in Italia, dovendosi invece procedere ad una comparazione con la situazione personale in cui egli si trovava prima di abbandonare il Paese di origine ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, e restando esclusa la possibilità di tener conto del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione all’area di provenienza, poichè altrimenti si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (cfr. Cass., Sez. VI, 3/04/2019, n. 9304; 28/06/2018, n. 17072);

che il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2020

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