Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16303 del 12/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 12/07/2010, (ud. 13/05/2010, dep. 12/07/2010), n.16303

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, viale Mazzini n. 134,

presso lo studio dell’avv. Luigi Fiorillo, rappresentata e difesa

dall’avv. Granozzi Gaetano per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 679/2005 della Corte d’appello di Catania,

depositata il 21/7/2005; R.G. 417/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13.05.2010 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;

udito l’avv. Fiorillo;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Tribunale di Siracusa con sentenza del 13.11.04, pur ritenendo la nullita’ dell’apposizione del termine all’assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a. di I.G. ed altri disposta nel corso dell’anno 2002, rigettava la domanda di riammissione nel posto di lavoro e di risarcimento del danno dagli stessi proposta, atteso che il D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, nella specie applicabile, non consentiva tali pronunzie.

2. Proposto appello principale dai dipendenti ed incidentale da Poste Italiane, la Corte d’appello di Catania con sentenza depositata il 21.7.05 accoglieva solo l’impugnazione principale, dichiarando, per quel che qui interessa, la nullita’ del termine apposto al contratto dello I., disponendo la sua riammissione in servizio, oltre il risarcimento del danno da determinare in misura pari alle retribuzioni maturate dalla notifica del ricorso alla riammissione, dedotto l’aliunde perceptum.

La Corte di merito rilevava che il l’assunzione dello I. era avvenuta “per esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un piu’ funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi, nonche’ all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio 2002”. L’indicazione dei motivi posti a fondamento dell’assunzione erano generici e, comunque, Poste Italiane non aveva dato prova dell’esistenza dei presupposti di fatto giustificanti l’apposizione del termine. Pertanto, correttamente il primo giudice aveva ritenuto nulla l’apposizione del termine, cui, diversamente da quanto da lui ritenuto, doveva tuttavia far seguito la conversione del rapporto di lavoro da tempo determinato in tempo indeterminato.

3. Avverso questa sentenza Poste Italiane propone ricorso per cassazione, illustrato da successiva memoria.

Non ha svolto attivita’ difensiva I..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Il ricorso e’ fondato nei limiti di seguito indicati.

Con il primo motivo Poste Italiane deduce violazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, degli artt. 1175, 1375, 2697, 1427 e 1431 c.c. e dell’art. 100 c.p.c., nonche’ carenza di motivazione, sostenendo la carenza di interesse del lavoratore, atteso che il rapporto di lavoro avrebbe dovuto essere ritenuto risolto per mutuo consenso, costituendo l’ampio lasso di tempo trascorso tra la cessazione del rapporto (30.6.02) e l’offerta della prestazione (notifica del ricorso introduttivo all’inizio dell’anno 2004) indice di disinteresse del lavoratore stesso a sostenere la nullita’ del termine, di modo che erroneamente il giudice di merito avrebbe affermato che l’inerzia non costituisce comportamento idoneo a rappresentare la carenza di interesse al ripristino del rapporto.

Con il secondo motivo parte ricorrente deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. e nullita’ della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, violazione dell’art. 2909 c.c., degli artt. 132, 324, 346, 434 c.p.c., e del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, e art. 4, comma 2, nonche’ contraddittoria motivazione ed omessa pronunzia in ordine ad un punto decisivo della controversia. Si lamenta la ricorrente che il giudice di merito abbia ritenuto affetti da genericita’ tanto la motivazione posta a fondamento dell’assunzione quanto la prova offerta dal datore a riscontro della esistenza delle circostanze ivi dedotte. Il D.Lgs. n. 368 del 2001, applicabile al caso di specie ratione temporis, impone alcuni requisiti formali per l’apposizione del termine, ma non richiede che le esigenze “di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” assumano carattere di eccezionalita’ o straordinarieta’, per cui la loro esistenza e’ individuabile nelle esigenze produttive ricollegabili al normale andamento dell’attivita’ aziendale. Nell’ambito di questo indirizzo, il giudice di merito avrebbe dovuto verificare la concreta esistenza delle ragioni giustificatrici dell’assunzione, desumendole dall’esame degli accordi sindacali indicati nella lettera di assunzione, con i quali le parti sindacali hanno disciplinato il processo di riallocazione — territoriale e professionale — del personale a tempo indeterminato.

Con il terzo motivo parte ricorrente deduce violazione del D.Lgs. 368 del 2001, art. 4, comma 2, e art. 11, art. 2697 c.c. e artt. 244, 253 e 421 c.p.c., nonche’ omessa motivazione, in quanto il giudice di merito avrebbe erroneamente ancorato la ripartizione dell’onere probatorio sull’impianto normativo preesistente, come se il contratto in esame fosse soggetto alle abrogate previsioni della L. n. 230 del 1962 e della L. n. 56 del 1987, art. 23. Invece, sulla base del tenore letterale dell’art. 4, comma 2, del D.Lgs. n. 368 il datore avrebbe l’onere di provare non la sussistenza delle ragioni oggettive legittimanti la stipula del contratto, ma solo quelle che legittimano la proroga del contratto. Sarebbe stato, piuttosto, onere del dipendente provare l’estraneita’ della sua assunzione rispetto alle esigenze individuate a fondamento del contratto.

Con il quarto motivo Poste Italiane, in via subordinata, deduce violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5 dell’art. 12 preleggi, dell’art. 1419 c.c., nonche’ omessa motivazione, sostenendo che il giudice di merito dall’affermazione della nullita’ del termine avrebbe erroneamente fatto derivare la conseguenza della trasformazione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato. Invece, essendo specificamente indicate dal D.Lgs. n. 368 le violazioni che comportano la conversione, negli altri casi di nullita’ del termine dovrebbe trovare applicazione il principio generale della nullita’ parziale, per il quale alla nullita’ della clausola consegue la nullita’ dell’intero contratto solo se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza la parte colpita dalla nullita’. Non risultando nella specie la violazione di norme cui la legge esplicitamente ricollega la trasformazione del contratto ed essendo palese che Poste Italiane non avrebbe stipulato il contratto stesso senza l’apposizione della clausola, sarebbe dunque erroneamente affermata l’esistenza del rapporto a tempo indeterminato.

Con il quinto motivo, la ricorrente deduce violazione della normativa in materia di messa in mora e corrispettivita’ delle prestazioni, sottolineandosi che l’attrice avrebbe diritto a titolo risarcitorio alle retribuzioni solo dal momento dell’effettiva ripresa del servizio.

5. Il primo motivo e’ infondato alla luce della giurisprudenza di legittimita’ (v. tra le tante Cass. 17.12.04 n. 23554, 28.9.07 n. 20390, 10.11.08 n. 26935).

E’ stato, infatti, affermato che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto), per la con figurabilita’ di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso e’ necessario che sia accertata — sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonche’, alla stregua delle modalita’ di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative — una chiara e certa comune volonta’ delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo;

la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimita’ se non sussistono vizi logici o errori di diritto”.

Nel caso di specie il giudice di merito sostiene che il lasso di tempo intercorso tra la cessazione del rapporto a termine e l’avvio della controversia non puo’ essere considerato indice della volonta’ di porre fine al rapporto, in quanto l’inerzia deve essere accompagnata da altre circostanze significative — fra le quali non rientra il reperimento di altra occupazione — che consentano univocamente di ritenere che il lavoratore abbia voluto, seppure non esplicitamente ma solo per fatti concludenti, risolvere il contratto.

Circa l’inesistenza del consenso dei dipendenti alla definitiva risoluzione del contratto dichiarato nullo esiste, dunque, una valutazione di merito che appare congruamente articolata, la quale esclude da un lato la censurabilita’ in sede di legittimita’ della motivazione e, dall’altro, pone in evidenza l’inesistenza di altre circostanze (la cui prova era a carico del datore di lavoro) che possano qualificare nel senso di inerzia colpevole il comportamento dei lavoratori.

Il motivo e’, pertanto, infondato.

6. Procedendo ad esame congiunto dei motivi secondo e terzo, deve rilevarsi che il giudice di merito ha basato la sua pronunzia sul presupposto della genericita’ delle ragioni poste a base dell’assunzione a termine, rilevando che non era stato dato corpo alle “esigenze straordinarie” dedotte in contratto. Al riguardo parte ricorrente sottolinea come la fattispecie debba essere esaminata sulla base della disciplina del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, applicabile ratione temporis e come l’applicazione di tale fonte normativa sia stata insoddisfacente sul punto delle pretesa genericita’ della causale giustificatrice dell’assunzione a termine, in quanto il giudice, pur richiamando detto decreto legislativo, avrebbe poi compiuto la sua disamina sulla base della L. n. 230 del 1962.

Tale censura merita accoglimento, in quanto la motivazione del giudice di merito non e’ rapportata al contenuto del contratto di assunzione, che, essendo stipulato per il periodo 9.5 – 30.6.02 e, quindi, sotto il vigore della nuova normativa, impone la piena considerazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, entrato in vigore in data 24.10.01. In questa sede, pertanto, deve aversi riferimento precipuo a quest’ultima fonte normativa.

Il D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368 reca l’attuazione della direttiva 1999/70 CE, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEP e dal CES, e costituisce la nuova fonte regolatrice del contratto di lavoro a tempo determinato, in sostituzione della L. 18 aprile 1962, n. 230 e della successiva legislazione integrativa.

Il D.Lgs. n. 368, nel testo originario, vigente all’epoca del contratto ora in questione, all’art. 1 prevede che “e’ consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” (comma 1) e che “l’apposizione del termine e’ priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1” (comma 2).

Contestualmente al recepimento dell’accordo – quadro il D.Lgs. 368 ha disposto dalla data della propria entrata in vigore (24.10.01) l’abrogazione della L. 18 aprile 1962, n. 230, della L. 25 marzo 1983, n. 79, art. 8 bis della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e di tutte le disposizioni di legge incompatibili (art. 11, comma 1).

Il quadro normativo che emerge e’, dunque, caratterizzato dall’abbandono del sistema rigido previsto dalla L. n. 230 del 1962 — che prevedeva la tipizzazione delle fattispecie legittimanti, peraltro gia’ ripensato dalla successiva normazione delle L. n. 79 del 1983 e della L. n. 56 del 1987, art. 23 – e dall’introduzione di un sistema articolato per clausole generali, in cui l’apposizione del termine e’ consentita a fronte “di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”. Tale sistema, al fine di non cadere nella genericita’, impone al suo in temo un fondamentale criterio di razionalizzazione costituito dal gia’ rilevato obbligo per il datore di lavoro di adottare l’atto scritto e di “specificare” in esso le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo adottate.

Questa Corte ha chiarito che, in ragione di tale esigenza di specificazione, le ragioni giustificatrici del contratto a termine debbono essere sufficientemente particolareggiate, in maniera da rendere possibile la conoscenza della loro effettiva portata ed il controllo della loro effettivita’. In particolare, in forza del principio enunziato dalla Direttiva che l’applicazione dell’accordo UNICE-CEP-CES non costituisce motivo sufficiente per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dall’accordo stesso (c.d. clausola di non regresso), l’interpretazione del termine “specificate” deve garantire nella piena trasparenza il controllo di effettivita’ assicurato dalla legislazione previgente (Cass. 1.2.10 n. 2279).

L’onere di “specificazione” nell’atto scritto costituisce una perimetrazione della facolta’ riconosciuta all’imprenditore di far ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato determinato per soddisfare una vasta gamma di esigenze aziendali (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o aziendale), a prescindere da fattispecie predeterminate. Tale onere ha l’evidente scopo di evitare l’uso indiscriminato dell’istituto per fini solo nominalmente riconducibili alle esigenze riconosciute dalla legge, imponendo la riconoscibilita’ della motivazione addotta gia’ nel momento della stipula del contratto. D’altro canto, tuttavia, proprio il venir meno del sistema delle fattispecie legittimanti impone che il concetto di specificita’ sia collegato a situazioni aziendali non piu’ standardizzate ma obiettive, con riferimento alle realta’ specifiche in cui il contratto viene ad essere calato (Cass. 26.1.10 n. 1576 e 1577).

Tuttavia, se non e’ sufficiente a qualificare le ragioni per le quali e’ stata disposta l’assunzione a termine la mera indicazione di esigenze produttive ed organizzative, essendo necessaria che di tali esigenze si “specifichi” congruamente la natura, e’ possibile che la specificazione delle ragioni giustificatrici dell’apposizione del termine risulti dall’atto scritto non solo per indicazione diretta, ma anche per relationem, ove le parti abbiano richiamato nel contratto di lavoro testi scritti che prendono in esame l’organizzazione aziendale e ne analizzano le complesse tematiche operative.

E’ quanto nella sostanza la ricorrente sottolinea essere avvenuto nel caso di specie, in cui l’atto scritto di assunzione, dopo alcuni generici riferimenti ai processi di riorganizzazione aziendale, concretizza le “esigenze tecniche, organizzative e produttive” nella “attuazione delle previsioni di cui agli accordi 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio 2002”. Da tali accordi, che costituiscono un momento di esame comune delle parti sindacali delle esigenze organizzative e di cui sono riportati ampi stralci nel ricorso, secondo la ricorrente si desumerebbe l’esistenza di processi di mobilita’ introaziendale che legittimerebbero il ricorso alle assunzioni a termine, quale momento di riequilibrio territoriale e funzionale delle risorse umane.

Il giudice di merito, pur dando atto dell’intervento del D.Lgs. n. 368 del 2001, si limita ad un superficiale giudizio di genericita’ delle motivazioni addotte a giustificazione del contratto, senza procedere alla valutazione del grado di specificita’ delle ragioni indicate secondo la metodologia sopra indicata. La giurisprudenza di questa Corte ha, invece, ritenuto necessario che — di fronte ad una complessa enunciazione delle ragioni adottate a legittimazione dell’apposizione del termine – l’esame del giudice di merito deve estendersi a tutti gli elementi di specificazione emergenti dal contratto allo scopo di acclarare l’effettiva sussistenza, ivi ricomprendendo l’analisi degli accordi collettivi sopra indicati (v.

la citata sentenza 2279).

Essendosi — come gia’ evidenziato — la Corte di appello sottratta a questo compito, la censura e’ fondata e comporta l’accoglimento del secondo motivo secondo e del terzo, fatte salve per quest’ultimo le precisazioni che seguono.

7. Con riferimento a quest’ultimo motivo, infatti, detto dell’esattezza dei rilievi circa la diversa prospettiva in cui si muove la nuova legislazione del contratto a termine, deve essere disattesa la tesi sostenuta da Poste Italiane nella prima parte del mezzo in questione, secondo cui, nel sistema introdotto dal D.Lgs n. 368 del 2001 l’onere di provare le ragioni obiettive poste a giustificazione della clausola appositiva del termine graverebbe non sul datore di lavoro, ma sul lavoratore il quale dovrebbe dedurre e provare la non ricorrenza nel caso concreto della situazione legittimante il termine.

Al riguardo deve essere richiamata la gia’ citata sentenza n. 2279 del 2010 di questa Corte, la quale, sviluppando argomentazioni gia’ adottate in precedenti pronunzie (Cass. 21.5.08 n. 12985, e precedentemente Cass. 21.5.02 n. 7468 e 26.7.04 n. 14011), ha rilevato che l’onere probatorio deve posto a carico del datore.

Detta pronunzia ha posto in evidenza che — gia’ prima dell’introduzione del comma anteposto al D.Lgs. n. 368, art. 1 dalla L. 24 dicembre 2007, n. 247, art. 39 per il quale “il contratto di lavoro subordinato e’ stipulato di regola a tempo indeterminato” — detto art. 1 ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato e’ normalmente a tempo indeterminato, costituendo pur sempre l’apposizione del termine una ipotesi derogatoria.

Ha rilevato, inoltre, che la tecnica legislativa adottata dal decreto legislativo — secondo la quale l’apposizione del termine “e’ consentita” solo “a fronte” di determinate specifiche ragioni derogatorie — impone di considerare che le ragioni stesse, proprio perche’ adottate in deroga, sono normalmente da provare in giudizio da chi le deduce a sostegno delle proprie difese e che la pertinenza alla posizione del datore di lavoro delle situazioni derogatorie e’ elemento normalmente significativo del conseguente carico probatorio in giudizio.

Ha, infine, evidenziato che tale risultato ermeneutico e’ imposto dal richiamo della cd. clausola di non regresso contenuta nella direttiva a cui il decreto da attuazione, sia per le argomentazioni in precedenza svolte, sia per il riferimento al contenuto della delega alla base del decreto legislativo, che e’ limitato all’attuazione della direttiva, che non contiene disposizioni che si attaglino ad una diversa distribuzione dell’onere della prova con riguardo al primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato.

8. Accolti i motivi, secondo e terzo – quest’ultimo con l’importante precisazione sopra formulata – i motivi quarto e quinto sono assorbiti.

La sentenza impugnata deve essere conseguentemente cassata, con rinvio al giudice indicato in dispositivo per un nuovo esame della causa.

Tale esame dovra’ articolarsi nella previa valutazione della esistenza o meno del grado di specificazione richiesto dalla legge e, in caso di positivo accertamento, nella successiva verifica dell’effettiva ricorrenza nel caso concreto degli elementi di fatto che danno corpo alla ragioni di assunzione per come sono specificate.

L’onere probatorio al riguardo grava sul datore di lavoro e deve essere assolto sulla base delle istanze istruttorie formulate.

Il giudice del rinvio provvedera’ anche sulle spese del presente giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il primo motivo, accoglie il secondo ed il terzo e dichiara assorbiti il quarto ed il quinto. Cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte d’appello di Messina, anche per le spese.

Cosi’ deciso in Roma, il 13 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2010

 

 

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