Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1630 del 24/01/2020

Cassazione civile sez. II, 24/01/2020, (ud. 06/11/2019, dep. 24/01/2020), n.1630

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23854-2015 proposto da:

B.F., T.S., elettivamente domiciliati in ROMA

P.ZZA DELLA LIBERTA’ 10, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

PETILLO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

LEONARDO MINOIA;

– ricorrenti –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA VIA

G.PISANELLI 4, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE GIGLI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FAUSTO MARTINETTI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2081/2014 del TRIBUNALE di MONZA, depositata

il 08/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/11/2019 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;

Udito il P.G. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Capasso Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Uditi gli Avvocati Leonardo MINOIA E GIUSEPPE GIGLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il condominio (OMISSIS) sito in Monza, via Correggio, numero 26, conveniva in giudizio i coniugi T.S. e B.F. per ottenere l’accertamento della comproprietà dello stesso condominio della (OMISSIS), con conseguente dichiarazione di illegittimità dell’installazione di due cancelli posizionati dai convenuti sulla medesima strada e con ordine di ripristino dello stato pregresso dei luoghi, con riserva di azione risarcitoria.

1.1 I convenuti si costituivano in giudizio e in via riconvenzionale chiedevano l’accertamento del diritto di proprietà esclusiva e di godimento sui mappali racchiusi tra i due cancelli in questione, lamentavano l’illegittimità della recinzione dei box di proprietà condominiale, in quanto realizzati sui mappali di loro proprietà esclusiva, il mancato rispetto delle distanze di legge da parte della costruzione del condominio, con domanda di condanna alla rimozione della demolizione, chiedevano, infine, l’accertamento dell’intervenuta estinzione di ogni servitù esistente a carico del loro fondo, il risarcimento dei danni e l’accertamento dell’usucapione.

2. Il Tribunale di Monza, in accoglimento della domanda attorea, dava atto della comproprietà della strada privata (OMISSIS), dichiarava l’illegittima collocazione da parte dei convenuti dei due cancelli e li condannava al ripristino della strada privata mediante la loro rimozione e rigettava ogni altra domanda proposta.

In particolare, il Tribunale riteneva accertato e pacifico in causa che il condominio era ubicato sul mappale (OMISSIS) del nuovo catasto edilizio urbano di (OMISSIS), mappale confinante ad est con la strada privata (OMISSIS) oltre la quale vi era un appezzamento di terreno sul quale era ubicato l’immobile dei convenuti foglio (OMISSIS), mappale (OMISSIS). Oggetto della contestazione era l’apposizione di due cancelli sulla strada privata (OMISSIS) in comproprietà.

I convenuti rivendicavano la legittimità del loro operato e affermavano che la strada iniziava da (OMISSIS) e terminava in corrispondenza del confine del mappale (OMISSIS), mentre tutto il pregresso contenzioso intercorso con il dante causa del condominio, D.P.C., aveva ad oggetto il mappale (OMISSIS).

2.1 La Corte d’Appello evidenziava che i convenuti avevano affermato la loro proprietà esclusiva sui mappali (OMISSIS), 235, foglio 63 e per tale motivo era infondata la loro richiesta di integrazione del contraddittorio alla figlia T.S., nuda proprietaria di altre particelle non coinvolte nella controversia.

2.2 Il Tribunale, inoltre, riteneva sussistente la legittimazione ad agire del condominio, sia in virtù dell’art. 1130 c.c., comma 4, trattandosi di un’azione avente ad oggetto un atto conservativo delle parti comuni del condominio, e sia perchè, in ogni caso, l’iniziativa era stata previamente autorizzata dall’organo assembleare.

2.3 Quanto al merito della controversia il Tribunale evidenziava che su molte questioni sollevate si era già formato il giudicato scaturente da precedenti pronunce intervenute tra i medesimi coniugi T.- B. e D.P.C., dante causa del condominio.

In particolare, risultava definitivamente accertato che non esistevano titoli che attribuissero ai coniugi convenuti il diritto di comproprietà esclusiva in relazione alla quota indivisa del 50% dell’appezzamento di terreno corrispondente al mappale (OMISSIS) foglio (OMISSIS) del nuovo catasto del comune di (OMISSIS) e che era infondata la lamentata violazione della distanza minima di 6 mt. dal confine con riferimento a quanto edificato nel sottosuolo della via (OMISSIS), nonchè in superficie e che permanevano le servitù di passo, di sottopasso e di condotta a favore del mappale (OMISSIS) ed a carico della porzione di fondo destinata a strada di cui al precedente al mappale (OMISSIS).

In una delle precedenti pronunce passata in giudicato si era accertato che il dante causa degli attori, B.A., aveva acquistato la porzione di terreno come individuata nel tipo planimetrico e che non vi era alcuna violazione della normativa delle distanze nell’occupazione da parte del condominio di una parte del sottosuolo. Tale pronuncia era stata confermata sia dalla Corte d’Appello di Milano che dalla Corte di Cassazione che aveva sottolineato come fosse giustificata la prevalenza accordata alle planimetrie rispetto al frazionamento, evidenziando che erano basate solo sui dati catastali, aventi, come noto, valore sussidiario e che le planimetrie comprovavano la chiara ed inequivoca interpretazione della volontà delle parti risultante dai contratti stessi.

Quanto all’usucapione il Tribunale evidenziava che anch’essa era oggetto di una pronuncia della Corte d’Appello poi cassata e riconfermata dal giudice del rinvio che aveva ritenuto non provato il possesso utile ad usucapire.

2.4 Tutto ciò premesso a parere del Tribunale non poteva trovare accoglimento la tesi dei convenuti secondo la quale, poichè la controversia aveva ad oggetto mappali diversi rispetto a quelli oggetto delle pronunce in commento, non sussisteva alcuna preclusione di giudicato. Nel precedente giudizio, infatti, erano stati esaminati anche gli atti di provenienza del dante causa del condominio D.P.C., riguardanti quindi il mappale (OMISSIS) e, dunque, tenuto conto della conformazione dei luoghi come emergente dalla planimetrie, doveva essere disattesa ogni pretesa dei convenuti in punto di violazione delle distanze da parte del condominio attore e di abusivo sconfinamento della recinzione dei box interrati rispetto ai quali doveva ritenersi formato il giudicato sostanziale.

2.7 Quanto invece al riconoscimento della comproprietà della (OMISSIS) la pretesa del condominio attore era fondata. Premesso che non vi era stata alcuna lesione del diritto di difesa nell’espletamento della consulenza tecnica e che il giudice istruttore aveva anche sollecitato il consulente a rispondere con integrazione dell’elaborato alle osservazioni della parte convenuta, il Tribunale evidenziava che il mappale n. (OMISSIS) del vecchio catasto era stato frazionato in numerosi mappali e, come emergeva dal tenore dei singoli atti di compravendita, e come confermato dalla consulenza, i vari acquirenti avevano l’obbligo di destinare una striscia di terreno di tre metri alla creazione di una strada privata che consentisse l’accesso alle singole proprietà.

Tale striscia, prima della collocazione dei due cancelli, era stata effettivamente lasciata sicchè i vari atti di provenienza avevano costituito sulla striscia di terreno un diritto di transito iure proprietaris in capo a tutti i proprietari dei fondi limitrofi tenuti alla formazione di una via privata ex collatione agrorum privatorum mediante conferimento di una striscia di terreno di 3 mt. dal confine. Una volta accertato che il tratto di strada esistente tra i due cancelli era di proprietà di tutti i confinanti e, quindi, pure del condominio attore ne conseguiva che doveva essere garantito a tutti il diritto di servirsene e, dunque, che il manufatto rappresentato dai cancelli doveva essere rimosso con ripristino dello stato di fatto precedente.

2.8 Infine, quanto alla domanda di usucapione e a quella risarcitoria avanzata dai convenuti in via riconvenzionale, la stessa doveva essere svolta nei confronti di tutti i predetti comproprietari non solo verso il condominio, in ogni caso non sussistevano i presupposti dell’usucapione posto che il cancello era stato collocato solo nel 2008 e, quanto all’usucapione abbreviata, tenuto conto dei pregressi contenziosi avviati sin dal 1998 mancava sicuramente il requisito della buona fede e dell’ignoranza di ledere l’altrui diritto. Non vi era alcuna prova in punto di risarcimento del danno.

3. T.S. e B.F. hanno proposto appello avverso la suddetta sentenza.

4. La Corte d’Appello di Milano, seconda sezione civile, ha ritenuto ex art. 348 bis c.p.c. inammissibile l’appello.

5. T.S. e B.F. hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Monza ex art. 348 ter c.p.c. sulla base di cinque motivi di ricorso.

6. Il condominio (OMISSIS) di (OMISSIS), si è costituito con controricorso.

7. Con memoria depositata in prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno insistito nelle rispettive richieste.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione ed omessa applicazione dell’art. 101 e 102 c.p.c., omessa insufficiente contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 4.

A parere dei ricorrenti il Tribunale avrebbe errato nel ritenere non necessaria la partecipazione in giudizio dei proprietari dei fondi confinanti signori S. e di T.S. titolare della nuda proprietà dei mappali di cui è causa sul presupposto che l’azione del condominio non era preordinata al mutamento dei rapporti di comunione tra i confinanti che dall’azione avrebbero visto ampliato o tutelato il loro diritto di comproprietà sulla strada (OMISSIS).

Nella specie, invece, quantomeno in virtù della domanda riconvenzionale formulata dai convenuti e tesa a dimostrare l’esclusiva proprietà della pretesa strada anche per intervenuta usucapione e la domanda di accertamento della violazione delle distanze dell’edificio condominiale doveva essere disposta l’integrazione del contraddittorio con la chiamata in causa dei proprietari del fondo. Risulta pacifico che, qualora un comunista rivendichi la titolarità esclusiva per atto tra vivi o per intervenuta usucapione del preteso bene comune, tutti gli altri comproprietari assumono la qualifica di contraddittori necessari nel relativo giudizio. Di conseguenza l’omessa chiamata in causa di tutti i condomini costituisce violazione delle regole del contraddittorio, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado con la conseguenza che il giudice ex art. 102 c.p.c. deve ordinarne l’integrazione.

D’altra parte, la rimozione dei cancelli comporta la rimozione delle strutture, quali reti alberi ed altri manufatti posti a confine con le proprietà, con potenziale lesione dell’interesse dei terzi proprietari rimasti estranei al giudizio.

Inoltre, uno dei mappali interessati dalla sentenza era di proprietà di T.S., rimasta estranea al giudizio, che avrebbe motivo di opporsi alla decisione posto che i cancelli di cui è stata disposta la rimozione fungono da ingresso e recinzione della sua proprietà.

Dunque, il giudice di primo grado avrebbe dovuto integrare il contraddittorio mediante la chiamata di tutti i comproprietari della pretesa strada privata (OMISSIS) e la sentenza gravata sarebbe nulla o inutiliter data.

1.2 Il primo motivo è in parte inammissibile in parte infondato.

I ricorrenti, infatti, muovono una duplice doglianza di violazione del litisconsorzio, sia in relazione alla domanda attorea di rimozione del cancello che alla loro domanda riconvenzionale di usucapione.

La prima censura è infondata e la seconda è inammissibile.

L’amministratore di condominio, come si dirà con riferimento al secondo motivo, era legittimato ad agire per la rimozione del cancello sia in virtù dell’art. 1130 c.c., n. 4), sia sulla base del mandato conferito dall’assemblea di condominio con maggioranza qualificata.

Inoltre, il Tribunale aveva rigettato l’eccezione dei convenuti di integrazione del contraddittorio evidenziando il fatto che i signori S. e T.S. non erano comproprietari del fondo oggetto del giudizio e che non era necessario integrare il contraddittorio con i proprietari dei fondi confinanti.

Tale decisione è conforme all’orientamento consolidato di questa Corte secondo il quale: “Il litisconsorzio necessario ricorre, oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, ogni qualvolta la situazione sostanziale dedotta in giudizio debba essere necessariamente decisa in maniera unitaria, nei confronti di ogni soggetto che ne sia partecipe, onde non privare la decisione

dell’utilità connessa all’esperimento dell’azione proposta”

(Sez. 2, Sent. n. 11612 del 1997) e, dunque, i signori S. e T.S. non possono essere ritenuti litisconsorti necessari, essendo del tutto estranei all’oggetto del giudizio. Del resto lo stesso ricorrente invoca solo un generico interesse dei proprietari dei fondi confinanti conseguente alla sua condanna alla rimozione del cancello, interesse che nel caso dovesse ritenersi sussistente non comporterebbe comunque la necessaria partecipazione al giudizio ex art. 102 c.p.c..

Quanto alla violazione del contraddittorio sulla domanda riconvenzionale di usucapione l’inammissibilità deriva da un duplice ordine di ragioni. In primo luogo, i ricorrenti hanno indicato solo genericamente i litisconsorti nei confronti dei quali avrebbero dovuto provvedere ad integrare il contraddittorio ovvero i proprietari degli appartamenti del condominio IRS che li rappresentava in giudizio.

Sul punto questa Corte ha già chiarito che la non integrità del contraddittorio è rilevabile, anche d’ufficio, in qualsiasi stato e grado del procedimento e, quindi, anche in sede di giudizio di legittimità ma, la parte che eccepisce la non integrità del contraddittorio ha l’onere non soltanto di indicare le persone che debbono partecipare al giudizio quali litisconsorti necessari e di provarne l’esistenza, ma anche quello di indicare gli atti del processo di merito dai quali dovrebbe trarsi la prova dei presupposti di fatto che giustificano la sua eccezione (Sez. 2, Sent. n. 25305 del 2008).

In secondo luogo, i proprietari degli appartamenti del Condominio (OMISSIS) non avrebbero alcun interesse a partecipare al giudizio che li ha visti interamente vittoriosi rispetto alla domanda di usucapione dei ricorrenti.

Questa Corte, infatti, ha già affermato (sentenza n. 24071 del 2019, non ancora massimata) che la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i comproprietari di un bene oggetto di domanda di usucapione è funzionale, in primo luogo, alla tutela dei comproprietari, onde consentire loro di difendersi in un giudizio di accertamento di una situazione giuridica confliggente con quella preesistente (cfr. Cass. 5559/94); in secondo luogo, alla tutela dello stesso attore, onde impedire che, all’esito del giudizio, la sentenza che riconosca il diritto dal medesimo azionato risulti inutiliter data, in quanto inopponibile ai litisconsorti necessari pretermessi.

Ne consegue che, a fronte di una sentenza che abbia rigettato la domanda di usucapione, non può ritenersi sussistente alcun interesse alla rinnovazione del giudizio in contraddittorio con i comproprietari pretermessi, nè in capo a questi ultimi, nè in capo all’attore (nella specie in via riconvenzionale). Quanto ai comproprietari pretermessi, la suddetta sentenza non pregiudica in alcun modo i loro diritti, giacchè essi, in sostanza, sono virtualmente vittoriosi nel giudizio in cui sono stati pretermessi.

Quanto all’attore, per costui è irrilevante, in ragione del contenuto della sentenza (di accertamento negativo del suo diritto), la non opponibilità della stessa ai litisconsorti necessari pretermessi; nè, d’altra parte, gli odierni ricorrenti deducono, nel mezzo di ricorso in esame, che la mancata partecipazione al giudizio dei litisconsorti pretermessi abbia recato una qualsivoglia limitazione al pieno dispiegamento del loro diritto di difesa. In sostanza l’unico interesse alla ripetizione del processo riconoscibile in capo ai ricorrenti è individuabile non nella esigenza di rimediare ad un vulnus recato al loro diritto di difesa ed al loro diritto al contraddittorio dalla mancata partecipazione al giudizio dei litisconsorti necessari, ma nella speranza che un nuovo giudizio si concluda con esito diverso da quello già celebrato. Il suddetto interesse non è meritevole di tutela, del resto, la reiterazione del giudizio in assenza di qualsivoglia lesione della posizione giuridica dei litisconsorti pretermessi e di qualsivoglia pregiudizio patito dal diritto di difesa degli attori (e dei convenuti, integralmente vittoriosi) risulterebbe contraria alle esigenze di economia processuale strumentali all’attuazione del principio della ragionevole durata del processo sancito dal novellato art. 111 Cost., comma 2, u.p., che impone un’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni del codice di rito in chiave ancora più accentuatamente funzionale e antiformalistica.

Deve, dunque, darsi continuità al seguente principio espresso in Cass. 2461/09, dove si afferma: “l’inammissibilità per difetto di interesse del motivo di ricorso per cassazione con il quale la parte soccombente si dolga della mancata integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorzi necessari, quante volte essa non avrebbe potuto trarre alcun vantaggio dalla partecipazione al giudizio dei litisconsorti pretermessi, per essere risultate infondate tutte le altre censure mosse alla sentenza impugnata e per non potersi neppure astrattamente ipotizzare, in relazione all’atteggiarsi delle singole situazioni, che la partecipazione al giudizio dei litisconsorti sarebbe stata suscettibile di risolversi in una decisione di contenuto diverso e favorevole alla stessa parte soccombente”.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione degli artt. 99 e 100 c.p.c. e artt. 1130 e 1131 c.c. mancanza di legittimazione o di rappresentanza in capo all’amministratore di condominio in relazione art. 360 c.p.c., n. 3.

A parere dei ricorrenti l’accertamento di diritti reali esula dalle attribuzioni conferite dall’amministratore del condominio dall’art. 1130 c.c. e dalla sfera di rappresentanza attribuitagli dall’art. 1131 c.c. pertanto pur in presenza di una delibera assembleare che autorizza l’amministratore ad agire in giudizio, tale delibera, dovendosi ricomprendere tra i mezzi di conferimento della rappresentanza previsti dall’art. 1131 c.c. nei limiti dell’attribuzione di quell’art. 1130 c.c., non è idonea a legittimare l’amministratore all’introduzione di una controversia inerente singoli diritti di proprietà spettanti a ciascun condomino.

2.1 II secondo motivo è infondato.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l’amministratore è legittimato, senza necessità di autorizzazione dell’assemblea dei condomini, ad instaurare il giudizio per ottenere il rilascio di un bene condominiale anche mediante la richiesta di demolizione di opere, essendo il recupero del bene essenziale per l’ulteriore fruizione dello stesso bene da parte di tutti i condomini. Ciò in base ad un’interpretazione estensiva dell’art. 1130 c.c., n. 4), in quanto tale azione si collega al potere dell’amministratore di esercitare gli atti conservativi sui beni di proprietà comune del condominio (vedi per casi simili Sez. 3, Sent. n. 1768 del 2012, Sez. 2, Sent. n. 18207 del 2017, Sez. 2, Sent. n. 16631 del 2007, Sez. 2, Sent. n. 16230 del 2011).

In ogni caso, con riferimento alla domanda di accertamento della comproprietà della via (OMISSIS), anche volendo ritenere tale domanda autonoma rispetto alla richiesta di demolizione del cancello apposto dai ricorrenti sulla stessa, deve evidenziarsi che l’amministratore era stato incaricato di istaurare il giudizio dall’assemblea condominiale e i ricorrenti non contestano che l’approvazione dell’assemblea era stata fatta con maggioranza qualificata o, come affermato dai controricorrenti, con il consenso unanime di tutti i condomini -, sicchè non può sorgere alcun dubbio circa la sua piena legittimazione a stare in giudizio.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 810 c.c. e segg. con particolare riguardo agli artt. 840, 841, 873 e 950 da art. 1362 c.c. da a artt. 1371 e 2909 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il ricorrente ritiene che l’efficacia del giudicato di cui parla il giudice sia errata in quanto le precedenti sentenze riguardavano il mappate (OMISSIS) su cui era edificato l’unico tratto esistente della (OMISSIS) mentre il condominio doveva dare prova dell’effettiva realizzazione dell’ulteriore tratto oggetto della presente causa. Inoltre, alcune conclusioni del precedente giudizio sarebbero erronee come l’interpretazione del rogito del luglio 1962 tra S. e B.A.. Da tale rogito, letto nella sua completezza, emergerebbe, infatti, l’esistenza di due strade una progettata sul confine, l’altra adiacente il confine, una delle quali mai realizzata.

Il giudice del merito si sarebbe limitato a far proprio in modo acritico gli erronei passaggi della sentenza numero 156 del 1999 senza tener conto dei criteri dettati per l’interpretazione dei contratti dall’art. 1362 c.c. e ss..

Tali criteri impongono l’interpretazione del contratto complessivamente considerato secondo la comune intenzione delle parti e secondo buona fede. Il signor B., dante causa degli odierni ricorrenti, aveva acquistato a misura il mappale (OMISSIS), foglio (OMISSIS) di ettari 0,940. Tale contratto, pertanto, deve essere letto integralmente e interpretato secondo buona fede, attribuendo alle clausole il senso che risulta dal complesso dell’atto.

Il ricorrente formula un sub motivo rubricato 3.1: erroneità del criterio interpretativo adottato per la determinazione del confine insufficienza e contraddittorietà della motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Il Tribunale di Monza fonda interamente la sentenza impugnata sul presupposto, erroneamente considerato anche dalla sentenza numero 156 del 1999, che le mappe catastali su cui i coniugi T.- B. fondavano le loro ragioni abbiano valore meramente sussidiario per la determinazione dei confini tra i fondi e che il richiamo al tipo di frazionamento sia finalizzato più all’individuazione catastale del terreno che all’identificazione dello stesso.

In particolare, il ricorrente si duole che per l’identificazione del bene non sia stato considerato il tipo di frazionamento in contrasto con la giurisprudenza di legittimità e con le evidenze documentali emerse dalla consulenza tecnica.

Il ricorrente sottolinea che ai sensi dell’art. 950 c.c., in assenza di elementi idonei a provare la reale linea di confine tra due fondi il giudice debba attenersi al confine delineato dalle mappe catastali la cui rilevanza probatoria invece è stata sconfessata dal giudice del merito. Tali affermazioni sarebbero poi state avallate dalla Corte d’Appello e dalla Corte di Cassazione, si tratterebbe tuttavia di un errore interpretativo dovuto a una suggestione dell’allora CTP geometra Ma., che aveva indicato come frazionamento catastale il tipo di frazionamento richiamato negli atti in tal modo inducendo in errore tutti giudici nei vari gradi di giudizio.

Il ricorrente formula un ulteriore sub motivo così rubricato 3.2: omessa insufficiente contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

La pretesa netta discrepanza tra le misure indicate nei due elaborati grafici evidenziata dal Tribunale di Monza nell’impugnata sentenza, a parere del ricorrente, si deve alla pacifica riscontrata decurtazione del terreno subita dal mappale (OMISSIS) sul quale è stato edificato il condominio dell’attore ed inspiegabilmente non presa in considerazione dai consulenti tecnici e dai giudici.

I ricorrenti lamentano che la decurtazione di terreno non sia stata considerata al fine di determinare la misura del mappale oggetto dell’avvenuta riduzione del quale si doveva tener conto per stabilire l’attuale misura del fondo in modo da ritenere che il condominio non era comproprietario della strada.

Il ricorrente formula un’ulteriore censura nell’ambito del terzo motivo così rubricata 3.3: Errata valutazione delle risultanze istruttorie omessa insufficiente contraddittoria motivazione in relazione all’art. 116 c.p.c. e art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Il ricorrente lamenta l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha affermato che l’attribuzione di 3 mt. di una striscia di terreno e di 3 mt. per la creazione di una strada privata che consentisse l’accesso alle varie proprietà al momento del frazionamento del terreno non era mai stata realizzata. Sul punto evidenzia l’erroneità della consulenza tecnica d’ufficio che ha determinato l’erronea conclusione circa la comproprietà anche del condominio del tratto di strada tra i due cancelli con conseguente diritto ad ottenere la rimozione dei manufatti e il ripristino dello stato di fatto precedente.

La sentenza non avrebbe tenuto conto del fatto che la strada privata (OMISSIS) inizia da (OMISSIS) e termina in corrispondenza del confine del mappale (OMISSIS) e dunque anche l’effetto del giudicato delle sentenze sopra citate si limiterebbe al mappale (OMISSIS) non potendo svolgere alcun effetto sulle diverse proprietà di cui ai mappali n. (OMISSIS). Inoltre, il giudice avrebbe ignorato tutte le vicende relative alla strada privata (OMISSIS) esposte e documentate nell’istruttoria.

Il ricorrente formula un’ulteriore censura nell’ambito del terzo motivo così rubricata 3.1.3: omessa contraddittoria insufficiente motivazione in ordine al respingimento della domanda riconvenzionale, errata interpretazione dell’art. 873 c.c. ed errata valutazione della prova (in relazione all’art. 116 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 3).

Il ricorrente ritiene che nel rigettare la propria domanda riconvenzionale di demolizione dei manufatti condominiali per mancato rispetto delle distanze il giudice non abbia tenuto conto delle emergenze documentali e del loro indiscutibile valore confessorio svolta nel corso giudizio di primo grado.

3.5 Il terzo motivo, comprensivo di tutte le censure articolate dal ricorrente nei sub-motivi 31., 3.2, 3.3 e 3.1.3, è inammissibile.

In primo luogo, quanto alla censura di violazione delle regole di interpretazione dei contratti di cui all’art. 1362 c.c. e ss., deve, da un lato, osservarsi la genericità della censura e, dall’altro, il difetto di specificità del motivo, in quanto i ricorrenti non riportano il contenuto del contratto del luglio del 1962 intercorso tra S. e B., contratto del quale lamentano l’erronea interpretazione.

In proposito non può che richiamarsi il consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale: “Qualora, con il ricorso per cassazione, venga fatta valere la inesatta interpretazione di una norma contrattuale, il ricorrente è tenuto, in ossequio al principio dell’autosufficienza del ricorso, a riportare nello stesso il testo della fonte pattizia invocata, al fine di consentirne il controllo al giudice di legittimità, che non può sopperire alle lacune dell’atto di impugnazione con indagini integrative” (ex plurimis Sez. 3, Ord. n. 6735 del 2019).

Inoltre, sono inammissibili anche le censure relative all’erronea statuizione circa l’efficacia di giudicato delle precedenti sentenze che avevano rigettato le medesime domande dei coniugi T.- B. nei confronti di D.P.C., dante causa del condominio (OMISSIS).

Il Tribunale, infatti, ha ritenuto che sulla base dell’istruttoria e tenuto conto dello stato dei luoghi l’oggetto dei precedenti giudizi ricomprendeva anche il tratto di strada in esame. Tale statuizione si fonda su un giudizio di fatto insindacabile in questa sede. In ogni caso nel ricorso non è riportato il testo delle suddette sentenze passate in giudicato, sicchè non è possibile esaminare le doglianze del ricorrente dovendosi fare applicazione del seguente principio di diritto già affermato da questa Corte: “L’interpretazione del giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, nei limiti, però, in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del principio di autosufficienza di questo mezzo di impugnazione, con la conseguenza che, qualora l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo” (Sez. L, Sent. n. 5508 del 2018).

Inoltre le restanti censure di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione anche in ordine alla valutazione delle risultanze istruttorie presentano un ulteriore motivo di inammissibilità per non essere riconducibili al modello proposto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 nella nuova formulazione prevista dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame.

Prevede il nuovo testo che la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione solo in caso di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Orbene è noto come, secondo le Sezioni Unite (n. 8053 e n. 8054 del 2014), la norma consenta di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Ne consegue che, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Viceversa, nella specie i ricorrenti deducono, in termini assolutamente generali, che il percorso logico argomentativo, seguito dal Tribunale di Monza per motivare, sotto i vari profili, la decisione impugnata, sarebbe erroneo e dunque le censure si risolvono, in buona sostanza, nella richiesta generale e generica di una inammissibile rivalutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, con riguardo al complessivo contesto delle risultanze probatorie acquisite, in senso antagonista rispetto a quella compiuta dal primo giudicante e per di più in presenza di un giudicato sul medesimo oggetto (Cass. n. 1885 del 2018).

4. I ricorrenti si erano visti respingere anche la domanda riconvenzionale di accertamento dell’usucapione sul presupposto che questa si sarebbe dovuta svolgere nei confronti dei singoli condomini proprietari e vedendosi così negata ogni possibilità di vedersi riconosciuto il proprio diritto dovendosi dunque disporre l’integrazione del contraddittorio in ragione della domanda riconvenzionale.

Qualora si voglia ritenere che il punto 4 del ricorso ora riportato costituisca un autonomo motivo di ricorso non può che osservarsi che si tratta di una censura ripetitiva di quanto dedotto con il primo motivo e, dunque, inammissibile per le medesime ragioni già esposte.

4.1 Intervenuta usucapione decennale della strada ex art. 1159 c.c. violazione e falsa applicazione della norma.

Il ricorrente afferma che sussisteva il requisito della buona fede inteso come ignoranza di ledere un diritto altrui risalendo il proprio acquisto al 1976 e, dunque, avendo i convenuti acquistato, goduto e disposto dell’immobile per oltre un ventennio nella convinzione di essere proprietari anche del terreno.

Dunque, l’usucapione sarebbe stata efficace sin dal 1986, dopo un decennio dal suddetto atto, a nulla rilevando i successivi contenziosi da cui il Tribunale di Monza ha ricavato le ragioni della mancanza del possesso di buona fede.

I ricorrenti affermano di essere stato ingiustamente spogliati della strada privata (OMISSIS) posizionata unicamente sul mappale (OMISSIS) di loro proprietà. Per affermare l’erroneità della sentenza numero 156 del 1999 e delle successive ricostruiscono le vicende del terreno in oggetto a partire dal 1962 allorchè il loro dante causa acquistò a misura il lotto di terreno in oggetto, per poi fare riferimento al già citato atto del 1976 con il quale avevano acquistato anche il mappale (OMISSIS) e i fondi limitrofi di cui ai mappali (OMISSIS) e 5, accorpandolo alla loro proprietà, al fine di dimostrare la buona fede nell’acquisto ex art. 1159 c.c..

4.2 Intervenuta usucapione ventennale della strada ex art. 1158 c.c. violazione e falsa applicazione della norma.

In ogni caso, oltre all’invocata usucapione decennale della strada, nella fattispecie sussisterebbero gli estremi per la declaratoria dell’intervenuta usucapione ordinaria ex art. 1158 c.c. avendo i ricorrenti anche mediante il loro dante causa sempre posseduto uti dominus i terreni in oggetto. Inoltre, i ricorrenti evidenziano l’erroneità dell’affermazione del giudice di primo grado secondo cui sulla domanda di usucapione da loro avanzata in via riconvenzionale si era formato il giudicato sostanziale, quando invece il giudizio riguardava un differente bene immobile acquistato, posseduto e gestito con modalità differenti.

4.3 I motivi numerati dal ricorrente come 4.1 e 4.2 sono inammissibili.

In primo luogo, deve evidenziarsi che già nel corso del giudizio di merito, rispetto alla domanda di usucapione formulata dai convenuti il Tribunale aveva evidenziato che la stessa riguardava l’intera (OMISSIS) e che la medesima pretesa era già stata respinta in altro giudizio dalla Corte d’Appello di Milano a seguito di rinvio del giudice di legittimità. In tale sentenza la domanda di usucapione era stata rigettata perchè non era stato provato il possesso ad usucapione sia in capo al dante causa dei coniugi T.- B. che in capo a quest’ultimi, ciò sia ai sensi dell’art. 1158 c.c. che sensi del successivo art. 1159.

Avverso tale sentenza era stato proposto ricorso per cassazione che, nelle more del presente giudizio di legittimità, si è concluso con il definitivo rigetto della domanda di usucapione.

Dunque, anche in relazione a tale domanda si è formato il giudicato sostanziale in quanto, come riscontrato dal giudice di merito, la suddetta sentenza aveva ad oggetto anche il tratto di strada oggetto del presente giudizio. Infatti il Tribunale, con riferimento ai mappali (OMISSIS), aveva affermato l’infondatezza della tesi degli odierni ricorrenti circa la non coincidenza dei suddetti mappali rispetto a quelli oggetto della loro precedente domanda di usucapione già dichiarata infondata.

Dunque, anche rispetto alla domanda riconvenzionale di usucapione, non può che evidenziarsi l’esistenza di un giudicato che pur se formatosi tra diverse parti, ovvero i ricorrenti e D.P.C. dante causa del condominio, fa stato anche nei confronti di quest’ultimo.

Tale giudicato è estensibile a tutti i condomini-comproprietari i quali, sarebbero inutilmente chiamati a partecipare al giudizio.

In ogni caso con riferimento alle censure di violazione e falsa applicazione degli artt. 1158 e 1159 c.c., le stesse si risolvono in un’inammissibile richiesta di rivalutazione in fatto con la quale si vuole mettere in discussione l’apprezzamento del giudice di merito, peraltro congruamente e correttamente motivato, sui presupposti necessari per l’usucapione. Tale giudizio di merito è sottratto al sindacato in sede di legittimità, salvo il caso di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione.

5. Insufficienza, illogicità e contraddittorietà della sentenza in ordine all’eccepita nullità della CTU.

I ricorrenti lamentano che il consulente tecnico non aveva allegato agli atti di causa la perizia di parte con evidente grave violazione delle regole del contraddittorio. In tal modo, infatti, aveva impedito al giudice la critica valutazione delle conclusioni del consulente d’ufficio che, peraltro, aveva mostrato anche un’ingiustificata inimicizia nei confronti dei ricorrenti.

5.1 Il quinto motivo è inammissibile.

Anche in questo caso i ricorrenti censurano la motivazione del Tribunale sulla base del vecchio testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non più in vigore. Valgono, pertanto, le medesime considerazioni già esposte con riferimento alle censure proposte con il terzo motivo.

Peraltro, la sentenza impugnata è ampiamente motivata e pone in luce come i ricorrenti fossero stati autorizzati al deposito di note a verbale e all’esito della prima integrazione peritale erano stati autorizzati ad ulteriore note di osservazione e chiarimenti della CTU, note che avevano ricompreso anche i rilievi tecnici del consulente di parte. Infine, il giudice istruttore, rilevata l’omessa replica da parte del consulente tecnico d’ufficio alle osservazioni della difesa degli odierni ricorrenti, aveva sollecitato il CTU a depositare una seconda integrazione del suo elaborato peritale.

Risulta, dunque, pienamente condivisibile la conclusione del Tribunale, secondo la quale, non era riscontrabile alcuna lesione del diritto di difesa dei ricorrenti.

5. Il ricorso è rigettato.

6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.700 di cui 200 per esborsi;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis del cit. art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2020

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA