Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16298 del 04/08/2016

Cassazione civile sez. III, 04/08/2016, (ud. 13/05/2016, dep. 04/08/2016), n.16298

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24882-2013 proposto da:

CELUC LIBRI SRL, (OMISSIS) in persona dell’Amministratore unico

B.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NEMORENSE 18,

presso lo studio dell’avvocato GIUNIO RIZZELLI, che la rappresenta e

difende giusta procura speciale del Dott. Notaio GIUSEPPE GALLISTA

in MILANO il 29/10/2013, rep. n. 31150;

– ricorrenti –

contro

L.G.S., L.F. entrambi quali figli ed eredi

di P.D. elettivamente domiciliati in ROMA, VIA RIMINI

14 SC. B, presso lo studio degli avvocati CARUSO GIOVANNI E

NICOLETTA, rappresentati e difesi dall’avvocato CARLO CAMA giusta

procura speciale in calce al ricorso notificato;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2731/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 03/08/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/05/2016 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito l’Avvocato GIUNIO RIZZELLI;

udito l’Avvocato ANDREA STORI per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La s.r.l. CELUC Libri ha proposto ricorso per cassazione contro la L.S.G. e L.F., quali figli ed eredi di P.D. avverso la sentenza del 3 agosto 2012, con la quale la Corte d’Appello di Milano ha rigettato l’appello proposto da essa ricorrente contro la sentenza del Tribunale di Milano del 1 luglio 2008.

2. Al ricorso hanno resistito con controricorso gli intimati.

3. Parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio rileva che il ricorso è inammissibile, di modo che non occorre riferire dei motivi di ricorso.

La ragione di inammissibilità si configura nell’assoluta mancanza di osservanza del requisito dell’esposizione sommaria dei fatti della causa, di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3.

Per dar conto di tale rilievo, il Collegio ritiene necessario riprodurre anastaticamente il tenore della parte del ricorso con cui la ricorrente avrebbe inteso assolvere all’onere di enunciazione di quel requisito.(Ndr: per le copie del processo di 1 e 2 grado, leggere pdf).

a) da quanto riportato alla pagina 8 e 9 sotto il punto 1 non è dato comprendere quali fossero stati i fatti costitutivi della domanda introduttiva del giudizio proposta da P.D., atteso che essi non vengono in alcun modo sostanzialmente identificati: infatti, si dice che l’attrice esponeva di avere stipulato con la CELUC Libri un contratto preliminare di vendita di due unità immobiliare, cui seguiva la consegna prima dell’una e poi dell’altra, che il definitivo non veniva stipulato e che le unità immobiliari venivano detenute da allora. Si riferisce che l’attrice avrebbe esposto che tra le parti era insorto un lungo contenzioso del quale essa avrebbe riassunto solo alcuni aspetti e che stante la detenzione delle unità immobiliari l’attrice si era vista costretta ad adire nuovamente l’autorità giudiziaria per ottenere il pagamento di una somma a titolo di oneri condominiali.

Queste brevi indicazioni sul contenuto dell’atto introduttivo di giudizio sono inframmezzate a pagina 8 dall’evocazione da parte della ricorrente di pretese carenze di esposizione della vicenda dipendenti da accadimenti relativi a due altri giudizi, e, quindi, concluse nella prima metà della pagina 9 dalla indicazione di dati fattuali di cui l’attrice sarebbe stata consapevole e dei quali peraltro per il lettore del ricorso non solo resta oscuro il significato, ma, soprattutto l’utilità in funzione dell’esposizione del fatto di cui al’art. 366 c.p.c., n. 3.

Il tenore del punto 1, è tale da non individuare i fatti costitutivi della domanda giudiziale avversaria, perchè non li riferisce, sebbene in modo sommario, ma vi allude del tutto genericamente: l’unico dato che viene enunciato e, dunque, il lettore apprende è che la domanda postulava il pagamento di oneri condominiali correlati alla detenzione delle unità immobiliari insorta da un contratto preliminare, ma nulla si sa sul come e perchè secondo il tenore della domanda questi oneri fossero stati richiesti.

Nè l’individuazione di quei fatti emerge dagli incomprensibili riferimenti ai giudicati ed ai dati fattuali, dei quali l’attrice si dice che avrebbe dovuto essere consapevole nell’articolare la domanda: essi restano del tutto oscuri e, peraltro, non sono funzionali ad individuare il tenore della domanda ma a criticarlo nel presupposto che l’attrice non avrebbe dovuto agire in quanto avrebbe dovuto essere consapevole di una serie di circostanze.

Il tenore della domanda resta, però, del tutto oscuro, sicchè non si sa quali fatti costitutivi avesse avuto la domanda giudiziale. Fatti che, inerendo essa ad un diritto di credito ad una prestazione di danaro, avrebbero dovuto essere indicati in funzione della stessa identificazione della domanda, mentre tutto ciò che si dice è che la somma veniva chiesta per oneri condominiali dipendenti da detenzione. Enunciazione che non spiega, sebbene sommariamente, non solo come e perchè fosse stata giustificata in iure la domanda, ma neppure i fatti storici che sulla base della non indicata prospettazione in iure, avevano giustificato la domanda.

b) Nei successivi punti 2 e 3 si svolgono considerazioni a commento dell’azione avversaria che suonano come critiche all’esercizio dell’altrui azione, ma peraltro sulla base di generiche e incomprensibili allusioni ai giudicati ed ai fatti oscuramente prima evocati a critica dell’esercizio dell’azione (rimasta, peraltro, oscura).

c) nei successivi punti 4, 5 e 6, invece di enunciare sommariamente le ragioni della prospettazione difensiva della comparsa, si allude al carattere voluminoso della comparsa di risposta depositata ed alla sua giustificazione ed i riferimenti del punto 6 suonano del tutto incomprensibili ed oscuri, perchè riferiti per relationem e perchè nemmeno raccordabili al tenore rimasto incognito dei fatti costitutivi della domanda.

d) nei successivi punti dal n. 7 al n. 68 al lettore del ricorso vengono somministrate dalla pagina 10 sino alla pagina 19 una serie di notizie circa lo svolgimento processuale del giudizio di primo grado che nuovamente scontano non solo l’impossibilità di percepirne il senso, dato che prima non si è individuato il tenore dei fatti costitutivi della domanda e della prospettazione difensiva, ma, inoltre, sono infarcite dell’evocazione di dati riferiti ad elementi esterni la cui comprensione supporrebbe la conoscenza degli atti da cui emergerebbero e di riferenti argomentativi che parimenti restano incomprensibili, sicchè la lunga esposizione non assolve in alcun modo a quell’attività di narrazione storica per riassunto con cui si dovrebbe assolvere l’onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3.

e) nel punto 69, che vorrebbe chiudere l’esposizione del fatto riguardo al giudizio di primo grado, si omette, in fine di riassumere, sebbene sempre in via sommaria, le ragioni della decisione di primo grado. Si dice, infatti, solo che il Tribunale avrebbe aderito acriticamente alle tesi avversarie, rimaste incognite, però, nella pregressa esposizione.

f) nel prosieguo della pagina 19 si rileva che nei punti 70, 71 e 72 vanamente si cercherebbero i motivi dell’appello, che si dicono peraltro essere stati dodici.

g) tutto ciò che viene narrato nei punti 76 – 79 e che riguarda la negazione dell’accoglimento dell’istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado, viene enunciato con la consueta tecnica di criticare la decisione senza riferirne i contenuti.

h) nessun riferimento specifico, sebbene sommario, si fa al tenore delle difese dell’appellata e l’asserto che essa non avrebbe smentito quanto in fatto ed in diritto aveva sostenuto la CELUC rimane del tutto oscuro, dato che oscuro è rimasto quanto aveva dedotto con l’appello la CELUC.

i) in fine non viene fatta alcuna enunciazione riassuntiva delle ragioni della decisione della Corte territoriale.

1.3 Ebbene, rileva il Collegio che per le ragioni indicate la pur lunga parte del ricorso con cui si è inteso assolvere all’onere di esposizione del fatto risulta del tutto inidonea allo scopo.

Ciò secondo il significato che all’art. 366 c.p.c., n. 3 annette la giurisprudenza di questa Corte.

Invero, è principio consolidato quello secondo cui il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è volto a garantire la regolare e completa instaurazione del contraddittorio e può ritenersi soddisfatto, senza necessità che esso dia luogo ad una premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi, laddove il contenuto del ricorso consenta al giudice di legittimità, in relazione ai motivi proposti, di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata.” (Cass. sez. un. n. 11653 del 2006).

Le stesse Sezioni Unite avevano, d’altro canto, già osservato che: “Il disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, secondo cui il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa, risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. sez. un. n. 2602 del 2003).

Si deve aggiungere che il requisito dell’esposizione sommaria del fatto sostanziale e processuale è divenuto tanto più importante a seguito della innovazione legislativa introdotta nella disciplina del libro primo del c.p.c. (e che sarebbe perciò certamente applicabile anche alle sentenze di cassazione) e che è d’indiretta, ma sicura rilevanza pratica in sede di giudizio di legittimità: si tratta della modifica (ex lege n. 69 del 2009) dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ai sensi del quale la sentenza deve contenere non più la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e in diritto della decisione”, bensì “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”. Prescrizione che, poi, il pure novellato art. 118 disp. att. c.p.c., ridimensiona (all’apparenza) ulteriormente, parlando della “succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi.

Queste disposizioni, applicabili – ai sensi della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 2, ai processi pendenti in primo grado alla data della sua entrata in vigore (ed anche a quelli pendenti in appello ed in cassazione, a meno di ritenere che la novità normativa si sia inteso applicarla solo a far tempo dalle decisioni rese in primo grado dopo l’entrata in vigore della legge) – almeno apparentemente parrebbero legittimare i giudici di merito ad omettere qualsiasi riferimento allo svolgimento del processo, il che può rendere al lettore pressochè incomprensibile la decisione.

Senza indulgere a spiegare perchè un’esegesi ragionevole della nuova previsione comporti che essa non debba essere presa alla lettera dai giudici di merito, atteso che non si riesce a comprendere come, almeno entro certi limiti, si possano esporre le ragioni di fatto e di diritto della decisione senza dar minimo conto e per quanto necessario dello svolgimento processuale, potendo configurarsi in casi limite, il rischio di una motivazione del tutto apparente sul piano percettivo, importa qui rilevare che non è dubitabile che nel nuovo contesto normativo, il requisito di cui al n. 3 assuma certamente rinnovata importanza, perchè impone alla parte ricorrente in Cassazione – sempre che la sentenza non impinga per quanto si è appena rilevato in un’apparenza di motivazione – di sopperire ad eventuali manchevolezze della sentenza nell’individuare fatto sostanziale e – soprattutto – processuale.

1.4. Ebbene la sopra riportata esposizione del fatto nel ricorso in esame è del tutto carente secondo i principi di diritto che si sono ricordati.

La lettura di essa, per come si è spiegato sopra, lascia del tutto oscuro non solo il fatto sostanziale, siccome espresso dalla domanda e dalla comparsa di risposta, ma lascia sostanzialmente incognito ed oscuro l’atteggiarsi di esso nello svolgimento del primo grado di giudizio, sia nello svolgimento del contraddittorio fra le parti, sia nella decisione di primo grado, sia nel tenore dell’appello e della comparsa di risposta in quel giudizio, sia nella sentenza impugnata.

Tutto ciò non emerge nonostante la lunghezza dell’esposizione e sebbene dovesse emergere solo in modo riassuntivo ed appunto sommario, come impone il paradigma dell’art. 366 c.p.c., n. 3.

Ed anzi – rileva il Collegio – nemmeno emergerebbe se quel paradigma non imponesse sommarietà, perchè la lettura della lunga esposizione in ogni caso presenta le decisive oscurità che si sono indicate.

In tale situazione non è nemmeno possibile procedere alla lettura dei dodici motivi di ricorso che iniziano a partire dalla seconda metà della pagina 21 e si dipanano sino alla pagina 138, in quanto la Corte vi potrebbe procedere non già per scrutinarli dopo aver acquisito conoscenza dell’esposizione sommaria del fatto sostanziale e processuale, ma senza avere avuto tale conoscenza.

Nè potrebbe ipotizzarsi, secondo il principio della idoneità al raggiungimento dello scopo, che i motivi possano fornire l’esposizione del fatto.

Tale modus procedendi non solo è incompatibile con il fatto che parte ricorrente ha redatto apposita parte del ricorso in funzione dell’assolvimento del requisito dell’art. 366, n. 3, e dunque, suonerebbe come una manifesta contraddizione con tale volontà e con il correlato principio di auto responsabilità nella condotta processuale, cercare aliunde quello che egli ha dichiaratamente assunto come esposizione del fatto, ma è anche del tutto contrario al principio di economia processuale che deve ispirare il lavoro della Corte di cassazione, nella nota situazione in cui Essa, nonostante la funzione di Corte Suprema, è assediata da una inusitata mole di ricorsi: infatti, cercare nell’esposizione di dodici motivi e nel numero di pagine che vi si dedica la sommaria esposizione del fatto sostanziale e processuale suonerebbe come impresa contraria a quel principio, che è funzionale all’assicurazione del Servizi Giustizia, e, dunque, come vera e propria contradictio in adiecto.

2. Il ricorso è dichiarato inammissibile.

3. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, limitatamente alla sola partecipazione ad essa ed all’attività di studio funzionale, atteso che il controricorso è inammissibile, in quanto, come ha anche eccepito parte ricorrente, la procura venne conferita sulla copia notifica del ricorso (Cass. sez. un. n. 13431 del 2014, che conferma un consolidato principio).

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione ai resistenti delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro quattromilatrecento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2016

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