Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16295 del 04/08/2016


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Cassazione civile sez. III, 04/08/2016, (ud. 10/05/2016, dep. 04/08/2016), n.16295

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20843-2013 proposto da:

IMMOBILIARE CHIARETTA S.R.L. ((OMISSIS)), in persona

dell’Amministratore Unico C.A., V.R. ((OMISSIS))

e F.M. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliati in

ROMA, V.DELLA CROCE 44, presso lo studio dell’avvocato ERNESTO

GRANDINETTI, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati

FERRARI MARIAGRAZIA, ROBERTO MANFRINO giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.I.S.S.A.C.A. – CONSORZIO INTERCOMUNALE DEI SERVIZI SOCIO

ASSISTENZIALI DEI COMUNI DELL’ALESSANDRINO, in persona del suo

Direttore Dott.ssa M.L., elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA DANTE 12, presso lo studio dell’avvocato SILVIO AVELLANO, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GUIDO SANTAGOSTINO

giusta procura speciale in calce al controricorso;

P.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DANTE 12,

presso lo studio dell’avvocato SILVIO AVELLANO, che lo rappresenta e

difende giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 424/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 28/02/2013, R.G.N. 2134/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2016 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito l’Avvocato ERNESTO GRANDINETTI:

udito l’Avv. COLICA per delega non scritta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO ALBERTO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – Con atto di citazione notificato nel dicembre 2006 il CISSACA (Consorzio Intercomunale dei Servizi Socio Assistenziali dei Comuni dell’Alessandrino) evocò in giudizio V.R., F.M., nonchè l’Immobiliare Chiaretta s.r.l. e, deducendo di essere creditore del V. della somma di oltre Euro 35.000,00, ne chiese la condanna al pagamento di tale somma, instando, altresì, per la revoca ex art. 2901 c.c. dell’atto in data 2 gennaio 2002, con cui il debitore aveva costituito, col consenso della moglie F., un fondo patrimoniale avente ad oggetto un immobile e della successiva vendita del medesimo immobile dal V. alla Immobiliare Chiaretta s.r.l con atto del 15 ottobre 2004.

Sostenne l’attore a fondamento delle domande: che, con sentenza n. 455 del 2001, il Tribunale di Alessandria aveva dichiarato l’interdizione di Pa.Ca., nominando quale tutore Evaldo P., allora presidente del CISSACA; che già dal settembre 2000, su autorizzazione del giudice tutelare, il CISSACA aveva ricoverato la Pa. presso la Casa di riposo “(OMISSIS)”; che il pagamento della retta era stato anticipato dal CISSACA sino al decesso dell’interdetta, avvenuto in data (OMISSIS), donde il credito vantato da parte attrice nei confronti del V., erede della Pa.; che, nel settembre del 2000, la Pa. era proprietaria di un patrimonio immobiliare pari ad Euro 138.400,00, dapprima costituito in fondo patrimoniale e poi alienato alla Immobiliare Chiaretta s.r.l. dal V.; che per recuperare tale somma, prima dell’instaurazione del giudizio, il tutore otteneva un decreto ingiuntivo nei confronti del medesimo V..

1.1. – L’adito Tribunale di Alessandria, con sentenza del settembre 2009, rigettò le domande del CISSACA, compensò le spese del giudizio tra attore e convenuti e pose quelle del “chiamato” ( P.) a carico del “chiamante” ( V.).

In particolare, il giudice di primo grado, quanto alla pretesa creditoria del CISSACA (vantata in ragione dell’obbligo a pagare le rette di mantenimento della Pa. presso la casa di riposo, che si asseriva originato dal provvedimento del giudice tutelare), escluse che il decreto del giudice tutelare fosse fonte di obbligazione per il Consorzio e che lo stesso avesse assunto obblighi connessi all’integrazione economica di cui alla L. n. 328 del 2000, art. 6, là dove, invece, in assenza di un preesistente rapporto giuridico con la Pa., il pagamento del CISSACA era da ascrivere al novero degli interventi socio-assistenziali disciplinati dalla L.R. Piemonte n. 62 del 1995 e, dunque, effettuato non per un interesse ad adempiere, ma in virtù dell’attività funzionalizzata tipica delle pubbliche amministrazioni. Dalla affermata insussistenza del credito del Consorzio nei confronti del V., il Tribunale fece discendere anche il rigetto dell’azione revocatoria.

2. – Avverso tale sentenza proponevano impugnazione il CISSACA in via principale, nonchè V.R., F.M. e l’Immobiliare Chiaretta s.r.l. in via incidentale (segnatamente, sul capo relativo alle spese processuali); la Corte d’appello di Torino, integrato il contraddittorio con P.E., accoglieva l’appello principale e condannava il V. al pagamento in favore del Consorzio della somma di Euro 35.054,94, oltre interessi legali, nonchè dichiarava inefficace nei confronti dello stesso Consorzio l’atto di compravendita immobiliare, in data 15 ottobre 2004, tra lo stesso V. e l’Immobiliare Chiaretta s.r.l., con condanna degli appellati al pagamento delle spese processuali del doppio grado in favore del CISSACA e del grado di appello in favore del P..

2.1. – Per quanto ancora interessa in questa sede, la Corte territoriale osservava che, con il provvedimento del 7 settembre 2000, il giudice tutelare, sulla richiesta in pari data di autorizzazione al ricovero della Pa. presso la Casa di riposo “(OMISSIS)” avanzata dal tutore P.E., al contempo presidente del CISSACA, rilevava che lo stesso tutore “aveva indicato la spesa di mantenimento presso la struttura, mantenimento per il cui pagamento doveva farsi riferimento al Consorzio, fatto salvo il ricorso ai redditi o ai capitali dei quali l’interdicenda risultava titolare ovvero il concorso dei parenti tenuti agli alimenti”.

Il giudice tutelare autorizzava, quindi, il collocamento della Pa. presso la struttura, “ponendo le spese di mantenimento a carico del Consorzio, “fatto salvo il ricorso ai redditi od ai capitali di cui l’interdicenda sia titolare nella misura e secondo le modalità previste dalla legge, ovvero il concorso delle persone obbligate agli alimenti all’esito dell’esperimento della procedura prevista”.

Sicchè, essendo il P. intervenuto nella duplice veste di tutore e presidente del Consorzio, la Corte piemontese riteneva che il decreto del giudice tutelare, nonostante non avesse efficacia di giudicato, doveva ritenersi opponibile allo stesso Consorzio, il quale, dunque, aveva “pagato in quanto vi era il provvedimento del giudice tutelare”; con l’ulteriore conseguenza che, nella fattispecie, operava il disposto dell’art. 1203 c.c., comma 1, n. 3, “e quindi, essendo il Consorzio tenuto al pagamento del debito ed avendo interesse soddisfarlo, in forza del provvedimento del giudice tutelare”, aveva “ora diritto a ripetere la somma dal V., quale erede di Pa.Ca.”.

2.2. – Quanto all’ammontare del credito, da ravvisarsi nella misura di Euro 35.054,94, oltre interessi, la Corte territoriale osservava: che l’assenza, tra i documenti esaminati dal c.t.u., a seguito dell’impugnazione del rendiconto, delle fatture della casa di riposo, era dovuto al fatto che queste erano intestate al Consorzio e non alla Pa.; che il rendiconto, “con l’indicazione dei debiti”, era stato approvato il 27 aprile 2005, salvo una rettifica, non concernente la vicenda in esame; che le contestazioni del V. “sulle fatture e sui singoli mandati di pagamento” (esaminati partitamente alle pp. 46 e 47 della sentenza di appello) erano “ininfluenti o generiche”, inidonei, quindi, a dimostrare che i pagamenti non fossero avvenuti e che i crediti del Consorzio non sussistessero; che la circostanza per cui i dati riportati “fossero collettivi” era “ragione ulteriore per ritenerne la genuinità”, non avendo il Consorzio predisposto volutamente “documenti di provenienza unilaterale (quali i mandati di pagamento) per giustificare la propria domanda”.

2.3. – Quanto all’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. riguardante l’immobile alienato dal V. all’Immobiliare Chiaretta s.r.l., il giudice di secondo grado osservava che il credito del Consorzio era “sorto al momento del provvedimento del giudice tutelare del settembre 2000 e comunque era noto al momento della stipula” della compravendita, avvenuta nell’anno 2004, sicchè in capo al V. sicuramente sussisteva il requisito della scientia dammi.

In ordine, poi, alla sussistenza del requisito medesimo in capo al terzo acquirente, la Corte d’appello la desumeva da una serie di elementi: la Immobiliare Chiaretta s.r.l. aveva acquistato gli immobili dalla Pa., “a mezzo del procuratore V.”; l’immobile era oggetto di pignoramento immobiliare e ciò risultava dall’atto di compravendita; la società aveva “la sede al medesimo indirizzo dello studio della moglie del V., avvocato F.”; la società era risultata sempre inattiva, salvo che per l’acquisto degli immobili della Pa..

2.4. – In punto di regolamentazione delle spese processuali, la Corte territoriale poneva a carico solidale del V., della F. e dell’Immobiliare Chiaretta s.r.l. quelle sostenute dal CISSACA nel primo grado, ferma restando la condanna del V. in favore del P.; poneva, altresì, a carico solidale degli appellati soccombenti – i quali che avevano “proposto in parte difese analoghe” e si erano costituiti “con i medesimi avvocati” -, le spese del grado di appello, che liquidava sia in favore dell’appellante principale, che del P., “nei cui confronti il contraddittorio è stato integrato in secondo grado a seguito di istanza degli appellati”.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono congiuntamente V.R., F.M. e l’Immobiliare Chiaretta s.r.l., sulla base di cinque motivi, illustrati da memoria.

Resistono con distinti controricorsi P.E. ed il Consorzio Intercomunale dei Servizi Socio Assistenziali dei Comuni dell’Alessandrino – CISSACA.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Preliminarmente devono essere disattese le eccezioni di rito sollevate dalle parti controricorrenti.

1.1. – Non è fondata anzitutto l’eccezione di improcedibilità/nullità/inammissibilità del ricorso per essere stato proposto congiuntamente da tre parti diverse e non già da “un’unica parte”, posto che le posizioni dei ricorrenti non solo in parte convergono per una comunanza parziale di interesse sostanziali, ma, salvo il caso di concreto conflitto di interessi (che nella specie non è dedotto, nè comunque ravvisabile), non è inibito da alcuna specifica disposizione la proposizione congiunta del ricorso per cassazione, avverso una determinata sentenza impugnabile, da più parti soccombenti.

E’ altresì infondata l’eccezione che lamenta la violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, giacchè, ove necessario, i ricorrenti hanno provveduto alla cd. localizzazione degli atti e documenti su cui l’impugnazione è fondata.

E’ invece inammissibile, per essere prospettata in modo del tutto generico, l’eccezione con la quale ci si duole della violazione dell’art. 360-bis c.p.c., comma 1, n. 1, là dove in ogni caso il rispetto o meno di detta norma è da valutare nell’ambito delle singole censure.

2. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1203 c.c..

La Corte territoriale avrebbe errato a ritenere applicabile nella fattispecie l’art. 1203 c.c., comma 1, n. 3, sulla premessa che il Consorzio fosse tenuto al pagamento del debito e avesse interesse a soddisfarlo, in forza del provvedimento del giudice tutelare, e, dunque, avesse diritto a ripeterlo da V., erede della Pa..

Ciò in quanto il provvedimento del giudice tutelare del 7 settembre 2000 non poteva essere considerato opponibile al Consorzio, “parte terza rispetto all’interdicenda ed al tutore, unici soggetti destinatari della pronuncia”, non potendo, del resto, il giudice tutelare emettere, ex art. 374 c.c., provvedimenti autorizzatori di atti di gestione, quali quelli per le spese necessarie al mantenimento del tutelato, che “il tutore può assumere da solo”.

Pertanto, il giudice tutelare avrebbe soltanto preso atto della disponibilità del CISSACA, in persona del suo presidente P., “a farsi carico del pagamento delle rette”, là dove un tale onere il Consorzio stesso si sarebbe assunto in ragione della attività socio-assistenziale che lo connotava (L.R. Piemonte n. 62 del 1995, art. 2) e non “per un proprio interesse”.

Peraltro, proprio il richiamo, nel provvedimento del giudice tutelare, alla possibilità di fare ricorso ai redditi dell’interdicenda chiariva che, se il tutore non aveva provveduto in tal senso, ma aveva posto le spese di mantenimento a carico del Consorzio, ciò era dovuto al fatto che l’interdicenda “aveva diritto ad accedere a tale misura assistenziale riconosciuta dallo stesso CISSACA”; prestazione che, ove invece non dovuta, avrebbe dato luogo ad un pagamento indebito, quale ipotesi però mai dedotta in giudizio dal Consorzio.

2. – Con il secondo mezzo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

La Corte territoriale avrebbe omesso di esaminare la “qualificazione dell’intervento del CISSACA a favore della Pa. quale intervento socio-assistenziale ai sensi della L.R. Piemonte n. 62 del 1995”, in tal senso ritenuta dal primo giudice e ribadita in sede di gravame dagli appellati con la comparsa di costituzione e risposta.

Peraltro, il fatto che la Corte territoriale abbia ritenuto che il CISSACA fosse vincolato ai pagamenti per effetto del provvedimento del giudice tutelare non escludeva, in ogni caso, che un tale intervento fosse avvenuto nello svolgimento delle funzioni socio-assistenziali dell’ente.

2.1. – Il primo ed il secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, non possono trovare accoglimento.

2.1.1. – Occorre premettere che il secondo mezzo, nonostante che con esso si denunci un vizio della motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), propone, nella sostanza, una doglianza che attiene, piuttosto, ad un vizio di sussunzione (veicolabile come error in indicando ai sensi del citato art. 360 c.p.c., n. 3, e come tale da scrutinare, al di là dell’erronea indicazione del paradigma censorio), investendo l’operazione, qualificatoria, di riconduzione della fattispecie materiale in quella legale che si assume a riferimento, senza che, nell’ambito stesso della prospettazione della censura in esame (e fatte salve le ulteriori e diverse doglianze mosse con i restanti motivi), venga messa in discussione la “fattispecie materiale” qualificanda – ossia, nella sua combinazione rilevante, l’autorizzazione al ricovero della Pa. presso la casa di cura, l’avvenuto effettivo ricovero dell’interdicenda e il pagamento delle rette relative al mantenimento da parte del CISSACA -, risultando l’operatività, o meno, della legge regionale invocata (L.R. Piemonte n. 65 del 1995) pertinente, per l’appunto, alla qualificazione giuridica del postulato diritto di credito al rimborso.

2.1.2. – Ciò precisato, devesi rammentare che – secondo l’orientamento più recente di questa Corte (Cass., 29 gennaio 2010, n. 2060; Cass., 16 dicembre 2013, n. 28061), da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi ai fini dell’operatività della surrogazione legale di cui all’art. 1203 c.c., comma 1, n. 3, non è necessario nè che il surrogante sia tenuto al pagamento del debito in base allo stesso titolo del debitore surrogato, nè che egli sia direttamente obbligato nei confronti dell’accipiens, richiedendo la norma soltanto che il surrogante abbia un interesse giuridicamente qualificato alla estinzione dell’obbligazione, quale requisito che, a sua volta, postula l’esistenza non già di una obbligazione attuale e liquida, o comunque giudizialmente accertata, ma solo di un rapporto del solvens con il debitore preesistente al pagamento.

2.1.3. – La decisione impugnata si colloca, dunque, nell’alveo delle anzidette coordinate giuridiche, posto che la Corte territoriale ha individuato (cfr. sintesi al 2.1. del “Ritenuto in fatto” che precede) sia l’interesse giuridicamente qualificato del CISSACA all’estinzione dell’obbligazione di pagamento delle spese concernenti il mantenimento della Pa. presso la Casa di riposo “(OMISSIS)”, sia il rapporto, preesistente al pagamento, tra lo stesso CISSACA (solvens) e la Pa. (debitore) nel provvedimento del giudice tutelare che autorizzava il collocamento di quest’ultima presso la predetta struttura, “ponendo le spese di mantenimento a carico del Consorzio, “fatto salvo il ricorso ai redditi od ai capitali di cui l’interdicenda sia titolare nella misura e secondo le modalità previste dalla legge, ovvero il concorso delle persone obbligate agli alimenti all’esito dell’esperimento della procedura prevista”.

Il giudice di appello, infatti, ha ritenuto che il Consorzio era “tenuto al pagamento del debito”, ed aveva “interesse a farlo”, proprio “in forza del provvedimento del giudice tutelare”, il quale, seppure non aveva efficacia di giudicato, era opponibile al Consorzio medesimo, intervenuto nel procedimento dinanzi al giudice tutelare in persona del suo presidente P., che era, altresì, il tutore della Pa..

Nè risultano pertinenti, rispetto alla evidenziata ratio decidendi della statuizione impugnata in questa sede, le critiche mosse dai ricorrenti sull’estensione dei poteri del giudice tutelare (ossia se le spese di mantenimento della Pa. fossero, o meno, da autorizzare, alla luce del combinato disposto dell’art. 424 c.p.c. e art. 374 c.p.c., comma 1, n. 2), le quali, semmai, avrebbero dovuto proporsi (ed eventualmente ottenere ragione) nell’ambito dello stesso procedimento di interdizione, rilevando, nella specie, solo la portata del provvedimento giudiziale oggetto di cognizione da parte della Corte piemontese, che, incontestatamente, ha mantenuto validità ed ha spiegato i suoi effetti (non risultando, dalla sentenza impugnata, che sia stato fatto oggetto di reclamo, là dove poi come precisato nella medesima sentenza: p. 45 – l’autorizzazione “a spostare” la Pa. dalla struttura presso l’abitazione del V., in data 13 novembre 2000, era stata revocata già il 29 dicembre 2000).

Sicchè, essendo riservata al giudice di merito l’interpretazione dell’anzidetto provvedimento del giudice tutelare a carattere eminentemente amministrativo-gestorio (al pari dell’esegesi che ha ad oggetto un provvedimento amministrativo di natura non normativa: Cass., 23 luglio 2010, n. 17367), la Corte territoriale, nella specie, l’ha svolta attenendosi agli anzidetti principi giuridici e in forza di motivazione, sufficiente e plausibile, che non è scalfita dalle censure di parte ricorrente, orientate, piuttosto, a suggerire (ma in modo non consentito) una lettura diversa dell’oggetto della esegesi e delle risultanze processuali. E ciò anche con riferimento alla differente, e alternativa, prospettazione difensiva – veicolata con il secondo motivo – che deduce l’erronea applicazione, da parte del giudice di appello, dell’art. 1203 c.c. in favore della asserita operatività della L.R. n. 62 del 1995, la quale, però, rimane superata dalla inconciliabile anzidetta statuizione assunta dal giudice di merito.

3. – Con il terzovè prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c..

La Corte piemontese, in relazione al quantum debeatur, avrebbe illegittimamente invertito la ripartizione dell’onere della prova, di cui all’art. 2697 c.c., reputando che i pagamenti per il mantenimento della Pa. presso la struttura di ricovero fossero stati effettuati non già perchè provati dall’attore CISSACA, in forza della documentazione prodotta e della sua decisività (che, invero, si palesava inadeguata), ma perchè le contestazioni dei convenuti sarebbero state “ininfluenti o generiche”, attribuendo, dunque, “l’onere della prova (di un fatto negativo) al V. invece che al CISSACA”.

3.1. – Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

E’ infondato là dove con esso si deduce la violazione della regola sul riparto dell’onere di prova (art. 2697 c.c.), che, peraltro, è soltanto sussidiaria e non implica che il giudice debba attenersi soltanto alle prove fornite da una determinata parte, dovendo invece fare applicazione del principio di cd. acquisizione probatoria e giudicare in base alle complessive risultanze istruttorie ritualmente acquisite nel processo.

Difatti, la Corte d’appello, in linea con le anzidette coordinate in iure, ha ritenuto provato il pagamento delle rette per il mantenimento della Pa. (cfr. sintesi al 2.2. del “Ritenuto in fatto” che precede e cui integralmente si rinvia) in base alla documentazione prodotta dal consorzio ed ha tratto dalla stessa, nonchè da ulteriori elementi processuali, plausibili inferenze logiche di riscontro probatorio complessivo del fatto. Soltanto in tale più ampio contesto la Corte piemontese ha ritenuto, motivatamente, che le contestazioni dei convenuti/appellati, volte a deprivare di consistenza la prova offerta dagli attori, fossero generiche e ininfluenti, tali dunque da non scalfire il corredo probatorio sull’ammontare del credito attoreo.

Pertanto, i profili di doglianza che attengono alla rivalutazione dei documenti e degli elementi di fatto su cui il giudice del merito ha fondato il proprio convincimento, lungi dall’integrare denunce di errores in indicando, si risolvono in una rivisitazione degli apprezzamenti riservati al predetto giudice, come tale non suscettibile di fondare uno scrutinio della Corte di legittimità.

In parte qua il motivo è, dunque, inammissibile.

4. – Con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c..

La Corte di appello avrebbe erroneamente applicato principi che governano l’esperibilità dell’azione revocatoria, con particolare riferimento alla sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi.

Quanto al momento di insorgenza del supposto credito del CISSACA, il giudice del gravame non si sarebbe avveduto che, con il provvedimento del giudice tutelare, sarebbe sorto un debito unicamente in capo alla Pa. e non in capo al V., là dove in capo all’erede un debito si sarebbe originato soltanto al momento dell’accettazione dell’eredità e, dunque, posteriormente all’atto di vendita dell’immobile, con conseguente necessità, ai fini dell’azione revocatoria, della verifica di sussistenza della “dolosa preordinazione” in capo allo stesso V.. Peraltro, la Corte territoriale, ove il debito fosse sorto a carico della Pa., avrebbe dovuto accertare in capo a quest’ultima la sussistenza del requisito della scientia damni.

Quanto, poi, all’elemento soggettivo del terzo, la valutazione della Corte territoriale sarebbe non adeguatamente motivata e illogica, avendo essa fatto ricorso ad una serie di presunzioni senza motivare come le stesse possano essere considerate elementi validi ai fini della prova della consapevolezza, in capo all’Immobiliare Chiaretta s.r.l., del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore CISSACA. 4.1. – Il quarto motivo non può trovare accoglimento.

4.1.1. – Quanto al profilo che investe il momento di insorgenza del credito tutelato mediante l’azione revocatoria ordinaria, occorre fare riferimento, diversamente da quanto opinato dai ricorrenti (che insistono sulla rilevanza diacronica delle posizioni debitorie dell’interdetta e del suo erede), al credito vantato dal CISSACA, quale presupposto di detta azione, che è sorto – come ritenuto nella sentenza impugnata (p. 51), senza che sul punto vi sia stata censura in questa sede – “al momento del provvedimento del giudice tutelare del settembre 2000 e comunque era noto al momento della stipula” e l’insorgenza di tale credito – ossia come credito del CISSACA, avvenuta prima dell’atto dispositivo oggetto dell’azione revocatoria e cioè della vendita immobiliare del 15 ottobre 2004 – non è incisa dalla vicenda successoria che ha riguardato il lato passivo dell’obbligazione.

Peraltro, avuto riguardo al momento dell’atto dispositivo, il lato passivo del rapporto obbligatorio in esame si era già da tempo consolidato in capo al V., erede dell’originario debitore (essendo la Pa. deceduta il (OMISSIS)), il quale ha compiuto, esso stesso, la vendita immobiliare pregiudizievole delle ragioni creditorie e, dunque, dovendosi nei suoi confronti apprezzare il requisito della scientia damni di cui all’art. 2901 c.c., comma 1 (come correttamente ha valutato il giudice di appello).

4.1.2. – Quanto al profilo di censura sull’elemento soggettivo del terzo acquirente, esso non veicola effettivamente la violazione di legge postulata in rubrica, bensì un vizio motivazionale in ordine alla consistenza delle presunzioni utilizzate dalla Corte di appello in funzione della prova dello stesso elemento soggettivo, che, oltre a non essere specificamente dedotto come vizio a sè stante, non avrebbe avuto comunque alcun esito utile in forza di uno scrutinio condotto alla luce dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione vigente (recata dalla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla in L. n. 134 del 2012), applicabile ratione temporia per esser la sentenza impugnata stata pubblicata il 28 febbraio 2013; norma processuale che disciplina, diversamente dalla previgente, soltanto l’ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, alla stregua del c.d. “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Difatti, la motivazione della Corte piemontese (cfr. sintesi al 2.3. del “Ritenuto in fatto” che precede e cui si rinvia) è tutt’altro che apparente, soffermandosi adeguatamente sulle circostanze fattuali dalle quali ha inferito l’esistenza della scientia danni in capo alla società acquirente, in armonia, dunque, con il principio, consolidato (tra le molte, Cass., 17 gennaio 2007, n. 966; Cass., 7 luglio 2007, n. 15310; Cass., 30 giugno 2015, n. 13343), per cui un tale accertamento può conseguirsi anche tramite presunzioni semplici.

5. – Con il quinto mezzo è dedotta – da parte dei soli ricorrenti F. e Immobiliare Chiaretta s.r.l. -, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c..

La Corte territoriale avrebbe errato a condannare in solido tra loro il V., la Immobiliare Chiaretta s.r.l. e la F. al rimborso delle spese di secondo grado, facendo riferimento alla circostanza – da ritenersi non incidente sulle rispettive responsabilità e sull’esito del giudizio al fine dell’applicazione dell’art. 91 c.p.c. – che le parti onerate avevano proposto difese analoghe e si erano costituite con i medesimi avvocati.

Inoltre, il giudice di appello avrebbe errato a condannare anche la F. e l’Immobiliare Chiaretta s.r.l. al pagamento delle spese di gravame in favore del P., essendo questi rimasto soccombente, semmai, solo nei confronti del V. e non già degli altri due appellati, che si erano limitati a rilevare il vizio dell’appello “per non aver il CISSACA citato un litisconsorte necessario” e la cui “unica domanda” proposta nei confronti del P. era quella di reiezione della richiesta condanna solidale delle spese “a carico di tutte le parti appellate”, peraltro accolta dalla Corte di appello nel confermare la sentenza di primo grado di condanna del solo V. al pagamento delle spese in favore del P..

5.1. – Il motivo è infondato.

Quanto al primo profilo di censura, esso va disatteso in forza del principio – cui correttamente si ispira la decisione del giudice del merito secondo il quale, in materia di spese processuali, la condanna di più parti soccombenti al pagamento in solido può essere pronunciata quando vi sia indivisibilità o solidarietà del rapporto sostanziale, ovvero per comunanza di interessi, che può desumersi anche dalla semplice identità delle questioni sollevate e dibattute, ovvero dalla convergenza di atteggiamenti difensivi (Cass., 29 luglio 2015, n. 16056).

Quanto, poi, alla condanna solidale di tutti gli appellati al pagamento delle spese di secondo grado in favore del P., la decisione della Corte d’appello – che si fonda sul rilievo che l’integrazione del contraddittorio in sede di gravame nei confronti dello stesso P. è avvenuto “a seguito di istanza degli appellati” – è in armonia con il principio per cui le spese processuali a favore della parte chiamata in causa vanno poste a carico della parte, rimasta soccombente, che abbia dato causa alla chiamata, a nulla rilevando la mancanza di una istanza di condanna in tal senso (Cass., 18 dicembre 1998, n. 12689; Cass., 15 dicembre 2003, n. 19181).

6. Il ricorso va, pertanto, rigettato ed i ricorrenti, in solido tra loro, condannati, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in conformità ai parametri introdotti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore di ciascuna parte controricorrente, in complessivi Euro 6.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Civile Terza Sezione della Corte suprema di Cassazione, il 10 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2016

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