Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16293 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/07/2020, (ud. 02/07/2020, dep. 30/07/2020), n.16293

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2671-2019 proposto da:

B.F., elettivamente domiciliato in ROMA, P.ZZA CAVOUR, presso

la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato IBRAHIM

KHALIL DLARRA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS) COMMISSIONE TERRITORIALE, PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BRESCIA;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE, di BRESCIA, depositato il

19/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. TRICOMI

LAURA.

 

Fatto

RITENUTO

Che:

Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35-bis, B.F., nato in Mali, chiedeva al Tribunale di Brescia che gli venisse riconosciuta una delle diverse misure di protezione internazionale, erroneamente denegate dalla Commissione territoriale. Il giudice adito rigettava la domanda.

Il ricorrente aveva narrato di essere fuggito per il pericolo di morte costituito dal comportamento tenuto dagli zii, che si erempossessati delle terre da lui ereditate dal padre, e per la situazione di violenza generalizzata nell’area del Paese di provenienza.

Il Tribunale non ha ritenuto credibile il racconto del ricorrente perchè palesemente contraddittorio circa i rapporti con gli zii ed i timori manifestati, rimarcando che questi aveva dichiarato di non essersi rivolto alla polizia perchè la sede era lontana, senza che emergesse l’incapacità o la non volontà delle autorità locali di offrire protezione.

Nel valutare la domanda di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. n. 251 del 2007, art. 14 lett. C), ha evidenziato le molteplici contraddizioni e l’incapacità di descrivere il luogo della sua provenienza, segnatamente indicate come “un villaggio posto tra Bamako e Gao”, ed ha escluso che il richiedente potesse provenire da Gao; quindi esaminate le condizioni socio/politiche del Mali, sulla scorta di fonti internazionali puntualmente indicate ed aggiornate ai primi mesi del 2017, ha ritenuto che non sussistevano i presupposti per la protezione richiesta poichè situazioni di criticità erano ravvisabili in limitate zone del Mali, ma il richiedente con le sue dichiarazioni non veritiere non aveva consentito di individuare la effettiva zona di provenienza al fine della valutazione del caso concreto.

Infine ha negato la protezione umanitaria, non ravvisando, stante anche la non credibilità del narrato, peculiari situazioni personali di vulnerabilità, nè l’integrazione in territorio italiano, pur dando atto di una fattiva volontà in tal senso, e considerato che la documentazione sanitaria relative alla tubercolosi concerneva una mera profilassi.

Il richiedente ha proposto ricorso per cassazione con tre mezzi, attinenti alle domande di protezione sussidiaria ed umanitaria; il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Sono stati ritenuti sussistenti i presupposti per la trattazione camerale ex art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1.1. I motivi primo e terzo vanno trattati congiuntamente perchè volti entrambi a contestare la valutazione di non credibilità delle dichiarazioni rese.

1.2. Con il primo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 2, 3, 5,6,7,8 e 14, nonchè dell’art. 27, comma 1-bis, e degli art. 115 e 116 c.p.c..

Il ricorrente contesta la modalità con cui sono state ritenute non credibili le sue dichiarazioni; assume che il Tribunale, nell’interpretare il suo racconto, abbia scelto il significato che appariva più contraddittorio, malgrado in realtà non vi fosse alcuna contraddizione nelle dichiarazioni rilasciate dal ricorrente, e che abbia proceduto ad una valutazione atomistica e non complessiva, laddove questa avrebbe condotto al riconoscimento della protezione sussidiaria o umanitaria.

1.3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, il vizio motivazionale nonchè la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.. Il ricorrente lamenta che la metodologia contra legem adoperata dal Tribunale per l’istruzione del procedimento abbia compromesso anche l’accertamento concernente il riconoscimento della protezione umanitaria, che era stata negata in ragione dell’inattendibilità delle dichiarazioni del ricorrente; si duole che non siano state applicate correttamente le regole istruttorie e che non si sia tenuto conto della realtà socioculturale del suo Paese.

1.4. I motivi in esame sono inammissibili.

1.5. In materia di protezione internazionale il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare nel caso in cui questi, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, (Cass. 15794/2019); questa valutazione di affidabilità del dichiarante è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici indicati all’interno del citato art. 3, oltre che di criteri generali di ordine presuntivo idonei a illuminare il giudice circa la veridicità delle dichiarazioni rese (Cass. 20580/2019); la norma in parola obbliga in particolare il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto a un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche a una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (Cass. 21142/2019).

Il giudice di merito si è ispirato a questi criteri laddove, all’esito dell’esame delle dichiarazioni rese dal migrante, ha rilevato – come previsto dall’art. 3, comma 5, lett. c, appena citato – che il racconto offerto dal richiedente asilo era incoerente sotto una pluralità di aspetti e non plausibile rispetto al profilo della credibilità razionale della concreta vicenda narrata. Una volta constatato come la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo sia il risultato di una decisione compiuta alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, è sufficiente aggiungere che la stessa costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito censurabile in questa sede solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile; si deve invece escludere l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, nel senso proposto dal ricorrente, trattandosi di censura attinente al merito; censure di questo tipo si riducono infatti all’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che però è estranea all’esatta interpretazione della norma e inerisce invece alla tipica valutazione del giudice di merito, la quale è sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 3340/2019).

1.6. Infine, in tema di protezione umanitaria, va considerato che la condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento di tale forma di protezione deve essere ancorata a “una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e cui egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio” (Cass. n. 4455/2018; Cass. Sez. U. n. 29459/2019), dovendosi apprezzare la situazione particolare del singolo soggetto, non quella del suo paese d’origine in termini generali ed astratti.

E’ del tutto evidente che nel caso in cui, come il presente, sia stata accertata la mancata realizzazione di un grado adeguato di integrazione sociale e lavorativa del richiedente in Italia- come da statuizione del Tribunale non impugnata – non esista alcuna possibilità di comparazione tra la situazione in cui aveva vissuto prima dell’allontanamento e quella vissuta in Italia, di guisa che l’applicazione del principio circa il dovere di cooperazione istruttoria in materia di protezione umanitaria, ex Cass. n. 7985/2020 e Cass. n. 8020/2020, risulta non decisivo e, pertanto, non può trovare applicazione.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 ed il vizio motivazionale.

Secondo il ricorrente la non corretta applicazione delle regole istruttorie aveva condotto il Tribunale ad escludere una situazione di conflitto armato interno e di violenza indiscriminata in Mali: di qui la contestazione delle conclusioni raggiunte dal Tribunale.

2.2. Il motivo è inammissibile.

Quanto alle condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), è sufficiente ricordare che il giudice, mentre è anche d’ufficio tenuto a verificare se nel paese di provenienza sia oggettivamente sussistente una situazione di violenza indiscriminata talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente, non può invece essere chiamato (nè d’altronde avrebbe gli strumenti per farlo) a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal già citato art. 3, comma 5 (Cass. 3016/2019); pertanto, qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria personale nel paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 16925/2018).

Rispetto alla forma di protezione prevista D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il Tribunale ha escluso, all’esito del giudizio di non credibilità reso sulle dichiarazioni del ricorrente e dell’esame delle fonti internazionali reperite, che il richiedente avesse indicato la sua effettiva zona di provenienza dal Mali e che nel Paese di origine del migrante ricorresse la situazione di violenza indiscriminata e diffusa, necessaria per riconoscere tale forma di protezione. Inoltre, l’accertamento del ricorrere di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, compiuta a norma D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 32064/2018); a fronte di tali accertamenti che rientrano nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito – la doglianza intende nella sostanza proporre una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito (Cass. 8758/2017).

Va peraltro rimarcato che le fonti internazionali indicate dalla parte si collocano in epoca anteriore a quelle più aggiornate considerate dal Tribunale e riguardano prevalentemente la zona di Gao, che il Tribunale/ con accertamento in fatto non specificamente impugnato, ha escluso essere la zona di provenienza del richiedente.

3. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Non si provvede sulle spese, essendo rimasta intimata la controparte.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

P.Q.M.

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2020

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